Varie, 6 marzo 2002
POLI
POLI Paolo Firenze 23 maggio 1929. Attore. Regista. Autore • «[...] un maestro della parodia, uno che ha lasciato un’impronta indelebile nel teatro italiano, fin da quando, nel 1949, cominciò a calcare le scene. ”Ma mi lasci raccontare la mia vita come fossi il notaio di un romanzo di Jane Austen: sono nato nella prima metà del secolo a Firenze, ho fatto studi regolari, mi sono laureato in lettere con una tesi sul teatro francese dell’800. Sono stato attore amatoriale, poi radiofonico nei primi anni ”50; quando arrivai a Cinecittà feci, nella nuova edizione strappalacrime delle Due orfanelle insieme a Milly Vitale e Miriam Bru, la parte che con la Valli e la Denis faceva Osvaldo Valenti. Poi ho insegnato al liceo francese, a Roma ho incontrato Aldo Trionfo, che faceva l’aiuto di Visconti in Senso, e con lui, a Genova, ho fondato la ”Borsa di Arlecchino’. Poi siamo venuti a Milano, al teatro Gerolamo, la cui dimensione, per me che avevo fatto anche il burattinaio, era entusiasmante”. Eccetera eccetera. Arriva anche la tv, perfino una Canzonissima nel 1961, e poi inizia a fare il capocomico di se stesso con una serie di spettacoli colti e originali che portano il suo copyright intellettuale [...] Io ho fatto il teatro perché l’ho amato da sempre, non come un rifugio, come fanno oggi quelli che non hanno più successo al cinema o alla tv. Mi piace il teatro perché è vivo, così come mi piaceva insegnare, osservare gli occhi cattivi di quei bambini: insomma, diciamo che mi sono speso per fare attecchire un po’ di cultura, in un momento in cui basta disegnare O col bicchiere per diventare filosofi. Mi sono applicato alla pratica e non alla grammatica, come mia mamma diceva della Montessori: abbiamo lo stesso difetto [...] il complimento che preferisco è quello che si faceva alle signorine così così: che belle gambe, che bei capelli [...] Ma il genio, credo, nasce quando la Madonna, o Grace Kelly, gettano a vanvera uno schizzo d’ovuli. Ripeto con Dante: ”Valgami il lungo studio e il grande amore’. O come diceva la Callas, di musica ce n’è tanta, ma ci vuole un artista che la renda viva. Le grandi conquiste dell’arte sono piccolezze di cui l’uomo volgare non si accorge, così come non vede la differenza tra il Pontormo e Raffaello. Ma la differenza c’è e qualcuno va pure applaudito: o Darwin o Geova” [...]» (Maurizio Porro, ”Sette” n. 28/1999). «Dopo essersi laureato in letteratura francese con una tesi su Henry Beque, insegna e lavora per la radio, oltre che recitare in compagnie vernacolari. Nel 1959 entra a far parte de La Borsa di Arlecchino, il piccolo teatro d’avanguardia che nasce a Genova grazie a A. Trionfo. Ma suo primo vero spettacolo è nel 1961, Il Novellino, che va in scena alla Cometa di Roma. A cui fanno seguito una serie di spettacoli divertentissimi, costituiti in gran parte da montaggi di testi letterari commisti ad altre fonti di varia cultura o di cronaca popolare; è un vero e proprio teatro da camera, che rimarrà la cifra distintiva del suo modo di fare spettacolo. Ed è l’inizio di una dirompente carriera: Il diavolo, 1964; Rita da Cascia, 1967 - con cui scandalizza: la rappresentazione viene sospesa a Milano per oltraggio alla religione e verrà riproposta molti anni dopo); La rappresentazione di Giovanni e Paolo, 1969; Carolina Invernizio, 1969; La vispa Teresa, 1970; L’uomo nero, 1971;Giallo, 1972. A testi più suoi, come i suddetti, alterna classici (Il mondo d’acqua di A. Nicolajs, Il suggeritore nudo di F.T. Marinetti) e parodie di commedie celebri, come l’esilarante sua interpretazione, nel ruolo della protagonista, de La nemica di D. Niccodemi (1969). In questo periodo gli si affianca come fedele collaboratrice Ida Omboni, e, agli inizi degli anni ’70, per un breve periodo, si unisce a lui, la sorella Lucia, come coautrice e attrice ( Apocalisse, 1973; Femminilità, 1975). Questa personalissima strada di rivisitazione di testi letterari, montati in scena con siparietti comici da avanspettacolo trova un valido sostegno in divertenti colonne sonore: brani musicali e canzonette d’epoca da lui cantate in falsetto (altra valida collaboratrice per queste ricerche musicale è Jacqueline Perrotin). Altri spettacoli: Mezzacoda (1979), curioso itinerario di mezzo secolo di cultura kitsch attraverso i salotti buoni di Gozzano e altri luoghi; Paradosso (1980), proposto a Venezia, per il Carnevale della Ragione, uno spettacolo ispirato a Diderot. Negli anni ’90 il bricolage parodistico-letterario dei suoi spettacoli si accentua, e inizia la grande saga dei miti. Il coturno e la ciabatta (1990), tratto da Alberto Savinio e scritto da Ida Omboni, con le scene di Luzzati. Poi la divertente rilettura de L’asino d’oro di Apuleio (1996). Nel 1997-98 da vita ai mitici Viaggi di Gulliver, da Swift, ancora con le scene di Luzzati, tenendo sempre alta la propria abilità di artigiano teatrale. Se scarse sono le sue esperienze cinematografiche, notevoli sono invece quelle televisive, da ”Tutto da rifare pover’uomo” con Laura Betti (1960) a una ricordata ”Canzonissima” (1961), dalle produzioni per ragazzi alla riduzione de ”I tre moschettieri” (1976), dal programma ”Tra i libri dei nonni” a ”Viaggio a Goldonia” di Gregoretti (1982). Legato alla cultura grande e piccola dell’Italia fine secolo e di quella del Novecento tra le due guerre, la cultura cioè dei nonni e dei padri - e anche della madre che era maestra - arricchita da una raffinata educazione letteraria, soprattutto francese, P. esercita i suoi bersagli affabilmente ma puntualmente satirici contro la retorica e l’ipocrisia di una società ancora connotata sostanzialmente da mentalità piccolo-borghesi; ma lo fa a modo suo, coniugando alla satira di costume, la parodia e il funambolismo, la malinconia e il guizzo farsesco, il travestismo e il divertissement cabarettistico. Le generazioni cambiano, ma P. mantiene i suoi spettatori, affascinati dalla sua grazia; variando appena i materiali di partenza. Il che non è un limite, ma il segno di un’originalità e unicità di fare spettacolo abbastanza atipica in Italia» (Dizionario dello Spettacolo del ”900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, Baldini&Castoldi 1998). «[...] fa tutti i personaggi, tutte le voci, tutte le tonalità, tutte le psicologie. [...] introduce sempre brani fantasistici nei suoi lavori. [...] ”L’attenzione del pubblico s’è progressivamente ridotta. Soprattutto la tv ha imposto, per mentalità, un linguaggio a base di frequenti trovate estemporanee. Poi bisogna fare i conti con un pubblico che, lontano dalle grandi città, non sempre è smaliziato. anche vero che qui io mi diverto inserendo citazioni di Gramsci, di Carlo Porta, di Mark Twain o di Sciascia. Sosteneva, Sciascia, che un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva, perché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte [...] Io mi ritengo succedaneo alla glaciazione delle Franche Valeri, in uno scenario in cui tanti sono scomparsi. Il pubblico ha subito una certa omologazione. Nella seconda metà del secolo scorso io piacevo a pochi intellettuali e a un popolino magro che vedeva la qualità teatrale indipendentemente dal pensiero, al contrario dei medio-borghesi cui suscitavo sopportazione o diniego. Ora, trascorsi vari anni, in un teatro d’una città-metropoli ci sono ancora signore che con me si stupiscono e si scandalizzano, e mi fanno sentire nostalgia per i giovanotti meridionali che negli anni ”60 dopo lo spettacolo m’attendevano a frotte davanti al teatro e si felicitavano per la mia malizia, tanto che a Bari mi invitarono a ballare [...] Fioccano commenti del tipo: perché ce l’ha tanto con le donne? Come mai se la prende con Nostro Signore senza pensare che dovrà comparirgli davanti? Purtroppo si va a teatro come se s’andasse in chiesa. Per rendere omaggio a un’architettura [...] Sono nato in un’era in cui si leggeva un libro come I doveri dell’uomo di Mazzini, e nei miei cauchemar mi tornano in mente le gaffes che ho fatto, le omissioni. Nelle fantasie di sesso o d’amore non vedo mai una bellezza apollinea, faccio sempre scelte di carattere [...]” [...]» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 2/10/2004).