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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Pressburger Giorgio

• Budapest (Ungheria) 21 aprile 1937. Scrittore. Nel 1998 ha vinto il premio Viareggio con La neve e la colpa. Da Budapest scappò in seguito ai fatti del ”56 a 19 anni. Insegnante all’Accademia d’arte drammatica di Roma fino al 1998, numerose sono le sue riduzioni teatrali, dall’Ora in cui non sapevamo niente di Peter Handke a Danubio di Claudio Magris. Tante anche le sue opere narrative, tra le quali, prima de L’Orologio di Monaco (’Corriere della Sera” 17/9/2003) • «In un certo periodo della mia vita, avrò avuto 35-40 anni, sono stato sorpreso da una scintilla di pensiero: mi sono reso conto che un uomo può raggiungere la felicità e la pace con se stesso dedicandosi agli altri e non a se stesso. Ho avuto l’impressione inequivocabile che in questa azione diventavo più potente, più forte e sincero. difficile descrivere quello stato di contentezza. Del resto, anche l’altruismo è iscritto nel nostro codice genetico: ce l’hanno persino gli insetti [...] Come tutti, ho vissuto momenti di grande tristezza e disperazione sia per la mia vita privata, per le morti, le malattie, le tragedie, sia per il destino del mondo. Come tante altre persone, sono stato sfiorato persino dal pensiero del suicidio. Ecco, quell’attimo di illuminazione mi ha cambiato, almeno temporaneamente [...] Mio fratello aveva già risposto, raccontandomi un sogno di cui era molto contento: aveva sognato una lunga schiera di esseri che gli venivano incontro, tutti con la sua faccia, i suoi avi forse, e lui li salutava. Vedeva la propria morte come il ricongiungersi con gli avi. Aveva certamente più fede di me che invece vedevo la morte come una trasformazione in una specie di magma entro cui ripiombava la nostra energia vitale [...] Come si può parlare apertamente di Dio? Dostoevskij ne ha parlato in modo impudico e per questo me ne sono allontanato. Kafka parla di fede con la dovuta disperazione ma senza farne mai parola: la fede è una delle cose più intime e una volta messa in piazza diventa banale [...] Senza fede è difficile applicarsi all’arte. Quando l’uomo si è proposto di farlo è andato incontro a gravi scacchi. Ovviamente ho molta stima anche per quegli scrittori che hanno risolto il problema in sé ritenendo che non c’è nulla al di fuori della storia: spesso nel fondo nascondono qualcosa che viene da fuori... L’illuminismo, però, ci ha dato la misura di quanto il terreno del materialismo possa essere friabile. Oggi quello stesso materialismo ha la sua massima espressione in tutti i campi: è curioso che abbia dato i suoi frutti non tanto in Unione Sovietica, dove venne assunto come religione di Stato, quanto nell’anarcocapitalismo di oggi [...] Il nostro darwinismo sociale ha un totale disprezzo per ciò che non è puramente materiale, che non ha a che fare con il denaro. [...] La fede è un argomento che richiede onestà e sincerità. La scrittura narrativa è molto diversa, richiede non sincerità ma autenticità. Le storie di Kafka sono magari inverosimili ma autentiche, sono una richiesta al lettore di guardare alla radice delle cose, al cuore dell’esistenza» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 7/4/2004).