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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Pippen Scottie

• Hamburg (Stati Uniti) 25 settembre 1965. Ex giocatore di basket. Ha ottenuto i maggiori successi con i Chicago Bulls di Michael Jordan. Faceva parte del leggendario ”Dream Team” Usa che dominò le olimpiadi del 1992 • «Il secondo miglior violino del basket: con quest’affermazione l’America dei canestri saluta Scottie Pippen che dopo sei titoli Nba, 15.123 punti e 39 anni ha detto basta. [...] i 17 anni di agonismo sui parquet dell’Nba non hanno fatto altro che sottolineare per tutta la sua carriera il ruolo di secondo miglior giocatore. ”Pippen? Un fenomeno a Chicago, soprattutto accanto a Jordan”. ”Pippen a Portland? Un grandissimo giocatore, peccato non avesse vicino Jordan”. Tutta la carriera vissuta ascoltando sempre le stesse battute: una fortuna e, al tempo stesso, una croce aver giocato e vinto in compagnia del più grande giocatore del secolo scorso. L’amicizia tra i due si è rotta nei giorni in cui Pippen cercava fortuna a Houston: anche lì gli si chiedeva di fare la spalla a una stella: Charles Barkley. E in uno dei tanti commenti che rimbalzavano per le televisioni degli Stati Uniti, Jordan si schierò contro l´ex compagno. Perfetto nell’impostare il contropiede, impressionante nel leggere i movimenti della difesa, bravo nei raddoppi di marcatura, nel gioco fisico, nei tiri da tre, nelle stoppate. il ritratto del giocatore universale: Pippen ha incarnato per anni tutto ciò che un allenatore chiede ai tutti i componenti del quintetto base. Ma era una spalla, un caratterista in un film dove l’ultima battuta è sempre lasciata a un’altra stella. Difendeva, attaccava e faceva vincere, ma nella sua carriera non si ricorda un solo tiro decisivo sulla sirena. Un ruolo indispensabile e scomodo che lo portò a un personale sciopero bianco negli ultimi secondi di una partita di playoff contro New York: Jackson aveva affidato il pallone decisivo a Toni Kukoc, Pippen smise di giocare. Nato ad Hamburg, Arkansas, Pippen ha costruito le sue fortune nei Bulls di Chicago, accanto a Rodman e Jordan. Plasmato da Phil Jackson, di quella squadra vincitrice di sei titoli, era uno dei motori insostituibili. ”I ragazzi del breakfast club” erano soprannominati negli anni d’oro, quando gli allenamenti venivano stabiliti in modo rituale e personalissimo da Jordan, Pippen e Harper facendo colazione insieme la mattina. Cresciuto in una famiglia poverissima, divenuto tra i più pagati di sempre firmando un contratto da 67 milioni di dollari con i Bulls, Pippen a quella squadra regalava intelligenza e talento. Ma l’anima era tutta di Jordan. E forse proprio per liberarsi dall’ingombrante immagine del compagno di squadra, Pippen ha inseguito per anni il settimo titolo, sfiorandolo soltanto con Sabonis a Portland. A superarlo, questa volta, trovò il talento di Bryant. In quei giorni Jordan tentava un improbabile reinserimento a Washington: gelido il commento del suo ex compagno: ”In tutta sincerità non vorrei essere in Michael: in questo momento sicuramente sto meglio io”. stato inserito nella lista dei cinquanta migliori giocatori di sempre, due medaglie d’oro olimpiche (’92 e ’96), il suo volto accanto a Magic Johnson nel primo e unico Dream Team, sette volte selezionato all’All Star Game, secondo solo a Jabbar per numero di match nei play off, secondo solo a Jordan per punti realizzati nei Bulls. ”Smettere è stata una decisione molto difficile: il basket è stata una parte assai consistente della mia vita”. Forse il miglior ”secondo” di sempre) (Gianluca Moresco, ”la Repubblica” 6/10/2004). «Se invece di voler giocare a basket, avesse avuto la passione della musica, Scottie Pippen sarebbe stato ciò che Keith Richards ha rappresentato per Mick Jagger: un’insostituibile spalla. crudele da dire, ma quando l’orchestra dei Chicago Bulls venne smantellata e il direttore Michael Jordan decise di ritirarsi una volta per tutte, Scottie Pippen è tornato ad essere un campione normale. Almeno per quel che riguarda la percezione popolare. In realtà [...] può vantare numeri da superstar: 17 stagioni, 208 gare di playoff giocate (secondo solo a Jabbar); 1178 complessive, per una media di 16 punti a partita; sei titoli Nba vinti; due ori olimpici; record per il più alto numero di tiri da tre, mantenuto per alcuni anni; eletto tra i 50 migliori giocatori di sempre. Eppure, adesso che è un ex, non c’è nessuno disposto a scommettere che senza Michael Jordan al posto di guida, la sua carriera avrebbe compiuto lo stesso formidabile percorso. Pippen è stato un giocatore completo: capace di tirare, eccellente dal perimetro, in grado di difendere avidamente, con buona predisposizione al rimbalzo. L’unica cosa che in molti gli hanno sempre rimproverato, è la mancanza di personalità. La vera prova del fuoco Pippen la affrontò e fallì, quando si trovò suo malgrado ad essere il leader dei Chicago Bulls. Era l’anno del primo ritiro di Jordan, quello legato al baseball. Pippen non fu in grado di prendere in mano la squadra che affondò in una stagione piuttosto mediocre. Quando Jordan tornò ai Bulls, si rese subito conto che la situazione era precipitata. Pippen, irritato per l’arrivo di Kukoc, ben più pagato di lui, aveva trasformato lo spogliatoio in un inferno. In allenamento si rifiutava di passare la palla al croato. Fu Jordan a far incontrare Pippen e Kukoc per far siglare il patto che avrebbe garantito altri tre titoli Nba. ”Adesso voi fate come dico io”, disse Jordan e Pippen ubbidì. Michael ha comunque sempre adorato il suo aiutante di campo: ”Per me è come un fratello. A volte ha bisogno di essere trattato con durezza: si comporta da ragazzino”. Eternamente scontento per il trattamento ricevuto dai Bulls, Pippen se ne lamentava pubblicamente. Quando gli chiesero se volesse vivere una giornata da ”Michael Jordan”, non ebbe esitazioni: ”Certamente, un paio di giorni mi farebbero comodo. Ma solo per utilizzare il suo conto bancario”. Non finirà in povertà. Grazie agli ultimi anni di carriera a Portland (prima di tornare a Chicago), nonostante un rendimento normale, ha incassato una sessantina di milioni di dollari. Non sarà Jordan, ma senza Jordan non avrebbe mai guadagnato tanto» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 6/10/2004).