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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Pitt Brad

• Shawnee (Stati Uniti) 18 dicembre 1963. Attore • «Il bello più convenzionale di Hollywood» (Mario Sesti) [1], «il sex Symbol per eccellenza del cinema americano anni ’90» (Silvia Bizio) [2], «la vera icona del 2000» (Marta Citacov) [3], è biondo, magrolino, l’aria angelica, «un serafico seduttore, misto di sensibilità quasi femminile e menefreghismo da frontiera» (Bizio). [2]. Jancee Dunn di ”Rolling Stone” spiega che «la prima cosa che si nota è la sua altezza. Diversamente dalla maggior parte degli attori è ben al di sopra di un metro e ottanta». [4] Cresciuto a Springfield, nel Missouri, è il primo di tre figli: il padre Bill era manager in una società di trasporti, la mamma Jane assistente scolastica negli istituti superiori. Infanzia tra fiumi e boschi («laggiù parliamo a bassa voce, ci sforziamo di essere gentili») [5], racconta: «Da piccolo facevo spesso un brutto sogno e mi svegliavo nel cuore della notte piangendo: sentivo che stava accadendo qualcosa a mio fratello. Forse erano i sensi di colpa. Era mia abitudine, infatti, fargli un sacco di scherzi orribili, come chiuderlo fuori di casa nudo». [6] Adesso ha un nuovo sogno ricorrente: «Sogno che tutti usano il mio spazzolino da denti». [7] Da ragazzino giocava molto a tennis: «Ed ero anche bravo. Ero un po’ l’idolo del quartiere e mi comportavo come un divo: sbraitavo ed imprecavo agli errori degli avversari, sbattevo in terra la racchetta e la prendevo a calci. Una volta ho veramente esagerato ed ho visto mio padre che si alzava dal gruppo degli spettatori e veniva verso di me. Ho cercato di darmi un atteggiamento palleggiando ad occhi bassi, in attesa che mi arrivasse un ceffone. Ma lui mi ha raggiunto e mi ha chiesto: ”Ti diverti?”. ”No”, ho risposto, ”certo che non mi diverto”. ”Allora smetti”, ed è tornato al suo posto. Credo che questo abbia cambiato la mia vita. Quando me la sto prendendo troppo per il mio lavoro, ricordo sempre le sue parole». [5] Studi? «Quando andavo a scuola trascorrevo più tempo fuori dalla classe che altro. Studiare era l’ultimo dei miei pensieri. Alla scuola di architettura, poi, non parliamone. Figuriamoci che ero circondato da ragazzi che non facevano altro che studiare giorno e notte. Loro sì che erano seri. C’è anche da dire che era un college solo maschile, non è che ci fosse molto altro da fare. Una noia che ricordo fin troppo bene ancora oggi». [6] Per sfuggire alla noia, una volta andò sulla Pacific Coast Highway, direzione Malibu, e prese a calarsi le braghe ad intermittenza finché non gli appiopparono una multa di 450 dollari. [7] «Nel Missouri studiavo grafica e pubblicità. Là, nell’ombelico profondo degli Stati Uniti, ero completamente tagliato fuori dal mondo del cinema e sognavo che un giorno avrei almeno disegnato manifesti cinematografici. Poi, a due settimane dalla fine degli studi, mi sono detto: ”Se il cinema qui non si fa, sarà meglio andare dove lo fanno. E sono partito per Los Angeles. Era di una logica molto semplice, ma mi ci sono voluti due anni per arrivarci». [5] Dice di essere partito per Hollywood, nel 1986, al volante di una Datsun di seconda mano chiamata ”Runaround Sue”, in tasca appena 325 dollari. Gavetta di cinque anni, qualche apparizione in serial (tre puntate di Dallas, in cui era il fidanzato dell’antipatica Lucy), filmetti di serie B (Cutting class, The Image, inediti). La prima fama arrivò con uno spot della Levi’s, la svolta nel 1991 grazie alla parte di uno sbandato dai modi affabili nel film Thelma e Louise: da quel momento sarebbe stato una star. Come ha scritto Jancee Dunn «fa riflettere il fatto che in quel film compare sullo schermo a malapena per dieci minuti». [4] Pitt ricoda sempre volentieri che «uno dei ruoli più originali dei miei inizi è stato quello di pollo. Sì, di pollo, andavo in giro con quel pesante costume a penne e piume per reclamizzare un fast food che aveva appena aperto. El pollo loco, il pollo pazzo. In quel periodo era tutto così eccitante. Abitavo in un appartamento a North Hollywood con altri otto ragazzi. Due in una stanza da letto, due in salotto e gli altri sbattuti qua e là dove capitava. Non c’era neanche un mobile. Ciascuno di noi, però, aveva il suo piccolo angolo, con la sua piccola libreria, un piccolo armadio per i vestiti e lenzuola in comune. Non è che fosse il massimo dell’igiene. C’è un episodio che tutti raccontano riguardo ai miei inizi. Non dirò se è vero o falso. Nella mia classe, alla scuola di recitazione, c’era una ragazza che doveva sostenere un’audizione ma non aveva il partner per la scena che si era preparata. Mi offrii e l’accompagnai. Finì che presero me anziché lei». [6] Il suo primo film, Dark side of the moon, girato in Jugoslavia prima della guerra (1988), non è mai uscito: sette settimane di lavoro, fu pagato 10.500 dollari. [3] Dopo Thelma e Louise la sua carriera è stata molto più facile: «Il successo è arrivato così in fretta che mi ha dato alla testa. Così, a un certo punto ho sentito il bisogno di capire come ho agito e il perchè... Veniamo trattati come qualcosa di speciale, così, alla fine, cominci a crederci, credi alla bugia di essere migliore delle altre persone. Incominci a pretendere di essere trattato diversamente dagli altri. Ora lotto con questa mentalità ma tempo addietro, all’inizio della mia carriera, ci ero cascato anch’io. [8] Ti viene automatico pretendere. Mi è successo di rivolgermi a un paio di amici, che sono per me come fratelli, in un tono che suonava come un ordine, e questo solo perché sono abituato ad avere intorno persone pagate per occuparsi di me...». [3] I paparazzi non gli danno tregua: «Cinque giorni su sette ci sono almeno tre macchine piene di paparazzi che mi inseguono... A volte non è facile reggere, non mostrare mai le proprie debolezze. C’è sempre il rischio di deludere il pubblico, che è lì a guardarti sotto il microscopio. [3] A Los Angeles sei costretto a una strana vita. Se vuoi puoi scomparire, e anche facilmente, ma se scompari non lavori più. Se dovessi comportarmi come un vero attore, non sarei sempre così assente. Voglio che la mia vita sia fatta anche di altre cose. La gente mi chiede di tutto e io non ho risposte a ogni argomento [...] Penso che sia possibile essere contemporaneamente una star di Hollywood e semplicemente un attore. A me piace essere entrambe le cose, ma l’insieme dello star system mi manda in confusione, è la mia personalità che non si adatta a quel genere di cose. Vorrei, più di tutto, che la gente mi giudicasse solo per il mio lavoro, per come recito, per come mi vede nei film. Tutto il resto... sono fatti miei [...] Lo dico sinceramente, non mi va che si sappia come sono fatto veramente. Non mi interessa neanche sapere cose personali sui miei attori preferiti. Dico sempre che dovrei lasciare il Missouri ma è come nelle canzoni di Tom Waits: non ho mai visto un mattino senza aver vissuto prima tutta la notte, non ho mai visto la mia città natale prima di essere stato molto lontano. Il fatto è che ho bisogno di vedere altro, di più. Ogni volta che accendi la tv, che leggi un libro ti rendi conto che ci sono così tante cose da vedere, da conoscere. Io non resisto, ma poi ho voglia di tornare». [6] Quanto al lavoro, dice di leggere personalmente i copioni che gli mandano: «Pile di sceneggiature ogni settimana, per sapere cosa c’è in giro. Non potrei adattarmi a fare un film ”sicuro” dietro l’altro. Anche se mi interessano i risultati, certo. Investi molto tempo e speri che il tuo lavoro parli a qualcuno. Ma quello che so è che non voglio ripetermi. E’ il problema del successo: ti costringe a ripeterti. Le Major cercano sempre di fare film praticamente uguali a quelli che hanno avuto successo e gli attori continuano a interpretare personaggi che hanno funzionato. Ma recitare è soprattutto un viaggio nella scoperta, almeno per per me. [9] Facendo l’attore, devi manipolare il tuo umore in ogni momento. Diventi capace di premere i tuoi bottoni, e questo ti porta in questa direzione o ti fa andare in quell’altra. Ho trovato che le cose migliori accadono sempre quando ti butti in una situazione in cui non sai cosa stai facendo. Se ti controlli troppo, puoi diventare stantio e ammuffito, senza smalto. [10] So che passerò alla storia come quello che ha fatto raggiungere per la prima volta l’orgasmo a Geena Davis, nel film Thelma & Louise. [6] Sarò sempre un buon attore, solido. Non vi deluderò mai. Ma riuscirò mai a fare una di quelle grandi interpretazioni?». [4] Secondo i critici «è una star naturale, ma ha difficoltà a realizzare una credibile identità sullo schermo. Non sembra tagliato, a dispetto dell’inseparabile aria da cucciolo, per il cinema dei teenager, ma i film di forte impianto drammatico mettono a nudo una fragilità, una sorta di bonarietà congenita, che non lavorano a suo favore» (Mario Sesti). [1]. Spiega Claudio Masenza, critico di ”Ciak”: «Gli piace ricorrere agli accenti (è stato un irlandese in L’ombra del diavolo, un austriaco in Sette anni in Tibet) perché è un modo per mascherare il suo. Nonostante anni di sforzi, per i suoi compatrioti è molto facile riconoscere in lui un ragazzo del Sud appena apre bocca». [5] Meno severi quelli che hanno lavorato con lui. Jean-Jacques Annaud, che l’ha diretto in Sette anni in Tibet: «Pensavo che forse era un po’ troppo... bello? Ma Brad mi ha affascinato. L’ho trovato genuino». [4] Laura Ziskin, presidente della Fox e produttore di Fight Club: «E’ così bello che, conoscendolo, penso sia per lui una specie di tortura. Deve sempre cercare di fare andare la gente al di là di questo. Cerca di apparire brutto, ma proprio non ci riesce». [11] Steven Soderbergh, che l’ha diretto in Ocean’s eleven: «Se un altro attore avesse fatto quello che ha fatto lui, senza avere il suo aspetto, gli avrebbero dato molto più credito. Il fatto di essere così bello gli ha reso più difficile far accettare di essere anche così bravo». Julia Roberts, sua partner in The Mexican e Ocean’s eleven: «Era un ragazzo che aveva un sogno, poi è diventato un uomo che vive in quel sogno. Ma questo non lo ha cambiato». [3] Edward Norton, suo partner in Fight Club, avverte: «I suoi istinti naturali tendono alla flatulenza e alla scatologia». [7] Note: [1] Mario Sesti, ”L’Espresso” 26/4/2001; [2] Silvia Bizio, ”d - la Repubblica delle donne” 28/11/2000; [3] Marta Citacov, ”GQ” gennaio 2002; [4] Jancee Dunn, ”Rolling Stone”; ”Il Venerdì” 20/6/1997; [5] Claudio Masenza, ”Celebrity” marzo 1999; [6] Brad Pitt, Us Editors; ”Madame Class” febbraio 1999; [7] Benedetta Pignatelli, ”GQ” novembre 1999; [8] ”Il Messaggero” 7/11/2001; [9] Claudio Masenza, ”Ciak” novembre 1999; [10] Audrey Smithe-Jones, ”Max” ottobre 1999; [11] Massimo Rota, ”Max” ottobre 1999.