Varie, 6 marzo 2002
PIVANO
PIVANO Fernanda Genova 18 luglio 1917, Milano 18 agosto 2009. Giornalista. Scrittrice. Con le sue traduzioni fece conoscere agli italiani, fin dagli Anni 40, gli autori della letteratura americana del ”900. Fu moglie del celebre architetto Ettore Sottsass • «Mi sono trasferita da Genova a Torino nel 1929, avevo dodici anni. Era la città più diversa da Genova che si potesse immaginare. Non c’era il mare, non vedevo come a Genova un grande parco di Magnolie. A Torino la mamma piangeva perché non c’era il mare e io piangevo perché vedevo piangere la mamma. […] Mio papà aveva una banca e faceva l’agente di cambio. […] Da più grande, devo dire che ero diventata molto bellina in quell’epoca, ho avuto come professore di liceo Cesare Pavese che mi ha insehnato a studaire sulla storia della letteratura di Momigliano e di De Sanctis […] Mi aveva insegnato il mestiere del traduttore facendomi vedere un libro di Faulkner che stava traducendo e insegnandomi a sottolineare di rosso le parole che dovevo cercare sul vocabolario e di nero quelle che erano le ripetizioni. Mi ha insegnato a conservare nella traduzione italiana le ripetizioni del testo originale, cosa che è sempre stata il mio trucco professionale […] Hemingway mi ha mandata a chiamare perché aveva saputo che le SS tedesche mi avevano arrestato perché avevano trovato in una retata alla casa editrice Einaudi il mio contratto di traduzione per Addio alle armi che era stato vietato dal governo fascista e nazista […] Ogni mattina a Cortina e a Cuba dalle cinque del mattino a mezzogiorno mi permetteva di stare vicino a lui mentre lavorava e mi insegnava a tagliare intere pagine per raggiungere quella scrittura semplice di cose semplici e di personaggi semplici che è stata la sua gloria. […] Ho vissuto l’utopia beat fino al collo, ma non mi sono né drogata né ubriacata né ho scopato sulla scia della liberazione sessuale» (Alain Elkann, ”La Stampa” 28/6/1998) • «Un’esistenza che è un incrocio di studi, incontri, amicizie, scoperte, avventure che fanno di Nanda, così la chiamano i fans, una scrittrice, traduttrice, saggista, autrice e scopritrice di autori americani davvero unica, una gloria per l’Italia. Ciò che è stupefacente è la persona, un intrico di sensibilità, generosità, affetto, ingenuità, rigore e severità, e insieme dolori, delusioni, rabbia, solitudine che combatte con forza. Sta scrivendo tutto ciò nell’Autobiografia, anno dopo anno a partire dal 1923. arrivata al 1973. ”Ho cominciato già tre volte - spiega - poi ho smesso. Ora la sto scrivendo perché è venuto il tempo”. Racconta che l’idea nacque anni fa allorché il suo giornale, il ”Corriere della Sera”, domandò a diversi scrittori di spiegare chi fossero i genitori. Lei si vergognò un po’: ”Tutti riferirono che facevano gli operai o altro, erano poverissimi come era di moda dire in quel periodo. Mio padre era banchiere a Genova, mia madre una signora elegante, pensai di scrivere la storia loro e la mia”. Di notte riempie fogli con la sua nitida calligrafia: pagine e pagine di grande freschezza, sembrano momenti vissuti in diretta, con serenità, spirito, parole che sgorgano dal cuore. Poi detta. […] Il pomeriggio detta l’autobiografia a un giovane che la batte al computer, è incantato da ciò che si trova a scrivere, episodi, personaggi: Hemingway, Pavese, gli americani Kerouac, Borroughs, Gregory Corso, Ferlinghetti, finché sarà la volta degli amici attuali: Jey McInerney, Bret Ellis, Don DeLillo, Foster Wallace e altri» (Fiorella Minervino, ”La Stampa” 17/7/2002).