Varie, 6 marzo 2002
PROCACCI
PROCACCI Domenico Bari 8 febbraio 1960. Produttore cinematografico. Debutta nel 1987 producendo l’esordio di Giuseppe Piccioni, ”Il Grande Blek”, con Sergio Rubini. Due annidopo, prendendo in prestito il titolo del suo film del cuore, ”Fandango” di Kevin Reynolds, crea la casa di produzione omonima e produce pellicole come ”La stazione” e ”Le mani forti”. Nel 1998 con ”Ecco fatto” tiene a battesimo Gabriele Muccino. Da lì un’ascesa che comprende nomi come Crialese, Sorrentino, Mazzacurati, Vicari, Garrone • «La sua ”bottega rinascimentale” già spazia tra produzione e distribuzione, editoria cartacea e musicale, documentari, una sala (Politecnico a Roma). […] Lo stile: non polemizzo, faccio. […] Viene definito il nuovo Cristaldi» (Paolo D’Agostini). «Sono venuto a Roma nell’81 per studiare cinema alla scuola Gaumont inventata da Renzo Rossellini l’anno prima. Da Bari, studente di legge, 21 anni. Lì ho trovato Giuseppe Piccioni, Daniele Luchetti e tanti altri. C’era il mito dell’autogestione, tutti facevano tutto come quando suo padre Roberto aveva diretto il Centro Sperimentale, oggi Snc. Da quella scuola è venuta fuori tanta gente, si è creata una situazione speciale. Quando la Gaumont è crollata ci siamo riuniti in cooperativa: Il grande Blek, debutto di Piccioni, fu un’esperienza collettiva. Poi ognuno per la sua strada e io, l’unico che si è dedicato alla produzione, ho formato nell’89 Fandango. Primo film La stazione di Sergio Rubini: dissero ”è teatrale’, ma fare film da piéce teatrali diventò una moda”. Il secondo di Rubini La bionda è un fallimento… ”Inspiegabile, ma i risultati economici negativi mi hanno condizionato per anni. Mi ha dato energia una strada nuova: fuori d’Italia, in Australia. Era stato distribuito La stazione e mi capitò di leggere il copione di Bad Boy Bubby di Rolf De Heer, quanto di più lontano dai film ”carini” che si facevano allora in Italia”. La tentazione di rinunciare? ”Venivo consigliato così, ma avevo sbagliato io e volevo riparare da solo, resistere senza compromessi. Da allora ho sbagliato poco”. Quando il ”salto”? ”Con RadioFreccia. andato molto bene: senza attori noti, non era una commedia, la diffidenza iniziale verso l’anomalia di Ligabue. Partenza lenta ma vita lunghissima: dieci miliardi. Come in tutto quello che fa Ligabue viene fuori una grande sincerità, spontaneità. Il suo mettersi in gioco e non risparmiarsi, non frenare le emozioni. Il cinema è mediazione ma è riuscito a trasmettere la stessa energia”. RadioFreccia come I cento passi, gli anni 70 senza fare rievocazione: ragazzi di ieri nei quali si sono riconosciuti quelli di oggi. Prevedibile? ”No. E l’idea degli anni 70 era di Ligabue, io pensavo alla provincia dei suoi racconti ma non al passato. Ho partecipato all’invenzione di qualcosa, il massimo. Vai a casa di uno che fa altro e lo convinci prima a scrivere un copione (con Antonio Leotti), poi a comporre le musiche e infine a fare il regista. Per un po’ mi ha mandato a quel paese. Gli ho detto: questa è la tua storia, la tua visione, e a me piace. Se vuoi cerchiamo un regista ma io preferirei mettere te nelle condizioni di farlo. Ha corso lui più rischi di tutti”. Capitolo Muccino… ”Con Ecco fatto dimostra subito talento. facile, dopo, fare Come te nessuno mai. Più immagine che incassi, ma conferma un regista con grandi potenzialità e attenzione al pubblico. Ecco fatto ha dimostrato uno stile, con quel movimento frenetico. Però il montatore era preoccupato e a me il copione sembrava lunghissimo, così gli chiesi di tagliarlo. Alla fine non si arrivava ai 90 minuti e dovemmo girare altre scene”. Cioè aveva ragione lui? ”Sì. E L’ultimo bacio è finalmente un successo tondo. Senza tradire la fedeltà a quello che ho fatto prima. Sempre storie di maturazione: da Il grande Blek a RadioFreccia, dal Partigiano Johnny a Muccino. Come Fandango, il film più bello sul tema, al quale ho ispirato il mio marchio. Lo sento molto mio, è bello arrivare così a un risultato tanto importante […] Dal produttore giovane e coraggioso di film difficili che vedono in 15, qualcosa è cambiato. […] Mi responsabilizza a produrre di più, oltre che investire come ho sempre fatto sui giovani. più facile sbagliare ma lo sento come un dovere… […] M’interessa non lavorare solo su un oggetto ma girarci intorno: distribuire E morì con un felafel in mano significa anche pubblicare il libro e la colonna sonora. Non tutti i conti tornano nell’immediato: gli investimenti tornano in prospettiva”. In questo cammino ha coinvolto tanti scrittori… ”Baricco. Veronesi, Lucarelli, Edoardo Nesi. Non mi piacciono i compartimenti stagni, ma cercare occasioni per ”contaminare’. Ligabue è esemplare. Baricco lo avevo conosciuto dopo Castelli di rabbia, ho acquistato i diritti ma non ho fatto il film, sono diventato socio della sua Scuola Holden dove non faccio niente e prima o poi mi cacceranno: ma so che maturerà qualcosa. Lucarelli: abbiamo tratto dal suo Lupo mannaro un film di Antonio Tibaldi non ancora uscito, poi abbiamo progettato una serie tv che non si farà, ma lui ha scritto i risvolti di copertina di nostri romanzi. E avanti così. Mi piace muovermi ”largo” e tento di farlo sempre più via via che ne ho la possibilità. Lo dico? Creare una situazione ”rinascimentale’ […] Da RadioFreccia mi dico: sarebbe bello fare una radio. Un progetto c’è, devo trovare tempo, testa, e soldi. Ma prima un’altra cosa, ho in mente da tanto una scuola di cinema. Non mi unisco al coro di lamentele per quello che sta accadendo: non basta. Parli chi fa politica, faccia valere le sue ragioni nelle sedi opportune. Chi fa il mio lavoro si rimbocchi le maniche e faccia. Ognuno quello che può, è il momento. Io riprendo una vecchia tentazione, ispirandomi alla libertà di quell’esperienza apparentemente sgangherata voglio legarmi al lavoro e a quello che faccio con Fandango. Immagino un luogo dove i ragazzi possano venire a chiedere e noi possiamo aiutarli. Un tassello in più della stessa cosa che tento di costruire da tempo, in cui credo. Sì, una bottega rinascimentale» (’la Repubblica” 4/2/2002).