Varie, 6 marzo 2002
PRODI
PRODI Romano Scandiano (Reggio Emilia) 9 agosto 1939. Economista e uomo politico. Ministro dell’Industria (1978-79); presidente dell’Iri (1982-89 e 1993-94). Cattolico di centro-sinistra, è stato leader dal ”95 della coalizione dell’Ulivo, con cui ha vinto le elezioni dell’aprile 1996. Deputato dal 1996 al ”99. Presidente del Consiglio (1996-98) e della Commissione europea (1999-2004). Scelto con le primarie del 2005 come candidato del centro-sinistra alla guida del governo, nel 2006 per la seconda volta si è imposto, seppur di stretta misura, nelle elezioni politiche alla testa della coalizione dell’Unione. rimasto alla guida del governo fino alle elezioni anticipate dell’aprile 2008 che hanno sancito la vittoria della coalizione di centro-destra (Garzantina Universale, 31 agosto 2008) • «Carriera bruciante e sempre anticipata: professore ordinario a 31 anni, presidente Il Mulino a 35, ministro dell’Industria (governo tecnico Andreotti) a 39, presidente dell’Iri a 43. Infine, presidente del Consiglio del primo governo con la sinistra in poltrona […] Uomo di potere, senza dubbio» (Cesare Fiumi, ”Sette” n. 42/1998). «’Il più grande giocoliere del Circo Europa” lo definiscono adesso con malcelata ammirazione perfino gli euroscettici inglesi […] Qualcuno comincia a chiedersi se non punti al bis, a un prolungamento del mandato. Di certo non è più l’uomo che giocava in difesa, vaso di coccio italiano tra vasi di ferro, erede di una stagione politica (quella dei 13 governi di sinistra su 15 paesi) tramontata […] Eppure, chi conosce il percorso del ”professore” a Bruxelles ricorda quanto i primi passi del nuovo presidente italiano siano stati incerti. Grande voglia di fare della Commissione un vero governo europeo, mentre quelli nazionali non avevano alcuna intenzione di cedere potere; difficili rapporti con la burocrazia di Bruxelles, poco propensa a farsi riformare; qualche disattenzione all’immagine e alla comunicazione. E nello stesso tempo la difficoltà oggettiva di portare avanti due scommesse di portata storica come l’introduzione dell’euro e l’allargamento dell’Unione a Est in un clima di montante euroscetticismo, di fine del ciclo economico espansivo, di esplosioni populistiche. La svolta è avvenuta quando ha capito che la grande politica i leader europei avevano tutta l’intenzione di continuare a farla loro, ognuno per conto proprio. Se non voleva diventare il passacarte delle decisioni prese nei vertici del Consiglio europeo, doveva cercarsi un ruolo diverso. Così si è visto via via il Prodi sponsor dei paesi ex comunisti ansiosi di aderire all’Ue, il realista di fronte alle difficoltà economiche di Francia, Italia, Germania; il mediatore, sempre tra Germania e Francia, sul tema della nuova politica agricola o tra paesi mediterranei e nordeuropei sugli aiuti alle zone depresse. Fino alla polemica con la Banca centrale europea a proposito della necessità di una guida politica degli strumenti economici, da affidare proprio alla Commissione» (Fabrizio Coisson, ”Panorama” 30/10/2002). «’In matematica era zero. Un disastro. Non gli piaceva e non ne capiva. E non solo alle medie, dove all’inizio faticava anche in altre materie: pure al liceo quando era diventato il più bravo della classe e prendeva nove in italiano. Andava bene in greco, col professor Enrico Dossetti, il fratello del sacerdote. E Benissimo in storia, la sua materia preferita. Faceva dei bei temi. Ma la matematica non gli andava giù”. Par di vederlo l’alunno Prodi, grembiule nero, elementari di Reggio Emilia, davanti al compito della maestra: ”Se sul banco del mercato ci sono 625 mele e il contadino ha necessità di metterne in cascina più della metà per superare l’inverno, basterà al contadino possedere 312 mele? Indicazione, risoluzione, calcolo”. E l’alunno Prodi va in crisi come, cinquant’anni più tardi, il suo governo. Il primo, nella storia politica italiana a chiedere la fiducia senza avere le mele sufficienti […] ”Personalità molto controllata, con rari scatti d’ira, che evita di accumulare malessere. E dal livello bassissimo di ostilità inconscia”, aggiunge Maria Prodi, sorella di Romano e neuropsichiatra. Insomma, un bradicardico della politica: battito lento, sangue non proprio bollente, resistenza alla fatica. Perché Prodi, anche fisicamente, è così: uno che soffre il freddo e subito si copre se tira un po’ d’aria, ma poi una volta in moto è come un diesel, ha più birra di tanti altri. Uno che, alla distanza, tiene […] Noi lo conosciamo oggi ciclista di passo e uomo di footing, ma ai tempi della scuola non era quel che si dice un atleta e se i compagni giocavano a calcio, a pallavolo o a basket lui era per consuetudine riserva. ”E comunque ultima scelta, quando si trattava di far le squadre a pari e dispari” puntualizza Gian Paolo Manenti, avvocato reggiano, in prima fila con Romano dalle medie fino al liceo, il compagno di banco che raccontò le doti taumaturgiche della testa dello studente Prodi, ”che tutti gli altri studenti carezzavano prima di andare interrogati, perché portava bene. Era un sistema infallibile. E lui non se ne aveva a male, si divertiva del rituale e non si scocciava mai” […] Scherza Aldo Rovati, ex cestista, amico fraterno da una vita: ”Prendiamo Romano sugli sci. Non è un modello di classe, se ne sta rigido e legnoso sulle gambe, scia di forza, ma è impressionante per determinazione: alle otto è già fuori per andare in pista e non molla fino a sera. Non riesci a stargli dietro. Resistere è il suo mestiere e alla fine si convince perfino di avere uno stile […] Un solo vero consigliere, Flavia Prodi (la studentessa corteggiata dal giovane assistente, appostato tra le colonne dell’Università per incrociarla e sposata nel 1969, ”il giorno più bello della mia vita”)» (Cesare Fiumi, ”Sette” n. 42/1998). «[...] il Culo di Prodi: categoria mitologica [...] Come tutti i fenomeni meravigliosi, come un monstrum smisurato e stupefacente, come un prodigio preternaturale, una chimera, una fenice, una cometa, il C. di Prodi è un Ente largamente imprevedibile [...] Il dono del mago Romano esiste da tempi immemorabili, eppure ricordati religiosamente dai fedeli: i compagni del liceo gli sfregavano la nuca prima delle interrogazioni, convinti che il contatto con gli spigoli vivi della blindatura cranica di Prodi fossero una garanzia di fronte a qualsiasi insegnante. Si sa che all’Augustinianum, il collegio dell’Università cattolica dove il futuro leader del centrosinistra era arrivato per concorso, i suoi compagni di corso Tiziano Treu e Giovanni Maria Flick ripetevano lo stesso gesto fiduciosi che la sfregatina avrebbe favorito il superamento di qualsiasi esame. In verità, il comandamento della Fortuna avrebbe preteso una palpatina al gluteo: ma i giovani cattolici non avevano bisogno degli insegnamenti di Buttiglione per evitare il contatto sacrilego. Oltretutto, alla Sorte si unisce il Fiuto: mentre tutti in Italia studiano l’ultima variazione della teoria del valore di Sraffa, lui si mette a studiare l’industria delle piastrelle a Sassuolo, e diventa per tutti, politici e industriali, l’economista che parla di cose che si capiscono. Poi si sa come va: il possessore del Dono via via si convince che qualcosa esiste, non è vero ma ci credo, ed è così che si formano le personalità. Comincia ad accettare con tranquillità incarichi complessi. Accoglie come una chiamata celeste, a 39 anni, la nomina a ministro dell’Industria nel governo Andreotti del 1978. Diventa presidente dell’Iri con la serena tranquillità dei predestinati, e usa il suo Potere per resistere alle raccomandazioni di Giulio Andreotti. Nell’Iran sciita scambia baci appassionati con gli ayatollah per incassare una fornitura, nell’Italia cerca di evitare i baci traditori di Giuda grandi e piccoli: ”Ho fatto 33 privatizzazioni; quando ho fatto la trentaquattresima hanno privatizzato me e mi hanno mandato a casa”. Tanto la storia suona sempre due volte. già quasi un uomo politico fatto e finito quando Oscar Luigi Scalfaro gli offre Palazzo Chigi, ma la Fortuna lo ammonisce che non è ancora venuto il tempo, e gli offre il rifiuto di Mariotto Segni a fargli da vice. Verrà, verrà l’occasione. Occorre rispettare la sorte, consolidare la virtù, saper aspettare. ”Eh sì”, dicono i suoi amici, ”Romano ha temprato il C. standosene nel suo ufficio di Nomisma. Riceveva i frati francescani e gli spiegava l’economia, incontrava i russi e gli raccontava il mercato”. E quando è stato il momento, l’azione è diventata chirurgica. Il 2 febbraio 1995, caduto Berlusconi, si affaccia nell’atrio di Nomisma e annuncia che si candida alla guida del Paese. ”Le botte di C. aiutano gli audaci”, commentano i suoi fedeli, intendendo che Prodi possiede la dote divina della Fortuna degli innovatori: ”La Fortuna di Prodi vola alta”. Il che significa assumersi ogni volta rischi impensabili: creare l´Ulivo mettendo insieme cattolici e postcomunisti, battere il mago Berlusconi dopo essere riuscito a stare a bagnomaria per un anno senza ammollarsi. E vincere le elezioni con la suprema eleganza chiappesca di prendere meno voti del Polo, al proporzionale, perché evidentemente, e lo potrebbe confermare anche il professor Giovanni Sartori, il C. ha una tendenza maggioritaria. Rischi, scommesse. Puntare sull’euro quando la lira era considerata come ”la pizza de fango der Camerun”. Scommessa vinta. Risanamento dei conti pubblici: idem, grazie alla sorte di avere un ministro del Tesoro come Carlo Azeglio Ciampi. Scommessa delle 35 ore, portata a casa anche quella. E qui il cielo si oscura, il velo del tempio si squarcia, perché di lì a poco, nell’ottobre nero del 1998, può anche capitare di ritrovarsi con il C. per terra. Per un punto Prodin perse la cappa, era l’iscrizione sulla carta maledetta uscita dal mazzo nella partita taroccata con D’Alema, Cossiga, Bertinotti e Scalfaro: 313 a 312. Roba da farsi benedire. Oppure pensare che la Fortuna ha voluto metterti alla prova, per suggerirti sfide più alte. Presidente della Commissione europea nel 1999, con un sorriso largo così quando Tony Blair definisce la sua ”mission” come ”the most difficult job in the world”. Quando uno ha fronteggiato il cupio dissolvi del centrosinistra, ci vuole niente per puntare tutta la credibilità su un progetto micidiale. L’allargamento. Perché uno non fa il superburocrate, il tecnico dell’europeismo di maniera: si gioca tutto su una presidenza volutamente politica. Se gli va male, prenderà le pernacchie del continente. Se gli va bene, l’impronta del C. finirà stampata nei libri di storia. Finisce, come si sa, con gli applausi corali del Parlamento, compreso il temibile ipercritico Poettering, e i terribili giornalisti anche spagnoli e inglesi che gli tributano ”orejas, ovaciones y música”. [...]» (Edmondo Berselli, ”la Repubblica” 28/10/2004).