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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Pinketts Andrea

• G. (Andrea Giovanni Pinchetti) Milano 12 agosto 1960. Scrittore. «Fernanda Pivano lo ha chiamato ”unico cowboy metropolitano della letteratura” [...] Ma che cos’è esattamente Andrea G. Pinketts nelle nostre lettere non è dato saperlo [...] Pinketts è anzitutto quella G puntata che ha messo dopo il nome: sta per Genio, non per Goffredo o Gaspare. Pinketts è famoso nel mondo. [...] Ma Pinketts è noto soprattutto nei bar un tempo fumosi di Milano, come fondatore della scuola dei duri. Vale a dire quel genere hard boiled, alla Raymond Chandler, sciacquato nei Navigli. Pinketts è amato e odiato, dentro le dispute quasi teologiche che dividono i giallisti (ma non dite giallista a Genio, si adombra, lo considera riduttivo). E così, ridendo e scherzando, ormai i neuroni pinkettsiani producono altre cose: calembours, trame surreali, una scrittura creativa che a volte resta penalizzata dalla misura del romanzo, essendole più consona la misura asciutta dell’incursione giornalistica, o del racconto stringato. Ma i libri di Pinketts interagiscono con la vita dello stesso, passata tra sigari sfumacchiati in dispregio della legge Sirchia, gran bevute (nessun riferimento a René Daumal) e belle ragazze che gli si avvinghiano stile pupe dei gangster nei film con James Cagney. Pinketts è scoppiettante, di fantasia per niente cupa, con un cinismo da cartone animato. Disinvolto con le parole, gli si legge un sorriso tra le righe ogni volta che tira sganassoni, o spara colpi di pistola e battute in ordine sparso. [...]» (Antonio Bozzo, ”Corriere della Sera” 13/7/2005). «’Mia madre mi obbligava a una sana colazione di yogurt con miele (io avrei preferito un paio di salsicce). Da allora odio lo yogurt, freddo, viscido e grumoso: un uomo che lo ha nelle vene al posto del sangue rappresenta il peggio del peggio” […] Ha scritto Lazzaro vieni fuori, Il vizio dell’agnello, Il senso della frase, Il conto dell’ultima cena, L’assenza dell’assenzio, Il dente del pregiudizio, Fuggevole Turchese: ”Parto sempre dai titoli, lì c’è il germe delle storie. La G. nel mio nome sta per ”genio”, per ”gradasso”, oppure per ”guai” […] Lavoro in un bar di Milano che si chiama Le Trottoir. Nello studio di casa mia al massimo sbrigo la posta […] Comincio alle cinque della sera in una saletta riservata, che con il passare del tempo diventa via via sempre più affollata. Scrivo a mano, su carta qualunque. Ho una collezione di stilografiche Montblanc, serie speciale dedicata agli scrittori: c’è la Poe, la Dumas, la Schiller. Ma spesso dimentico la ricarica e mi faccio prestare una biro oppure un roller […] Ogni sei mesi, ribattitura al computer. Prima se ne occupava la mia ex fidanzata. Ora una ragazza che mi spedì una lettera di elogi con la frase: ”conta su di me”. L’ho presa in parola […] Ho sempre in tasca la foto di una ragazza in canoa sul Rio Negro. Se lei riesce a essere bella in mezzo alla foresta amazzonica, io non posso bloccarmi davanti a un foglio”» (Mariarosa Mancuso, ”Corriere della Sera” 16/7/2002).