Varie, 6 marzo 2002
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Priebke Erich
• Hennigsdorf (Germania) 29 luglio 1913. Ventenne, emigra prima in Italia e poi a Londra. Tornato in patria, si arruola nelle Ss. Scoppiata la seconda guerra mondiale, viene inviato in Italia. Nel ”44 partecipa all’eccidio delle Fosse Ardeatine: 335 persone massacrate come ritorsione all’attentato di via Rasella dove i partigiani avevano attaccato un reparto tedesco. Nel 1948 Priebke emigra in Argentina, dove rimane fino al ”94 quando l’Italia ne ottiene l’estradizione. accusato di omicidio plurimo continuato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il 7 marzo ”98 è condannato all’ergastolo dalla Corte d’appello militare di Roma (’Corriere della Sera” 3/3/2004). «Viveva a Bariloche, una specie di Baviera argentina, con a destra le Ande. Posto non facilmente raggiungibile: duemila chilometri da Buenos Aires, venti ore di treno, ventidue di pullman, quattro ore di strada di montagna dalla città più vicina. ”Repubblica” fu il primo giornale ad intervistarlo. Erich Priebke, come si faceva chiamare, era sull´elenco telefonico. Ed era molto disponibile. Non si vergognava, né si pentiva di nulla. Abitava in via 24 Settembre, al numero 167, dove c´era una clinica. Stava all´ultimo piano di una sua palazzina, affittata ad una casa di cura. Bariloche sembrava un pezzo di Foresta Nera: tetti d´ardesia, chalet con gerani, salumerie con specialità tedesche in vetrina, birrerie con il nome "Vecchia Monaco", pasticcerie che esponevano apfelstrudel, edicole con quotidiani di Francoforte in bella vista (la stampa argentina invece a terra, dietro al bancone). Herr Priebke indicò fierò che aveva lavorato proprio in quel negozio, in quell´orgia di salsicce. Disse che lì si trovava bene: c´era il lago Nahuel Huapi, le montagne con la neve, e bei salmoni da pescare. Però l´Italia era un´altra cosa. C´era ancora a Roma quel ristorante ai Fori? Dio, come si mangiava bene. Gli sarebbe piaciuto tornarci. Gli ufficiali tedeschi erano ben serviti. E poi gli spettacoli all´Arena di Verona, grandiosi. Priebke era contento di parlare con un giornale italiano, citava altri nomi di trattorie, voleva sapere se si mangiava ancora fuori, in terrazza. Sospirava, con fredda nostalgia: chissà, magari un giorno. Si arrabbiava solo se qualcuno, parlando di lui, usava la parola ”nascosto”. Figurarsi se si era nascosto. ”Ero qui, lavoravo negli alberghi, come maitre. E viaggiavo, sono stato a Berlino, in Italia. Sempre con il mio nome. Chiesi anche un incontro con Kappler, quand´era nel carcere di Gaeta, ma non fu possibile vederci. Allora gli scrissi, cose private. Io le cose le ho sempre dette: alle Fosse Ardeatine prima sparò Kappler, poi noi, gli altri ufficiali. Alcuni di loro vivono ancora in Italia, nessuno li cerca, nessuno si scandalizza. Non farò i nomi, perché non voglio metterli in difficoltà. Ho sempre parlato con i miei amici di Badoglio, del duce, senza difficoltà”. Piccolo gesto della mano, come a dire: lasciamo perdere, roba passata. Lo infastidiva anche la timidezza della domanda sulle Fosse Ardeatine: lui aveva sparato? ”Ma certo, cara”. Quante volte? ”Una, due, tre: come posso ricordare con precisione? E poi che importanza ha? Era un ordine. E quelli erano tutti terroristi”. No, questo non era vero. ”Ma sì, dai”. Si considerava un assassino? ”Oddio che parolona. Ho ammazzato, così mi avevano detto di fare. Ma non per gusto personale. Tra l´altro a noi ufficiali, dei morti in via Rasella non importava niente. Fossero stati nostri ragazzi. Ma erano del Tirolo, più italiani che tedeschi”. Insomma, soldati che potevano anche essere uccisi, senza che uno nato a Berlino sentisse il dovere di piangerli. Insisteva sulle Fosse Ardeatine: ”Nessuno di noi pensava o voleva vendicarsi, l´ordine arrivò molto dall´alto. Kappler fu inflessibile, costrinse a sparare anche il cuciniere”. Priebke era direttore della scuola "Primo Capraro" di Bariloche, dove non si parlava male di Hitler, dove era vietato mostrare film sui campi di concentramento. A chi interessavano in quella località di montagna dove nel corso degli anni avevano trovato rifugio un centinaio di nazisti in doppiopetto? Priebke parlava del suo arresto a Bolzano, il 13 maggio 1945, con il generale Karl Wolff, comandante delle Ss in Italia, come un atto di vigliaccheria. Era poi riuscito a fuggire da un campo di prigionia, a nascondersi a Vipiteno, dove aveva fatto lavori di campagna, ”molto faticosi”. Infine l´imbarco a Genova con moglie e figli, ma soprattutto con un passaporto della Croce Rossa. Non capiva la giustizia italiana: cosa volevano da lui? ”Bariloche è piena di ex nazisti. Così come l´Italia. Ne conosco molti che a guerra finita sono rimasti a vivere nei dintorni di Roma. Ce n´era anche uno, fidanzato con una ragazza italiana, che era stato addirittura scelto come comparsa in un film sulle Fosse Ardeatine. Dicevano che in divisa sembrava un perfetto tedesco. Anche Harster, il mio capo, che contava molto più di me, ogni anno andava a vedere gli spettacoli all´Arena di Verona. Senza mai essere fermato. Gli italiani esagerano, perché se la prendono con me? La colpa è dei partigiani, di chi fece l´attentato”. Era un vecchio stizzoso, Priebke. A posto con la storia, con il suo passato e presente. Peccato, non avere più tempo per andare a pesca di salmoni. Peccato, tutta questa ostinazione nel ricordare. A cosa serviva?» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 7/3/2004).