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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

PININFARINA

PININFARINA Sergio (Sergio Farina) Torino 8 settembre 1926. Designer. Ex presidente di Confindustria. Presidente de La Stampa (dal luglio 2004). Dal settembre 2005 senatore a vita. «Uno dei più noti designer di automobili a livello mondiale e proprietario dell’omonima industria, ha ricoperto la carica di presidente dell’Unione Industriale di Torino tra il 1978 e l’84 e di presidente di Confindustria tra il 1988 e il 1992. Tra il ’79 e l’88 è stato parlamentare europeo. Mentre tra l’87 e l’89 è stato presidente dell’Oica, l’Organisation Internationales des Costructores d’Automobiles. stato uno dei grandi promotori della linea ad Alta Velocità tra Torino e Lione. Ha anche insegnato al Politecnico di Torino ”Progettazione di carrozzeria”. [...] Cavaliere del lavoro dal 1976, nel 1979 ha ricevuto la Legion d’Onore dal Capo dello stato francese Valéry Giscard d’Estaing. Decine le onorificenze ricevute per le sue creazioni nell’ambito del design» ("La Stampa" 21/7/2004). «Da ragazzo sognava di fare il musicista. ”Volevo diventare un direttore d’orchestra - racconta -, per amore della musica e perché sentivo di essere portato per l’organizzazione del lavoro. Alla fine prevalse il fascino della Carrozzeria: per un giovane era un richiamo irresistibile”. Così rinunciò ad archetti ed ottoni e si mise sulle orme paterne, riuscendo alla lunga a trasformare quello che già era un marchio di grido in una leggenda multinazionale. ”Essere figlio di mio padre e potermi occupare dell’azienda è stato un premio [...] E anche una fortuna”, aggiunge. Quale? ”L’aver realizzato modelli belli nella semplicità. [...] Uno dei ricordi più vecchi e vivi risale al Natale del ’46. Fu un momento drammatico, il nostro stabilimento prese fuoco all’improvviso, nel cuore della notte. Mio padre mi tirò giù dal letto perché aveva sentito sfrecciare le ambulanze e i pompieri. Gli avevano telefonato dicendo ’Qui brucia tutto!’. Mi prese con sé e andammo a vedere cosa accadeva. C’era la Pininfarina in fiamme”. Non si scoprì se l’incendio fosse stato doloso o no, ma la selleria che aveva resistito ai bombardamenti alleati si sbriciolò in poche ore. In quei giorni Sergio Farina - il nome Pininfarina lo avrebbe adottato molti anni dopo - non aveva ancora deciso cosa fare davvero da grande. ”Avvenne più tardi, negli anni dell’Università. Sin da ragazzo ero stato educato all’amore per la Carrozzeria Pininfarina. Mio padre mi portava ai saloni, mi teneva al corrente delle cose più importanti che accadevano. Fece di tutto per mettermi nello spirito di questa azienda [...] Il debutto degli Anni Cinquanta è stato importante, per me e per la Pininfarina. Mi sono laureato, sposato e ho avuto il primo figlio. L’azienda ha cominciato a cambiare passo, a pensare in grande. Fu allora che mio padre incontrò per Enzo Ferrari, del resto era un passaggio naturale ed inevitabile. Entrambi avevano un carattere complesso, fu persino difficile stabilire dove avrebbero dovuto vedersi. A Maranello? A Torino? La scelta fu salomonica, si scelse una via di mezzo, Tortona. Eravamo in quattro, loro due, un direttore commerciale del Cavallino rampante ed io. Fu una giornata sorprendente. Nacque subito una profonda simpatia umana fra i due, evidentemente Ferrari ammirava quello che faceva Pininfarina e viceversa. Mio padre scalpitava all’idea di collaborare con Ferrari [...] Al ritorno da Tortona, mentre guidava, disse: ’Della Ferrari te ne occupi tu’. Pensai di non aver capito, troppo bello per essere vero. E lui, bruscamente, ribadì: ’Te ne occupi tu’. Ma di cosa? ’Di tutto, no?’. Voleva dire di prodotti, rapporti commerciali, saloni, modelli, prototipi. Era la sua investitura e, allo stesso tempo, una mossa che non toglieva nulla a nessuno in azienda. Una nuova iniziativa affidata ad una figura nuova. Accettai con entusiasmo”. Di Enzo Ferrari si dice fosse burbero. ” stato reputato una persona più difficile di come fosse in realtà. All’inizio mi accolse con diffidenza, per usare un eufemismo. Ammirava mio padre, e trovarsi tra i piedi il figlio doveva sembrargli riduttivo. Ero giovane e lo sembravo anche di più. I primi anni di collaborazione furono duri, pretendeva molto, non era mai contento. Col tempo si persuase del mio impegno nel lavoro e, lentamente, cominciò a sostenermi. Era l’inizio di un’amicizia straordinaria e proficua”. Suo padre ha sempre un’espressione severa nelle foto. Era così? ”Era certamente severo nei comportamenti, nella valutazione dei risultati, nel pretendere la disciplina. Ma lo fu sino ad un certo punto. Quando si persuase di poter contare su di me, cambiò atteggiamento. Da maestro intransigente si trasformò in un sostenitore, a volte persino esagerato. stato come avere due padri [...] Realizzare il bello con semplicità è un risultato supremo. Molte volte chi crea si rifugia nel ridondante perché punta ad impressionare. Noi crediamo che ci voglia di più, più carattere, più fiducia nel proprio progetto. Abbiamo sempre voluto creare modelli in cui ogni singolo dettaglio avesse una ragione d’essere e fosse una risposta ad un problema. Questo è sempre stato uno dei punti fondamentali della Pininfarina [...] La semplicità è stata la forza della Duetto. L’ingegner Ferrari mi diceva: ’Quando escono le tue macchine non mi dicono niente. Le guardo e sono sempre un po’ deluso. Poi con il passare degli anni si vede che le tue macchine durano. Le altre dimostrano di non avere la medesima sostanza. Anche se inizialmente mi avevano colpito di più. Se prendo la Duetto, la spoglio sino ad arrivare alla scocca nuda, se tolgo le ruote e gli ornamenti, è facile vedere che è ancora giovane” [...] Cosa distingue lo stile Pininfarina? ” il tentativo di cercare una eccellenza estetica senza tradire la funzionalità. L’attenzione ai dettagli, alle proporzioni, ai vuoti e ai pieni. Partire dal complesso per arrivare ai particolari, dalla scocca al sedile, i pulsanti, i cassetti, anche il più piccolo oggetto. Se c’è, non dico un segreto, ma una linea guida per il prodotto Pininfarina è tutto qui [...] Avrei voluto, se ne avessi avuto l’occasione, dedicarmi di più all’architettura degli esterni. Agli edifici, ai loro interni, al mobilio e all’arredamento. Mi sarebbe veramente piaciuto” [...]» (Marco Zatterin, ”La Stampa” 4/5/2005).