Varie, 6 marzo 2002
QUARANTA
QUARANTA Guido San Francesco Campo (Torino) 18 giugno 1927. Giornalista. Dell’’Espresso”. «Il giornalista parlamentare più famoso d’Italia non ha un nome, ha un numero, Quaranta. [...] perseguita gli uomini politici con la sua perfidia e la sua mancanza di rispetto. Ha collezionato schiaffi e insulti, dichiarazioni di disistima e maledizioni bibliche. Ha fatto scuola. Ai tempi del ”Panorama” di Lamberto Sechi ha rotto gli schemi tradizionali del giornalismo politico, fatti di ”pastoni” e di interviste compiacenti, e ha cominciato a scrivere quello che veramente facevano e dicevano i parlamentari. Si guadagnava la loro fiducia e due secondi dopo la tradiva scrivendo tutto. Perfido. Perché il giornalista deve essere perfido. ”Altrimenti vada a fare l’ambasciatore” dice. Flaminio Piccoli, dopo un suo articolo gli scagliò una maledizione: ”Guido Quaranta, spero che il male che lei ha fatto a me si ripercuota su di lei e sulla sua famiglia”, Quaranta tornò alla macchina e scoprì che la batteria si era rotta. A casa trovò scassata anche la lavatrice appena acquistata. [...] Quaranta è un caposcuola. Il suo più grande allievo è Augusto Minzolini che veniva chiamato Trentanove perché era quasi come Quaranta [...] Il quarantinismo ha dilagato [...] ”Da giovane non facevo nemmeno il giornalista. Facevo il cantante [...] Cantavo in una orchestrina di signore tedesche. ’Della radio l’uccellin, stamattina ha preso il vol, verso il libero ciel, è voluto ritornar’. Oppure: ’Basta un po’ di swing, basta un po’ di swing, per dimenticare le tristezze di Chopin’. Cantavo nel completo disinteresse della gente dei tavolini del Caffè Ligure, in corso Vittorio Emanuele, davanti alla stazione di Torino. Il padrone del caffè mi offriva un bicchierino di Prunella Ballor. Ero un fan di Rabagliati, avevo fatto un provino col pianista dell’orchestra Barzizza [...] Mi aveva detto: ’Sei intonato ma hai l’erre moscia’ [...] Avevo fatto anche lo scrutatore del Totocalcio. Un giorno non mi accorsi di un dodici e mi cacciarono [...] Poi ho fatto l’aiutante magazziniere. Giravo sulla bicicletta con un grande cesto per portare i telefoni agli operai che facevano gli impianti [...] Mio padre era ufficiale del regio esercito, colonnello. L’8 settembre era scappato perché aveva fatto saltare la galleria del Fréjus e i tedeschi lo cercavano. Altri lavori? Il venditore di lucido da scarpe! [...] Il lucido si chiamava ’La rondine’. Veniva fatto da un tizio che mescolava in un pentolone strani liquidi! [...] Lucidava. Poi un giorno il tizio cambiò la formula e mi dette alcune scatoline da portare a una contessa che ne comprava tante. Quando tornai da lei il mese dopo con altre scatoline della Rondine, il maggiordomo mi mostrò un paio di stivaloni da cavallerizzo del signor conte distrutto e mi disse: ’Se lei non sparisce la piglio a calci nel sedere e la rondine la farà lei’. Avevo la sfiga come compagna [...] Mi presentai a un settimanale di Torino, ’Paese Sportivo’. [...] Cominciai a seguire le gare di ciclismo minore. C’era un campioncino che sarebbe diventato un grande campione, Guido Messina. Durante una gara mi accorsi che si faceva tirare dalla sua macchina e lo scrissi. I suoi dirigenti, inferociti, volevano pestarmi. L’avevo fatta grossa. Non potevo più seguire le corse. Ma mi assunsero allo sport dell’’Unità’ di Torino [...] Moralisti fino al midollo. [...] Nel 1954 mi dimisi dall’’Unità’. Un caso clamoroso. Fu considerato un tradimento [...] Lavorai a ’Noi Donne’ per un anno. Era diretto, con molte arie da direttrice, da Maria Antonietta Macciocchi. La mia vicina di tavolo era la moglie di Pertini, Carla Voltolina. Non faceva che parlare del suo Sandro. Sandro qui, Sandro là, Sandro ha detto, Sandro ha fatto [...] Dopo un anno passai al ’Paese Sera’. Al Parlamento arrivai nel 1959 per un incidente professionale di un mio collega. Il redattore che si occupava del Senato aveva la mania di Lascia o raddoppia? Una sera cadde il governo e noi bucammo la notizia perché lui era a casa a guardare Mike Bongiorno. Il giorno dopo lo sostituii [...] Nel 1969 mi chiamò Lamberto Sechi a ’Panorama’. Smisi di sunteggiare i discorsi e cominciai a fare l’informatore [...] Metà spione e metà ficcanaso. Sechi mi aveva detto: ’Devi mescolarti ai protagonisti della politica, guadagnarne la piena fiducia, raccoglierne le confidenze. E poi scrivere tutto sul giornale’ [...] Seguivo i politici ovunque. Ero disposto a fare qualsiasi cosa pur di avere una dichiarazione curiosa. Una volta vidi Francesco Cossiga in mutande [...] Era il ’71. Lui stava armeggiando per evitare il referendum sul divorzio. Lo incontrai davanti alla Fontana di Trevi. Era dolorante per una lombaggine e stava andando a fare un seduta fisioterapica. Io, pur di avere notizie, lo accompagnai, lo aiutai a spogliarsi, a distendersi sul lettino! [...] Era l’epoca in cui io mettevo occhiali scuri, naso finto e pizzetto posticcio per assistere di nascosto alle riunioni della Dc. [...] Mi beccavano sempre e mi spintonavano fuori [...] Franco Evangelisti mi prese a chiaffi. [...] Avevo scritto che con i suoi baffetti ben curati sembrava un parrucchiere per signora. In pieno Transatlantico mi diede tre ceffoni. [...] Non potevo tornare a casa da mio figlio Paolo e da mia moglie Luisa raccontando di essere stato preso a schiaffi da Evangelisti. Gli ho ridato gli stessi tre ceffoni. Davanti alle stesse persone [...] A me piace fare il cronista. Io non sono Ernesto Galli della Loggia. Non ho né la stoffa né la preparazione” [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 42/2000).