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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

PONTIGGIA Nato a Como il 25 settembre 1934

PONTIGGIA Giuseppe. Nato a Como il 25 settembre 1934, morto il 27 giugno 2003. Scrittore. "Uno scrittore deliziosamente marginale: questo era (è) Giuseppe Pontiggia. Non ha mai preteso di interpretare il mondo o di rifarlo da capo, ma si è dato un punto di osservazione seminascosto dal quale spiare, non visto, quanto gli uomini andavano facendo. In buona sostanza, e per usare un suo titolo celebre, era lui Il giocatore invisibile. Quella volta (era il 1978) l´indagine, ironica e divertita, verteva sul mondo universitario e sugli odi terribili che i filologi possono nutrire nei confronti dei loro nemici, naturalmente filologi anch´essi. Ne usciva uno spaccato impietoso, un ”ballo dei sapienti” che metteva a nudo umane debolezze e nello stesso tempo disegnava vite, intrighi, tic. Quanto si sarà specchiato, Pontiggia nel personaggio di Mario Cattaneo che, sempre nel Giocatore invisibile, fa il lettore di manoscritti e dopo un esordio lontano è sempre in attesa di portare a compimento un suo nuovo romanzo? Pontiggia conosceva bene le botteghe editoriali, aveva lavorato molto dietro le quinte dove dei libri si colgono soprattutto le debolezze e dove si sonda con pazienza infinita l´enorme esercito degli aspiranti con i quali l´esperto Cattaneo, con autoironia, si confonde. Non era anche lui eternamente ”aspirante” alla scrittura? Una volta, rispondendo probabilmente ad un´inchiesta sui destini della letteratura , scrisse ”Il testo ne sa più di me”. Un modo per eludere, lui che ha tenuto anche una delle più apprezzate "scuole di scrittura", la questione del programma. Lo scrittore con le sue idee non è direttamente traducibile in un testo. Allo scrittore tocca dunque nutrire i propri testi, ma senza pretendere di dominarli fino in fondo. L´opera di spionaggio, intendo del vivere altrui, gli riuscì in modo esemplare nelle Vite di uomini non illustri che è del ´93. Scelse come esergo una frase di Santayana ”Tutto, in natura, ha un´essenza lirica, un destino tragico, un´esistenza comica”. Le vite appartengono a gente qualunque, ma hanno il pregio di essere inventate, reinventando dunque la realtà. A cominciare dai nomi, tutti veri, plausibili, già essi stessi racconto di qualcosa. Anche il personaggio di Cattaneo (per tornare al Giocatore invisibile) scriveva biografie (ma di uomini illustri) per un dizionario che sarebbe stato completato prevedibilmente dopo la sua morte ed era nello stesso tempo affascinato da una celebre (dovrei dire: una volta celebre) compilazione del Comandini che trattava giorno per giorno i fatti d´Italia di tutto l´Ottocento. Scrive Pontiggia: ”Entrare per pochi minuti nei particolari di una vita lo distraeva e lo affascinava”. Forse l´incunabolo delle Vite (o il desiderio, prima o poi, di scriverle) era già lì, a parte i riferimenti a Marcel Schwob o ad Aubrey . Di un´altra vita non illustre scrisse in Nati due volte (uscito nel 2000) che è la storia di un bambino sfortunato e del suo impatto con il mondo" (Paolo Mauri, ”la Repub blica” 28/6/2003). "La sua prima operetta narrativa, il breve romanzo La morte in banca, scritto in età assai giovanile tra il 1952 e il ’53, possedeva qualità notevoli e sembrava il frutto gradevolmente acerbo di una maturità accelerata (per difficoltà economiche della famiglia fu costretto ad affrettare gli studi liceali e poi a impiegarsi in banca). E´ naturale che il romanzino crescesse dall´esperienza autobiografica più estraniata e coinvolgente vissuta nell´adolescenza. Ma, per quanto acerbo, il giovanissimo Giuseppe Pontiggia aveva già il passo e l´intelligenza percettiva del narratore. Offriva al lettore un fresco miscuglio di amarezza, distacco ironico e tocchi umoristici. Il tono lucido e leggero della scrittura lasciava intravedere un più che promettente nipotino di Svevo. Difatti, lo stesso anno che La morte in banca uscì nelle Edizioni del Verri, ossia nel 1959, Pontiggia si laureò alla Cattolica di Milano con una tesi sulla tecnica narrativa di Svevo. Ciò che è singolare in Pontiggia non è la sua precoce inclinazione al romanzo, è la sua paziente e agguerrita ricerca sui modi del narrare, condotta in silenzio e in letizia per circa dieci anni. Nella cerchia del Verri, dopo la sua prima apparizione, Pontiggia diventò un timido scomparso, un marginale forse affaccendato, un sodale segreto e mai partecipante. [...] Se ne stava bellamente occupato a scrivere L´arte della fuga (Adelphi 1968, seconda edizione riveduta 1990). Non un romanzo di abbozzi sconnessi, bensì una unità di frammenti allusivi, fattuali e metafisici. Una sperimentazione calcolata e insieme imprevedibile di dialoghi, personaggi, brevi sequenze di situazioni ambigue, poesie, osservazioni di indizi e perplessità che lampeggiano in poche righe e spesso si collegano tra di loro. Un repertorio attraversato da molti influssi: percezioni della vita quotidiana, fantasie e rielaborazioni di letture, Pirandello, molto Kafka, un po´ di poesie ”novissime”, meccanismi del romanzo poliziesco. Il libro, gradevolmente inquietante e delusorio, sta solido nella sua sofisticata nitidezza; e accenna motivi e spunti sviluppati nei due romanzi successivi, Il giocatore invisibile e Il Raggio d´ombra. E´ o potrebbe restare un´esplorazione preparatoria. Preparatoria all´avvincente leggibilità del Pontiggia successivo. Ma rileggendolo uno si convince che basta, se si vuole, a se stesso. Ecco che cosa faceva [...] Stava affinando la propria strategia, utilizzando rispettosamente anche qualcuna delle nostre mosse, ma con lo scopo di andare da un´altra parte. Sembrava in ritardo, e invece con tenacia andava incontro a se stesso" (Alfredo Giuliani, ”la Repubblica’ 28/6/2003).