Varie, 6 marzo 2002
PIRLO Andrea
PIRLO Andrea Brescia 19 maggio 1979. Calciatore. Dal 2011/2012 alla Juventus. Col Milan ha vinto le Champions League 2002/03 e 2006/2007 e gli scudetti 2003/04 e 2010/11. Lanciato dal Brescia, ha giocato anche con Reggina e Inter. Con la nazionale ha vinto i mondiali 2006. 5° nella classifica del Pallone d’Oro 2007, 9° nel 2006, nomination anche nel 2004 e 2005 • «Nell’estate del 2002, quando decise di cambiare la propria vita, non immaginava che tutto potesse essere tanto facile e tanto soddisfacente. [...] ce l’ha fatta, Pirlo, per la sua classe, il suo altruismo e la sua fantasia, ma soprattutto anche grazie alla testardaggine, dote fondamentale per uno che vuole riuscire a tutti i costi, in qualunque campo si cimenti. Pirlo, del Milan, non è soltanto l’anima: è l’uomo imprescindibile, anello necessario della catena che Ancelotti ha disegnato nell’estate del 2002, appunto, elemento attorno al quale ruotano tutti i destini. “Quando ho chiesto al tecnico di provarmi in questo ruolo, speravo di essere determinante. Era una sfida stimolante per me e una scommessa per l’allenatore e per la squadra. Mi sento di poter dire che siamo a buon punto, per quanto riguarda la scommessa. Io lavoro ogni giorno come un ragazzino che gioca nella squadra dell’oratorio: ho voglia di imparare, di migliorare, di capire quali sono i miei limiti. E questa curiosità su me stesso, alla fine, è benzina nel momento in cui entro in campo”. [...] l’architetto riconosciuto e acclamato: tutte le azioni nascono dai suoi piedi e dalla sua testa, tutti i gol vengono innescati da una sua “pensata”. “Quando ero bambino mi dicevano che avevo gli occhi anche nella schiena, perché riuscivo a vedere l’azione prima degli altri. Credo che sia una delle mie caratteristiche principali, forse la più importante considerando il ruolo che ricopro. E poi mi sono abituato a essere rapido nel pensiero: se velocizzi la mente, anche le gambe vanno di corsa. È una specie di conseguenza. Il mio modello di giocatore? È sempre difficile andarli a pescare nell’album dei ricordi, ma certamente quando ero un ragazzino vedevo Platini come un autentico maestro. E cercavo di studiarlo in ogni suo movimento, in ogni sua giocata. Abbiamo caratteristiche diverse, ma se devo scegliere un campione cui ispirarmi dico il francese: Platini era fantastico e mi accorgo che dicendolo cado nel banale, però non riesco a trovare un altro aggettivo”. Se a Roi Michel si chiedeva di spedire in gol Boniek, Bettega, Pablito Rossi e compagnia, a Pirlo è capitato di regalare assist a Ronaldo, Vieri, Shevchenko e Inzaghi. “Gente che con la rete ha molta dimestichezza e quindi lanciarli è abbastanza semplice. Ronaldo voleva il pallone sui piedi, poi ci pensava lui. Vieri, invece, ama essere lanciato. Sheva va negli spazi come pochi altri al mondo e con Inzaghi c’è un’intesa incredibile: lo vedo scattare e verticalizzo subito l’azione. Mi viene naturale, non so spiegare i meccanismi che in quel momento mi passano per la testa”. La naturalezza e la semplicità sono l’essenza del suo calcio, proprio come insegnavano i maestri dell’oratorio: fai sempre la cosa più facile, giocare a pallone non è complicato. [...]» (Andrea Schianchi, “La Gazzetta dello Sport” 10/11/2004). «L’uomo che ha cambiato il destino di Pirlo, consentendone il passaggio al Milan […] Si chiama Andrés Guglielminpietro e ha frequentato il campionato italiano per sei stagioni (dal ’98 al 2004). Nel giugno 2001, Inter e Milan trovarono l’accordo per il passaggio di Pirlo in rossonero, in cambio di Guly e di cinque miliardi e mezzo (di lire). Scambio bizzarro, per un club che aveva a lungo corteggiato Pirlo, organizzando persino un’amichevole a porte chiuse ad Appiano (30 novembre ’95), per vederlo insieme con Baronio. Ma uno scambio che rientra nell’illogicità del calcio, la stessa che, per esempio, ha spinto la Juve a cedere Henry, dopo appena sei mesi di vita in comune (nel ’99). Che Pirlo fosse un talento, l’Inter lo aveva capito il 4 agosto ’98, contro il Liverpool, al Trofeo Pirelli, quando Simoni lo paragonò (a ragione) a Rivera e Moratti disse: “Deve essere meraviglioso giocare con uno come Pirlo”. Però il decollo non è mai avvenuto: 18 presenze al primo anno, nella centrifuga dei quattro allenatori; un breve contatto nel ’99, quando sulla panchina nerazzurra c’era […] Lippi […]che parlò benissimo del ragazzo, ma gli consigliò di cercarsi un club dove giocare stabilmente (la Reggina); una burrascosa esperienza con Tardelli, prima di andare al Brescia (in prestito), dove Mazzone lo piazzò nel ruolo dove è diventato grande. Un triennio che indusse i dirigenti interisti a considerare conclusa l’esperienza di Pirlo all’Inter e ad accontentare Cuper, prendendogli Guly, che in rossonero aveva vinto lo scudetto ’99. Il bello è che nella prima stagione l’argentino giocò più di Pirlo (23 partite a 18 in campionato). Poi il rossonero ha cambiato ruolo ed è esploso […]» (Fabio Monti, “Corriere della Sera” 29/3/2005).