6 marzo 2002
Tags : Alain Prost
Prost Alain
• . Nato a Saint-Chamont (Francia) il 24 febbraio 1955. Pilota di Formula 1. Dal 1980 al ’93, ha vinto 51 GP e 4 titoli: i primi 2 li centrò al volante della McLaren Porsche nel 1985 e ’86. Il terzo, con la McLaren Honda, nel 1989 e l’ultimo con la Williams Renault nel 1993, anno del ritiro. Debuttò nel GP d’Argentina 1980 con la McLaren Ford. Alain ha poi corso Renault (1981-83), ancora McLaren (1984-89) Ferrari (1990-91) e infine Williams ( 1993). «[...] di notte si assopiva per sole 4-5 ore. E poi, freschissimo, si presentava negli autodromi per sfidare avversari che si chiamavano Jones, Lauda, Senna, Mansell, Piquet, Rosberg, Arnoux, Patrese e (infine) Schumacher. Alain Prost [...] non ha goduto di una vita agonistica facile. Anzi, avrebbe avuto degli ottimi motivi per dormire tra gl’incubi. Invece è sempre rimasto sereno: la sera prima delle corse si chiudeva nella sua camera d’albergo e cominciava a smanettare col telecomando per divorare i telegiornali, guardarsi dei film. O anche per telefonare ad amici e amiche che conoscevano bene quel rituale che lo faceva sentirsi tranquillo e coccolato. Ammesso che non trovasse qualcuno con cui giocare a carte o discutere di politica, economia o calcio nelle ore in cui i suoi rivali russavano da un pezzo. Un pilota affascinante e carismatico, d’altri tempi, che ha corso nell’era moderna, quella prima di Schumacher. Arrivando a vincere quattro titoli mondiali che sarebbero stati molti di più se avesse avuto una concorrenza più tranquilla. Invece, tanto per citare qualche esempio, ha corso in Renault accanto ad un Arnoux che in quei momenti era dotato di una velocità impressionante. Quando è arrivato alla McLaren, Dennis non gli ha fatto sconti, rifilandogli di fila tre ”compagni” come Lauda, Rosberg, Senna. Poi, andando in Ferrari, s’è trovato con (e contro) Mansell. Il termine ”giochi di squadra” non è mai esistito nel vocabolario di Prost, purtroppo per lui. Ecco perché i suoi 4 campionati hanno un valore che va oltre quello semplicemente numerico. In qualche modo, Prost è stato per la F. 1 ciò che, negli stessi anni, Platini è stato per il calcio. Un atleta di classe immensa, degno di un Fangio. Capace di limare i decimi di secondo dove altri non riuscivano. Ma soprattutto di prepararsi la macchina in modo superlativo. ”Ho visto piloti molto bravi nella messa a punto dei telai, ma nessuno come Prost, capace di personalizzarsi il motore, grazie ad un colloquio costante e talvolta ossessivo con i tecnici”, racconta Bernard Dudot, il responsabile dei propulsori Renault. Lo stesso dicono i tecnici delle gomme, per le quali Prost aveva una cura religiosa, tanto che nei finali di gara (quando non c’erano i pit stop) era quello che poteva attaccare. Guidava in modo felpato, tutto gli veniva facile in situazioni in cui altri dovevano togliere il piede dal gas. C’è una cosa che gli è rimasta indigesta: non essere riuscito a portare il titolo iridato a Maranello. C’è andato vicino nel 1990, la sua prima stagione, ma alla penultima gara Senna lo ha buttato fuori senza complimenti alla prima curva di Suzuka. stato l’atto più violento di una rivalità come non ce ne sono più state. Perché quando due super campioni si trovano sotto lo stesso tetto, con lo stesso mezzo, è quasi scontato che vada a finire così. Prost e Senna sono stati i primi eroi di una F. 1 da grandi audience televisive e questo è pesato per l’orgoglio di entrambi. Con enormi vantaggi per lo spettacolo. Ci sono state collisioni, sorpassi, staccate da brivido, malizie, scorrettezze che hanno creato un vallo fra le diverse tifoserie. Ma alla fine, quando Prost si è preso un anno di sosta, i rapporti con Ayrton si sono magicamente normalizzati e, anzi, sono diventati affettuosi: ”Alain, mi manchi...”, disse Senna a Prost, per telefono, qualche ora prima di morire a Imola. Nei giorni precedenti, il magico brasiliano aveva dichiarato di provare nostalgia per quelle battaglie tese ed estreme con un pilota come Alain, dotato di una bravura unica. Prost piaceva anche a Enzo Ferrari, che l’avrebbe voluto con sé nei primi anni ’80, ma non se ne fece nulla per via degli sponsor. Gli stessi che poi portarono invece Prost alla Ferrari alla fine del 1989, quando il Grande Vecchio era morto: ”Mi spiace - disse Prost - perché con lui avremmo potuto fare grandi cose”. E invece il suo finale a Maranello è stato tutt’altro che allegro, con un pretestuoso licenziamento a due gare dalla fine, per via di una frase banale che aveva detto in pubblico: ”La mia Ferrari ha la maneggevolezza di un camion”. Era stato ancora gentile, nei confronti della macchina che gli era stata affidata. In realtà, Prost non ha mai avuto troppi peli sulla lingua. Forte nella dialettica, pronto nelle battute, maligno anche qui, se il caso: ”I giapponesi della Honda hanno budget ampi e molta tecnologia. La Porsche, sul piano potenziale, può batterli. Ma non ha la testa”. ( Ungheria 1986). ”Dietro di me nonc’è una nazione che tifa. Forse i francesi mi sostengono senza darlo troppo a vedere. Ma io corro per me, non per la Francia” (Cernobbio, 1984). ”L’ambiente tratta un pilota come un dio, però pretende pure di metterlo in gabbia ed esporlo. Si è continuamente spinti a fare cose che non si vorrebbe. Tanti di noi, i più deboli, s’illudono e dimenticano i valori della vita. Detesto tutto ciò” (Adelaide, 1986). ”Senna è andato più forte di me con la pioggia. Ma è una questione di rischio e di coscienza. Io sono rimasto colpito dal modo in cui Pironi chiuse la carriera nel 1982, tamponandomi. Non amo il pericolo gratuito, non ho nulla da provare su una gara singola” (Imola 1988). ”Se ho mandato dei fiori a una signora? Beh, sì, l’ho fatto. Le donne amano i fiori...” (Monza 1987). Oggi un pilota medio dice, in una carriera, ciò che Prost diceva in un week end. Ma Prost aveva contenuti, cultura, preparazione. Si è incupito solo quando è diventato costruttore ed è andato incontro ad un insuccesso. [...]» (Pino Allievi, ”La Gazzetta dello Sport” 24/2/2005). «Lo ricordiamo tutti per i suoi quattro titoli mondiali [...] Dunque, e senza dubbio, un grande dello sport. Si fece notare subito quando, all’inizio degli anni 80, arrivò secondo dietro Lauda. E fin qui si può dire che sia una cosa normale. Ma lui arrivò secondo per mezzo punto e a detta di molti quel mezzo punto glielo fece perdere la McLaren pur di far vincere Lauda. Poi, cominciammo tutti a chiamarlo il ”Professore” tanto era pignolo, preparato, competente, efficiente. Controllava tutto, in officina e ai box. Impartiva ordini, seguiva il lavoro dei meccanici. Era l’anima di una squadra. Soprattutto della Ferrari dove gli ordini li impartiva ad alta voce, come un nostromo sul ponte della Vespucci spazzato dal vento e dai marosi. E tutti obbedivano. Nessuno fiatava. Spesso, seduto ad un tavolino all’aria aperta, spulciava i tabulati dei computers e dava ordini al mite ingegner Mazzola che allora (inizio anni 90) era il suo ingegnere capo. Lui dettava e Mazzola scriveva, questa la frase con cui venne bollata allora la supremazia aziendale di Prost. Con questo pugno di ferro e con tanti ordini precisi quell’anno poteva vincere il suo quinto titolo ed uguagliare il mito di Fangio. Ma a farlo scivolare dal trono fu il suo compagno di squadra Nigel Mansell. Da professore che era diventò poi ”o cauteloso” come ferocemente lo battezzarono i giornalisti brasiliani. Prudente, a volte un po’ troppo, esitante, incerto. Specialmente quando pioveva. Rimase indelebile la sua uscita di pista durante il giro di ricognizione a Imola, cioè quando si va abbastanza piano. Indimenticabili i suoi duelli con Senna. Memorabili anche le sue battaglie verbali fuori pista. ”La stampa italiana è una stampa di merda” sentenziò una volta nel microfono di Claudia Peroni di Canale 5. Apriti cielo, dovette intervenire il presidente della Ferrari, Piero Fusaro, a lenire i mal di pancia dei giornalisti. Pochi mesi dopo se ne uscì con un’altra sentenza inappellabile: ”La Ferrari è peggio di un camion”. Non ci fu tempo per le polemiche: pochi minuti dopo la Ferrari lo licenziò su due piedi alla vigilia di una gara in cui fu sostituito da Gianni Morbidelli. Questo era l’uomo che solcava le piste da trionfatore. Questo è l’uomo che si è trovato a percorrere la difficile strada del padrone di scuderia. Rilevata la Ligier, partì a razzo per fare la grande squadra di Francia. Sponsor, miliardi, motori, telai, piloti: tutto francese. La ”grandeur” si trasformò però in un fiasco. Magny Cours, dove aveva sede la Ligier, era troppo provinciale per un quadricampione abituato ai fasti parigini e ginevrini: così trasferì tutto a Parigi spendendo una tombola. I motori Peugeot facevano schifo, si mise a dire. E comprò i motori Ferrari per 60 miliardi di lire: i risultati in pista sono stati anche peggiori. Messi alla porta gli sponsor francesi, si era riempito di altri marchi. Uno dei suoi piloti, il miliardario brasiliano Pedro Paulo Diniz, si era offerto di ricomprare lui la squadra. Niente. Giammai. [...]» (Carlo Marincovich, ”la Repubblica” 23/11/2001).