Varie, 6 marzo 2002
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Putin Vladimir
• San Pietroburgo (Russia) 7 ottobre 1952. Politico. Dal 2008 primo ministro. Laureato in Legge, dottorato in Economia. Dal 1975 al 1990 è stato ufficiale del Kgb a Leningrado e Dresda, dal 1990 al 1994 è stato assistente e quindi vice di Anatolij Sobchak, sindaco di San Pietroburgo. Dal 1994 al 1997 vicecapo dell’amministrazione dei beni del Cremlino, dal 1998 al 1999 direttore del servizio segreto federale e segretario del consiglio di sicurezza russo, dal 1999 al maggio 2000 primo ministro e presidente, carica alla quale è poi stato eletto nel 2000 e 2004. Soprannominato Voloda, è appassionato di Judo • «Ex agente del Kgb, ex amministratore pubblico a San Pietroburgo ma anche uomo integerrimo che in cinque anni, mentre tutti in Russia si arricchivano, aveva messo da parte appena 5 mila euro. E che al momento di una sconfitta politica aveva deciso addirittura di mettersi a fare l’istruttore di judo. Così come cinque anni prima, durante il golpe del 1991, aveva pensato di dover finire a fare il tassista per sfamare la sua famiglia. […] Dopo il 1996 il sindaco di San Pietroburgo fu sconfitto alle elezioni e tutta la sua squadra, compreso Putin, perse il posto. Il futuro presidente si rivolse al suo ex maestro di judo Vasilij Shestakov: ”Le cose si mettono male per me. Forse vengo da te a lavorare come allenatore. Mi prendi?”. L’altro momento difficile l’aveva vissuto nel 1991 durante il golpe dei cekisti. Putin era già con i riformatori. ”Se vincono loro non troverò lavoro da nessuna parte”, pensò Putin che si ripromise di tirare avanti arrangiandosi: ”Ho riportato dalla Germania una Volga. Mi guadagnerò da vivere con l’auto... Farò il tassista”. Come mai arrivò al potere dal nulla? ”Perché l’élite politica moscovita si era autoeliminata”, ”perché sulla democrazia la pensavo come Eltsin” e perché ”al cento per cento non mi permetterò mai azioni scorrette nei confronti dell’ex presidente della Russia” » (Fabrizio Dragosei, ”Corriere della Sera” 5/9/2002) • « entrato al Cremlino come una grande incognita: fino a pochi mesi prima era stato sconosciuto al grande pubblico. La sua ascesa, sullo sfondo della seconda guerra cecena, era stata accompagnata e sorretta dal trionfo sorprendente alle elezioni alla Duma di ”Unità” (oggi ”Russia Unita”), un neonato partito che aveva come unico programma l’appoggio di Putin. Nel dicembre 1999 al potere in Russia, dopo i torbidi del tardo Eltsin, è arrivato un gruppo di illustri sconosciuti: a Davos, un mese dopo, all’innocente domanda di una giornalista americana ”Who is mister Putin?”, quattro ministri russi si scambiarono un’occhiata imbarazzata senza riuscire a dare una risposta. [...] In quattro anni mr. Putin è diventato centro, generatore e unico protagonista della politica russa. [...] Nel mazzo di carte della politica russa inventato dal settimanale ”Vlast” sul modello di quello dei ”wanted” iracheni, Vladimir Putin è l’asso in tutti i quattro semi. con la ”famiglia” di Eltsin e con i ”siloviki” del Kgb, con gli slavofili e i filoamericani, con i democratici e con i revanscisti. Il calendario con i 12 volti di Putin, per il terzo anno consecutivo il regalo natalizio più richiesto dalla nomenclatura, riflette la natura camaleontica del leader russo. Dopo quattro anni c’è chi lo appoggia per essere diventato amico dell’America e chi per aver restituito dignità di grande potenza alla Russia, chi per aver promosso leggi economiche liberali e chi per aver messo in galera una manciata di oligarchi. Uno e trino, c’è un presidente per tutti i russi: quello che promette di ”ammazzare i ceceni nel cesso” e quello che vuole ”libera e indipendente” la nuova generazione, quello che si infuria e con linguaggio da caserma aggredisce i giornalisti che gli fanno domande scomode e quello che, disinvolto e perfettamente a suo agio, brinda con i suoi colleghi del G8. Un politico polistrumentale che, dopo quattro anni di dominio incontrastato, suscita ancora la fatidica domanda ”who is mister Putin?”. Le risposte, nella peggiore tradizione della cremlinologia, arrivano dalla lettura fra le righe, da frasi fuori copione, dai rari momenti di sincerità di quest’uomo gelido e ironico, dai suoi capelli sempre più bianchi e meno biondi. E dal Paese che governa. Vladimir Putin è il presidente di un popolo che per il 54 per cento vorrebbe svegliarsi nel 1984. E la stabilità politica ed economica del suo regno basato sul caropetrolio è riuscita soltanto ad attenuare il trauma non ancora digerito che la fine del comunismo ha prodotto nell’ex Urss. La contraddizione del primo mandato presidenziale putiniano è tutta in queste cifre: paradossalmente, il leader che vuole modernizzare la Russia viene votato soprattutto da quelli che vorrebbero tornare indietro [...]» (Anna Zafesova, ”la Stampa” 7/12/2003) • «Quando Boris Eltsin lo nominò primo ministro, nella tarda estate del ’99, quasi nessuno lo conosceva. Al Cremlino comandava ancora la ”famiglia”, e tutti pensarono che il giovane sanpietroburghese fosse un esecutore come tanti altri. Ma a Putin bastarono pochi mesi per salire a razzo nei sondaggi con l’ausilio della crociata anti-cecena, e quando Eltsin si dimise, il primo giorno del Duemila, fu lui ad installarsi sul suo trono e ad essere poi confermato in sede elettorale. Da allora, Putin non è cambiato come non sono cambiate le sue idee. Bisognava ricreare lo Stato russo uscito distrutto dal secondo mandato eltsiniano, e il Presidente si dedicò a questo compito con una varietà di strumenti: il proseguimento della guerra cecena, certo, ma anche la lotta all’evasione fiscale, il contenimento degli ”oligarchi” fino alla fuga dei più importanti tra loro, il controllo politico dei militari più che mai dopo il tragico affondamento del ”Kursk”. E poi, una politica estera nella quale c’è tutto Putin. Dopo l’11 settembre, è il primo a telefonare a Bush. Non solo. Concede un inedito diritto di sorvolo agli aerei americani diretti in Afghanistan, accetta che forze Usa si installino in Asia centrale, conclude con Washington un nuovo accordo di disarmo, offre petrolio e gas all’Occidente qualora le cose dovessero mettersi male in Medio Oriente dove, senza abbandonare i palestinesi, rilancia i rapporti con Israele. Ma in Occidente c’è anche l’Europa, e l’America non deve sottovalutare la Russia. Ecco allora che sull’attacco all’Iraq il Cremlino sta con Francia e Germania, e mantiene una posizione critica sul dopoguerra pur favorendo il primo voto unanime all’Onu. La Russia di Putin, insomma, fa politica. E il suo ruolo ritrovato andrebbe a beneficio di tutti, tanto più che ad accompagnarlo c’è una forte crescita economica interna, se non esistesse ancora il dubbio, ”quel” dubbio. [...] Definito di volta in volta un Pietro il Grande moderno o un Andropov in doppiopetto, Vladimir Putin è atteso alla prova di un riformismo che non si esaurisca nell’autoritarismo. E a questa Russia in bilico l’Occidente deve avere una parola chiara da dire» (Franco Venturini, ”Corriere della Sera” 8/12/2003) • Secondo la MoskovskiKomsolets potrebbe avere antenati italiani: il volto del mercante italiano Giovanni Arnolfini, recatosi nei Paesi Bassi per affari e lì immortalato nel 1434 dal pittore fiammingo Jan Van Eyck’s, sarebbe incredibilmente somigliante al suo, ”stessi occhi, stesse labbra, stessa linea del naso, stesso sguardo, setssa non elevata statura”. Ma ancora più straordinaria è ”la somiglianza che lega la first lady del Cremlino, Lyudmila, al secondo personaggio del quadro, la moglie del mercante Giovanna Cenami” (’la Repubblica” 24/1/2001) • «La presidenza di Vladimir Putin dimostra che lo stalinismo in Russia non morirà mai. Emergendo dal passato la dittatura russa si proietta nel futuro senza quasi mai interrompersi, cambiando solo il nome: Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Koba lo Spaventoso. Quattordici anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica i russi hanno scoperto di vivere meglio sotto i dittatori. Per questo siamo stati così disponibili e pronti ad accogliere la mano ferma di ”Vova” Putin. L’abbiamo appoggiato quando ha messo in prigione gli oligarchi ”disonesti”. L’abbiamo sostenuto quando ha schiacciato la stampa ”irresponsabile” e quando ha imposto la dittatura dell’ordine che scavalcava il governo delle leggi trasparenti. Prestiamo ascolto volentieri a chi inneggia a lui - come in quella canzoncina pop che dice ”Voglio uno come Putin” - e fa statue di cioccolato raffiguranti questo moderno autocrate, oh sì, così dolce. Molti russi sono convinti che l’uso della durezza viene dettato dall’agenda stessa del presidente: riportare il Cremlino al centro della politica e dell’economia, ridurre l’influenza degli ”oligarchi”, consolidare la ”verticale del potere” presidenziale per rafforzare la sovranità e la sicurezza del Paese, garantire la cospicua produzione del settore energetico statale e infine restituire alla Russia il suo prestigio internazionale. […] restano pochi dubbi sul fatto che la politica di Putin sia una versione moderna di un governo della mano forte. [...]» (Nina Krusciova, ”La Stampa” 20/3/2005) • «[...] Tra gli aneddoti [...] ce n’è uno che ha raccontato l’ex procuratore della Russia, Jurij Skuratov. C’erano lui Eltsin e Putin, e si parlava di lotta alla corruzione. E Putin tirò fuori una semiautomatica da nove millimetri e pronunciò, posandola sul tavolo lucido del Cremlino, una storica frase: ”Ecco come noi trattiamo la corruzione” [...] L’altro aneddoto l’ha raccontato improvvidamente una delle sue insegnanti della scuola media. Pare che i compagni più grandi amassero rinchiuderlo nella toilette delle femmine e che queste lo assalissero a colpi di cartelle piene di libri [...] Ce n’è abbastanza per far venire dei complessi a un giovane in formazione. Ed è forse qui la spiegazione del fatto che Vladimir finì per sposare un’insegnante più grande di lui, come anche della successiva decisione di intraprendere la carriera di agente segreto. Anche in questo gli agiografi hanno già trovato il modo di scagionarlo: era il 1975 e Vladimir Putin,giovane ventitreenne - scrivono - ”fu comandato” nel Kgb. Ci andò cioè non per sua scelta. E ci restò per quindici anni, svolgendo le sue funzioni prima in una e poi nell’altra Germania, quella defunta. Dove, pare, gli affibbiarono lo pseudonimo di Stasi. Qualità personali: occhi di ghiaccio [...] un esperto di sambo, da distinguere (spiegano gli agiografi) dal karate, che si propone di annientare il nemico. La disciplina di Putin infatti ”punta a neutralizzare l’avversario, evitando di farsi giustizia da soli, per poi consegnare il malfattore alle forze dell’ordine”. Linguaggio essenziale, da militare [...] Chi lo ha conosciuto di persona afferma c he il suo fascino si impone. Non subito, ma dopo qualche tempo. Sarebbe dotato di una ”forte copertura esteriore”, che protegge una ”grande emotività” e gli permette ”reazioni fulminee e sorprendenti”, tali da annichilire l’improvvido interlocutore. Altre caratteristiche: ”grande formalista” che ama le ”procedure consolidate” e ”studente dai massimi voti”. La tesi per il suo diploma, premiata con ”ottimo”, aveva per titolo Il principio della nazione favorita nel diritto internazionale. Deve al Kgb, oltre alla conoscenza ”perfetta” di inglese e tedesco, anche il privilegio di aver potuto assistere, di persona e da vicino, al crollo - più precisamente alla resa incondizionata - del più potente degli Stati socialisti fratelli. A Lipsia non solo ebbe la folgorazione che si doveva passare al capitalismo, ma anche che bisognava ”abbandonare gli organi” in quanto ”a differenza di certi altri (meglio non indagare chi fossero, ndr) egli non aveva affatto intenzione di utilizzare la confusione che si era venuta a creare nel gruppo occidentale delle truppe sovietiche (di stanza appunto in Germania Est, ndr) per risolvere i propri problemi materiali”. Dunque cristallinamente onesto. vero che a San Pietroburgo fu il numero due del sindaco di allora, Anatolij Sobchak, in odore tutt’altro che di santità. ma il nostro Vladimir, pur senza tradirlo mai, ”mantenne sempre una certa distinzione da lui”. Dunque è anche accorto. Così si spiega come Boris Eltsin l’abbia notato per primo quando ”volse il suo sguardo verso i militari”, deluso dai giovani riformatori, inconcludenti e anche un po’ ladri. Poi venne la strepitosa irrsistibile ascesa e la nomina a Delfino. Prima a capo degli ex colleghi del Kgb, poi segretario del Consiglio di sicurezza, poi primo ministro, infine presidente prima ancora di essere eletto. [...]» (Giulietto Chiesa, ”Specchio” 22/1/2000).