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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

PROVENZANO

PROVENZANO Bernardo Corleone (Palermo) 31 gennaio 1933. Mafioso. Arrestato l’11 aprile 2006 dopo quasi 43 anni di latitanza • « scomparso il 18 settembre del 1963. Quel giorno i carabinieri della compagnia di Corleone lo denunciarono per la prima volta ”in stato di irreperibilità”, il rapporto portava il numero 392/4 e fu spedito al giudice istruttore di Palermo Cesare Terranova. Il ”nominato” era ricercato per omicidio. Una settimana prima un contadino si era presentato in caserma per fare una deposizione. ”Mentre tornavo in paese a dorso di mulo ho visto sul viottolo di contrada Pirrello un cadavere con il viso sfigurato e con solo quattro dita nella mano sinistra...”. Il cadavere era quello di un mafioso che si chiamava Francesco Paolo Streva, l´ordine di ucciderlo l´aveva dato Bernardo Provenzano. Così è cominciata la storia dell´ultimo capo di Cosa Nostra siciliana. [...] Una latitanza senza precedenti in Europa e forse nel mondo intero. Più lunga di quella dei gerarchi nazisti riparati in Sudamerica, più misteriosa di quella di alcuni terroristi internazionali come il famigerato Carlos. Dal 1963 il ”don” di Corleone è un fantasma. L´ultima volta che lo videro libero fu all´ospedale dei Bianchi, proprio dietro corso Bentivegna, la strada principale del suo paese. Era una sera di agosto e lui entrò nella stanza del pronto soccorso con la camicia inzuppata di sangue. Era ferito alla testa, una pallottola di striscio in mezzo a una sparatoria. Disse al medico: ”Stavo passeggiando, ho sentito un forte dolore, ho perso i sensi e non mi sono accorto di niente”. Il medico non fece domande. In quell´estate gli omicidi a Corleone erano già stati 52 e i tentati omicidi 21. Poi Bernardo sparì per sempre. Quel suo primo mandato di cattura - depositato in cancelleria il 13 settembre del 1963 - lo firmò l´esperto del tempo di ”cose corleonesi”, il giudice Terranova, valoroso magistrato che sedici anni dopo (settembre ’79) fu ucciso a colpi di mitraglia proprio dagli sgherri di Luciano Liggio, Totò Riina e di Bernardo Provenzano: ”Tra Giovanni Simone, Salvatore, Bernardo e Simone, figura di maggior rilievo è quella di Bernardo, esecutore materiale di numerosi delitti con Bagarella Calogero (fratello maggiore del più noto Leoluca ndr), suo indivisibile compagno...tutti sono implicati nelle sanguinose vicende del 1958/1963... tali delitti vengono inquadrati nella lotta per il predominio nel corleonese...”. Una catena di morti aperta con l´agguato al vecchio capomafia di Corleone Michele Navarra e chiusa con l´eliminazione di quel Francesco Paolo Streva sul viottolo che scendeva verso il feudo di Strasatto. Da quel momento Bernardo Provenzano è diventato imprendibile e anche invisibile. La sua foto più ”recente” è una sbiadita segnaletica del 1959, quando l´allora giovane boss emergente fu ”invitato” in caserma per un interrogatorio e poi schedato con una grande ”M” stampata sul fascicolo: mafioso. Dentro quell´antico dossier c´è ancora scritto: ”E´ un personaggio di cattiva condotta, la voce pubblica lo addita come responsabile di molti reati. Politicamente non manifesta alcuna ideologia”. Latitante nei campi intorno a Corleone e poi latitante a Palermo. Dal paese alla città, dagli abigeati al ”sacco” edilizio. E poi la droga e gli appalti pubblici. Una carriera criminale nell´ombra, un´ascesa al vertice della Cupola omicidio dopo omicidio. Dai delitti ”eccellenti” palermitani degli Anni Ottanta fino all´uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino firmata con Totò Riina, sempre libero, sempre nascosto chissà dove ma sempre vicino alla sua Corleone. Per almeno vent´anni nessuno l´ha mai cercato. La caccia vera è cominciata soltanto dopo la strage di Capaci. Nel 1992 sulla sua testa c´era una ”taglia” di 2 miliardi di vecchie lire, nel 1996 i miliardi diventarono 3, oggi - raccontano sottovoce gli investigatori - i reparti antimafia hanno a disposizione 2 milioni e mezzo di euro come ”compenso” a chi lo farà catturare. Ma nessuno fino ad ora l´ha mai tradito. Una volta lo inseguono tra i palazzoni di viale Strasburgo a Palermo e un´altra volta nel casolare abbandonato al confine con la provincia agrigentina, fanno missioni in Germania dove abita un suo fratello, tengono d´occhio giorno e notte la vecchia casa di Corleone dove dal 1992 vivono la moglie Saveria Palazzolo e i figli Angelo e Francesco Paolo. Su ogni auto di polizia e carabinieri che circola per la Sicilia c´è sempre una foto formato gigante di un uomo che potrebbe essere lui, un identikit, un´immagine ricostruita al computer sulle indicazioni che di tanto in tanto fornivano i pochi collaboratori di giustizia che l´hanno visto da vicino. L´ultimo dei pentiti che l´ha incontrato è quel suo ”braccio destro” Antonino Giuffrè, uno spacciato come il ”nuovo Buscetta” che poi si è rivelato però un mafioso piccolo piccolo. Anche lui ha parlato tanto di Bernardo Provenzano: senza mai dire nulla. Sembra proprio che la latitanza del vecchio boss sia stata in pericolo solo due volte. Alla fine degli anni 90, quando fu fermato da una pattuglia della ”stradale” a un posto di blocco su una stradina in provincia di Enna: gli agenti non riconobbero - così ha confessato il pentito Angelo Siino - l´amabile vecchietto che avevano davanti. E poi nel gennaio del 2001, quando una squadriglia di poliziotti era certa di averlo individuato in un covo vicino al paese di Mezzojuso. Lui riuscì a fuggire anche in quella circostanza. Storie di blitz falliti. Di intercettazioni ambientali e di pedinamenti costati milioni e milioni di euro. Di trattative segrete con pezzi dello Stato. Negli ultimi tempi gli esperti di mafia lo hanno dipinto come l´uomo della «pace» dopo l´attacco mafioso allo Stato degli Anni 90, come il boss che ha imposto la strategia del silenzio in tutta la Sicilia. E intanto, intorno al misteriosissimo boss di Corleone fioriscono leggende e si inseguono sospetti. Di lui dicono tutto e il contrario di tutto. Che è molto malato (’Soffre di reni”) e che è sano come un pesce (’E´ firrignu, fatto di ferro”), che è il vero garante di ogni ”famiglia” di Cosa Nostra e che fa catturare con soffiate quelli che gli stanno antipatici, che mangia come un uccellino e che è un gran divoratore di bistecche. Di sicuro è uno che non ama i telefoni. Soprattutto i cellulari. Con il suo popolo parla solo attraverso i ”pizzini”, bigliettini di carta che vanno e vengono con fedeli messaggeri. Detta ordini su lavori pubblici da assegnare e su soldi da incassare. E´ religiosissimo. Ogni suo messaggio si apre con un ”grazie a dio” e si chiude con ”il Signore vi protegga e vi benedica”. Sono le sue uniche tracce dopo 40 anni. E poi il buio completo. Da quel 18 settembre del 1963» (Attilio Bolzoni, Francesco Viviano, ”la Repubblica” 17/9/2003). « sempre più solo. E sempre più vecchio, sempre più malato. Lo braccano per le campagne e i paesi della Sicilia arcaica, lo inseguono nel ”milieu” di Marsiglia, gli stanno con il fiato sul collo come mai era avvenuto prima. [...] Una volta era il capo più misterioso della mafia siciliana, adesso lo sbattono in prima pagina e magari domani lo faranno vedere pure tra gli scaffali dei supermercati e sui finestrini degli autobus, copriranno i muri di Palermo con la sua faccia. Prima o poi qualcuno chiederà di mettere una taglia sulla sua testa. E prima o poi arriverà anche la soffiata buona. destinato a finire nella polvere Bernardo Provenzano, il boss dei boss di Corleone. Da quando lo cercano per davvero è sempre più in fuga, mai per due notti nello stesso letto, mai per la prima volta personalmente ai summit con i suoi fedelissimi. Sempre più sospettoso, sempre più attento a non farsi tradire. Da quando gli stanno addosso - e così è da pochissimi anni, con grande sperpero di denaro e tanta scena subito dopo le stragi, con investigazioni mirate ed efficaci negli ultimi mesi - Provenzano ha perso per strada rifugi che riteneva impenetrabili, fiancheggiatori che riteneva amici, ha perso quell’impunità assoluta che [...] gli ha regalato la latitanza più lunga per un mafioso della Cosa Nostra. stato costretto ad affidare la sua sicurezza a uomini d’onore sempre meno affidabili, sempre meno a prova di ”cantata”. Come quel Mario Cusimano che ha cominciato a parlare appena un paio di giorni dopo la sua cattura, quel vivandiere che ha descritto ai disegnatori della polizia il nuovo volto del Padrino, che ha raccontato del travagliato viaggio fino a Marsiglia per l’operazione alla prostata. solo con gli ultimi Corleonesi che sono fuori, i misteriosi ”picciuttunazzi” che vivono ai piedi della Rocca Busambra, contadini sconosciuti alle sezioni antimafia, gli ideali compagni di un capo ricercato da una notte di settembre del 1963. Ma non è solo Cosa Nostra che offre sempre meno protezione al suo capo, è il ”contesto siciliano” sempre più difficile per Bernardo Provenzano, un ambiente che non lo difende come accadeva un tempo. C’è sempre più gente che potrebbe ”venderlo”, che potrebbe accompagnare un poliziotto o un carabiniere fino al suo riparo. un capo che giorno dopo giorno non fa più comodo a nessuno. A Cosa Nostra, che ha sulle spalle l’ingombrante peso di un ricercato a vita, uno che fa troppo parlare di sé e quindi anche degli altri mafiosi. A certi apparati, che presumibilmente per lunghi periodi hanno coperto la sua latitanza, barattando la sua libertà con informazioni e arresti più o meno eccellenti. Quando si prenderà il Padrino si seppelliranno una volta per tutte Corleone - evocativo come nome - si seppellirà la mafia più antica. E quella nuova potrà muoversi con più disinvoltura, fare ancora più business con meno sangue. Dimenticando il passato. Dimenticando per sempre Bernardo Provenzano e la sua Corleone. [...] è diventato un ricercato sempre meno misterioso. Fino a qualche anno fa non sapevamo quasi nulla di lui, solo che era sparito in una notte di luna piena di fine estate. Oggi conosciamo che gli piace la cicoria e preferisce le carni bianche, che usa sempre calzettoni di lana grezza, che soffre il mal di mare. E poi conosciamo anche quei suoi incredibili ”pizzini”, i bigliettini di carta che fa viaggiare da una parte all’altra della Sicilia con i suoi ”postini”, i suoi messaggeri. Alcuni sono ancora ignoti. Altri sono stati catturati, e si sono suicidati per la vergogna di avere messo in difficoltà il loro capo. Altri ancora si sono pentiti. Non si può fidare più come prima il vecchio Bernardo. Neanche a Corleone» (Attilio Bolzoni, ”la Repubblica” 8/3/2005).