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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Prisco Peppino

• . Nato a Milano il 10 dicembre 1921, morto a Milano il 12 dicembre 2001. Suo padre era di Torre Annunziata. A 19 anni si arruolò negli alpini e l’anno dopo partì per la campagna di Russia: fu uno dei pochi a sopravvivere a quella tragica spedizione. Nel ’44 si laureò in Giurisprudenza. Dal ’68 all’83 fu presidente dell’Ordine degli Avvocati. Consigliere dell’Inter dal ’50, ne divenne vicepresidente nel ’63 sotto la presidenza di Angelo Moratti, artefice della Grande Inter di Herrera. Proprio alla vigilia dei suoi 80 anni Ronaldo gli aveva fatto il regalo più bello, tornando a giocare e a segnare. ”’Il giorno prima di morire vado a fare la tessera del Milan. Così se ne va uno di loro’. Ma non ha fatto in tempo, Peppino Prisco, a dare un compimento così geniale alla sua carriera di interista. Ha fatto giusto in tempo, invece, a godersi il primo gol del Ronaldo risorto. Poi se n’è andato di notte, senza dare eccessivo disturbo, da quel gran signore che era. E non saprà, accidenti, come è andata a finire l’appassionante fuga dell’Inter di Cuper: se Dio esistesse, non si permetterebbe mai di far morire uno come Peppino Prisco a campionato in corso. Mai lutto fu più di fazione (Prisco era un contradaiolo dell’Inter: considerava il resto solo un fastidioso dettaglio), mai lutto fu più rappresentativo di tutto il mondo del calcio. L’avvocato Peppino ha vissuto la dannazione del tifo con dedizione così esemplare che qualunque tifoso, di qualunque altra squadra, poteva riconoscere in lui la sua stessa malattia. Non credo avesse nemici. Riusciva sempre (e questo è puro stile) a dileggiare l’avversario senza offendere, a ferire senza spargimento di sangue. Non si ricorda una sua sola sortita volgare. Una sua sola battuta greve. Perfino l’estrema beffa riportata in testa a questo articolo, per quanto ferale sia l’intenzione che contiene, possiede tutta la leggerezza dello humour vero. Proprio quella che le curve così raramente riescono a dispiegare. E dire che non era certo la moderazione a ispirarlo, come tifoso. Ma Prisco fu l’esempio, rarissimo, di come si possa perdere la testa per un gioco vivendone fino al parossismo le gioie e i dolori, però conservando un sostanziale rispetto, appunto, per la sua natura di gioco, e dunque preservandone l’antica, collaudata misura. Quando parlava dell’Inter, Prisco era un bambino di ottant’anni. Smagato, dialettico, ormai espertissimo nell’amministrare i suoi sentimenti, ma ancora gioiosamente infantile, come chi sa difendere un territorio magico, una sua via Paal, dai colpi maligni dell’età adulta, della speculazione, del disinganno. Dentro il calcio da una vita, l’avvocato conosceva a memoria tutte le storie di business e di Borsa, tutte le camarille di palazzo, tutti gli annessi e connessi che hanno trasformato il pallone in una branca non sempre edificante dell’economia politica. Ma quando entrava in uno stadio, quando arrivava davanti a una telecamera e a un microfono, lui voleva continuare imperterrito il suo gioco, lo stesso conosciuto da piccolo in una Milano ormai remotissima, quando l’Ambrosiana-Inter scendeva ancora all’Arena. E riusciva a comunicare a tutti, fratelli di fede e infedeli, questa irriducibile capacità ludica, la memoria intatta di una disciplina imparata da sbarbato, come si dice a Milano, e destinata a rimanere identica per i secoli dei secoli. Il calcio di Prisco dava un’illusione di eternità. Ci mancherà parecchio. Ovvio che manchi a noi nerazzurri, dei quali Peppino Prisco era l’indiscusso Vate, conoscitore profondo, e commentatore acre, di tutte le nostre malinconie. Meno ovvio, ma perfino più bello, sapere quanto mancherà agli avversari, che hanno perduto un magnifico compagno di beffe, di schermaglie, di gioco” (Michele Serra, ”la Repubblica” 13/12/2001). ”Questa, poi. Peppino Prisco se n´è andato prendendoci tutti in contropiede, come faceva la sua Inter. Un infarto secco, nella notte fra martedì e mercoledì, ’senza quel preavviso di almeno 48 ore’ che aveva proposto al Padreterno, scherzando, non più tardi di domenica sera a Controcampo. Erano i suoi giorni, questi. L´Inter prima in classifica, il gol di Ronaldo, il compleanno, le interviste, gli speciali tv. Al punto che, sempre domenica sera, le troppe coccole lo avevano vagamente insospettito: ’Quanti auguri, quanti complimenti: non vorrei che tutti ´sti elogi puzzassero di... necro-elogi’. Alpino e interista. Gli piaceva definirsi così. L´avvocato civilista, il principe del foro, veniva dopo. Prisco nasce a Milano il 10 dicembre del 1921, al numero 66 di corso Buenos Aires, da madre milanese (’battezzata in Sant´Ambrogio: Dio, se ci teneva’) e da padre napoletano. Si laurea in giurisprudenza nel 1944, dal 1968 al 1983 è presidente dell´Ordine degli avvocati. Interista, lo diventa per caso una domenica di primavera del ´29. Gli ’zii’ Pasquale e Antonietta Bussola, carissimi amici di famiglia, si presentano come d´abitudine a casa e, fatto insolito, sfoderano un vassoio di paste. Motivo: c´è da festeggiare la vittoria dell´Inter (Ambrosiana, allora) nel derby con il Milan. Il piccolo Prisco ignorava cosa fossero, l´Inter e il Milan, ma i dolci, e la ragione di quel piacevole imprevisto, lo spinsero, parole sue, ’dalla parte giusta’. Tanto più che, di lì a poco, i nerazzurri si sarebbero laureati campioni d´Italia. Amore folle, a prima vista. Consigliere dal 1950, sotto la presidenza Masseroni, e dal 1963 vicepresidente per volontà di Angelo Moratti. Mai una scappatella, che si sappia. Perché a questo mondo si può tutto, cambiare moglie e persino fede religiosa, ma non squadra. E poi gli alpini. Un´idea, un ideale, un´esperienza che l´hanno segnato. Partì per il fronte russo il 17 agosto del 1942. Divisione Julia, battaglione ’L´Aquila’. Erano 1600 alpini, 53 ufficiali, 380 muli: tornarono 159 alpini, 3 ufficiali e 12 muli, compreso quel Fusco, si legge nel libro-intervista Pazzo per l´Inter a cura di Giuseppe Baiocchi, ’che ’quelli’ dell´artiglieria avevano tentato invano di portarci via’. Un inverno terribile, l´inverno del ´42. Mamma e papà gli scrivevano tutti i giorni. Papà, spesso, addirittura due lettere al giorno: s´informava di come andasse lo studio dei codici. Gli faceva gli auguri di buon anno, si rammaricava perché ’ormai è certo che non verrai in licenza per gli esami’. Al fronte, Peppino non ne lesse nessuna. Gli eventi precipitavano. La guerra, il gelo, la ritirata: dal 17 al 31 gennaio del ´43, 380 chilometri dal Don a Shebekhino, sempre a piedi. Le lesse dopo, sulla tradotta del ritorno, insieme con la ’Gazzetta’, che aveva comprato, con un baratto, a Brest-Litowsk. Impossibile dimenticare. E difatti non ha dimenticato. ’Penso ai tanti che non ce l´hanno fatta, penso a quello che abbiamo sofferto. Non so se da morto andrò all´inferno: so solo che ci sono già stato’. Alpino dalla testa ai piedi, sempre. Con un´unica macchia: era astemio. E poi l´Inter. Una passione che gli ha permesso di allenare e affinare l´ironia. I suoi idoli sono stati Peppino Meazza e Ronaldo: le foto le teneva sulla scrivania, ’prima c´era in mezzo quella dei miei genitori, ma l´ho tolta, sperando nella loro indulgenza’. Guai a chi gliela toccava, l´Inter. Anche quando non era la più forte, era sempre troppo forte il sentimento che gli suscitava. Perché sì, era l´affetto sfrenato a concepire le battute che l´hanno reso famoso e unico, soprattutto, in un ambiente più incline a scambiarsi fumogeni e razzi che non frecciate e sfottò. Prisco è stato, dell´Inter, e per l´Inter, un ’ministro senza portafoglio’ dall´approccio fervido e dissacrante. Una colonna. Di più: la colonna sonora. Gli è bastata una lattina di Coca-Cola per annullare la più mostruosa delle sconfitte, 7-1 a Moenchengladbach, in Coppa dei Campioni, il 20 ottobre del 1971, Boninsegna colpito sul 2-1. Il reclamo portò all´annullamento della partita e alla ripetizione sul campo neutro di Berlino: l´Inter, vittoriosa a San Siro per 4-2, pareggiò 0-0 e si qualificò. Prisco ha servito cinque presidenti: Masseroni, Moratti senior, Fraizzoli, Pellegrini, Moratti junior. Per difendere Recoba nella vicenda dei passaporti falsi, non ha esitato a metterne alla berlina la sua ’pirlaggine’, in un sussulto di arguta e tagliente napoletanità. Mancherà a tutti, anche agli avversari, milanisti compresi, e pure a Teo Teocoli, che l´aveva onorato di una straordinaria imitazione. Quegli avversari che erano sempre sulla punta della sua irriverente linguaccia, e per questo fremevano di (finto) sdegno. ’Il Milan è andato due volte in B: la prima a pagamento, la seconda gratis’. ’Vero, siamo nati da una costola del Milan: siamo partiti proprio dal nulla’. ’Se intitolassero Malpensa a un milanista, mi servirei solo di Linate’. ’Il rigore negato a Ronaldo in Juve-Inter dell´aprile ´98 non è stato assolutamente un furto: in realtà, si è trattato di ricettazione’. ’Una sera, dopo una partita, Silvio Berlusconi mi portò nel ’loro’ spogliatoio. Resistetti un minuto e poi scappai via. Ma dove va? mi domandò, sorpreso, il Dottore. Gli risposi: a cercare un confessore’. L´ultima sera, l´ha passata in trattoria, fra amici, le poesie dialettali di Carlo Porta come sottofondo. Innamorato di Milano e delle sue nebbie, medaglia d´argento al valor militare, lascia la moglie Maria Irene detta ’Lalla’ e i figli Luigi e Anna. Lascia soprattutto, e non è una frase fatta, un vuoto tremendo in coloro che credono che il calcio non sia soltanto guerriglia e miliardificio, ma anche, come una volta, sapido campanilismo. Scoprì l´Inter in testa alla classifica. E dalla testa della classifica la saluta. Non è una ritirata. E neppure una fuga. E´ una battuta: l´ultima. Avvocato Prisco, alpino e interista: ci mancherà” (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 13/12/2001). ”Peppino Prisco l’ho incontrato una volta sola. Quando siamo stati presentati, a San Siro, mi ha chiesto, con quello splendido sorriso sbieco da commissario di polizia, se fosse vero che, in un articolo, l’avevo definito ’imparziale’. Ho risposto: ’Avvocato, me ne guarderei bene. Lei è la persona più parziale che io conosca’. Si è rilassato. ’Ottimo’, ha detto, prima di scomparire dentro l’ombra monumentale di Facchetti. Mi piaceva, l’avvocato Prisco. Mi piaceva, prima di tutto, perché era interista (questa è un’affermazione gratuita, e politicamente scorretta: gli sarebbe piaciuta). Mi piaceva poi perché era milanese, e come tutti i milanesi veri - quelli adottati, quelli con la grinta e il cognome da importazione - era un po’ spaccone e decisamente buono; e la prima caratteristica confluiva nella seconda, come gli avversari di Milano non capiranno mai. Mi piaceva, Peppino Prisco, perché in un calcio nevrotico era rimasto uno che scherzava, imprecava e festeggiava. Il pallone, per lui, non è mai stato una forma di guerra. Era la versione lombarda del palio di Siena, e lui era un contradaiolo metropolitano. Invece di piazza del Campo, il campo di San Siro. Invece di un cavallo che gira in tondo, dieci ragazzi che corrono avanti indietro, e uno che li guarda dal fondo. A guidarli, invece del fantino Aceto, il balsamico Cuper. Per il resto tutto uguale: voglia di vincere, e una faziosità che mozza il fiato, scaldando il cuore. Mi piaceva, Peppino Prisco, perché era competitivo. Questo vuol dire che adorava vincere, ma sapeva perdere. Diffidate dei decoubertiniani che popolano gli stadi, piccole jene in loden che dicono di amare gli avversari e li vorrebbero morti. Credo che Peppino Prisco non si sia mai augurato l’infortunio di un giocatore dell’altra squadra. Gli bastava scivolasse al momento opportuno, e noi potessimo far gol in contropiede (su questo punto devo chiedere conferma agli esegeti di ’Inter Nos - Cenacolo Sportivo di Tifosi Interisti di Scuola Prischiana’. Sta a Bologna. Ho la tessera). Sì, non ho dubbi. Per l’avvocato Prisco l’importante non era partecipare. Era vincere, preferibilmente contro il Milan, con un gol di stinco al novantaduesimo. Se poi, nella realtà, il Milan ci ha rifilato dieci gol nelle ultime due partite - senza rubare, accidenti - che importa? Noi abbiamo l’ironia, una bella squadra, magnifici colori e un presidente che sorride come un simbolista francese. E siamo primi in classifica. A proposito. Volevo evitare di scrivere che Peppino Prisco sembra aver scritto la sceneggiatura della sua uscita di scena: neo ottantenne festeggiato, l’Inter davanti, Ronaldo e Vieri che tornano a giocare e segnare insieme, Milan e Juve in chiara difficoltà. Ma come non farlo? Se ci sono lutti sereni, questo è uno. Non poteva che regalarcelo, salutandoci, un tipo così. Uno che non ha mai fatto il personaggio, perché era un personaggio. Uno che aveva sostituito la foto dei genitori sulla scrivania con quelle di Meazza e Ronie (’I miei capiranno’). Da oggi, però, orfani nerazzurri siamo noi. Come la mettiamo? Potremmo vincere tre scudetti di fila, per farlo contento. Oppure chiedergli una mano dal cielo per il prossimo derby. Quello che non fermerà Toldo, lo prenderà lui. E se dovesse accadere che non ci arrivano né Toldo né Prisco, va bene comunque. Noi siamo l’Inter, e ci basta. Vero, avvocato?” (Beppe Severgnini, ”Corriere della Sera” 13/12/2001).