varie, 6 marzo 2002
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Quinn Anthony
• Chihuahua (Messico) 21 aprile 1915, Boston (Stati Uniti) 3 giugno 2001. Attore. "Pellerossa, arabo, basco, libico, filippino, greco, francese, spagnolo, zingaro, unno: a quante mutazioni antropologiche ha prestato i suoi tratti esotici, nei 320 film interpretati in 60 anni di carriera Anthony Quinn nato a Chihuahua da padre irlandese e madre messicana? Quanto ventenne sbarcò a Hollywood aveva già utilizzato le precoci e contrastanti esperienze di pugile e pittore nella pratica della scena, dove la resistenza fisica senza l’ispirazione non serve a niente e viceversa. Tenuto a battesimo dal grande Cecil De Mille, accettò senza protestare tutti gli indiani e i cattivi che gli offrivano. E consumò sparando, cavalcando e menando le mani la prima parte della sua attività, quasi tre lustri di ghigni e bravate in capo ai quali si scoprì votato a una sorte inattesa, quella dell’eterno secondo. Piacque agli ordini di John Wayne in Gli eroi del Pacifico, subentrò in teatro al grande Marlon in Un tram che si chiama Desiderio, vinse il primo Oscar impersonando il fratello dello stesso Brando in Viva Zapata, acchiappò un’ulteriore statuetta (altre due "nominations" successive non andarono a segno) impersonando Gauguin in Brama di vivere (9 minuti in tutto) di fronte allo stupendo Van Gogh di Kirk Douglas che non ottenne premi. Questo per sottolineare che il frenetico Quinn di colpi di fortuna ne ha avuti; e non lo negava, pensando soprattutto all’inedita dimensione del suo mestiere scoperta quando Dino De Laurentiis l’aveva trasferito dal sontuoso baraccone di Attila al modesto set di La strada. Il primo giorno il quasi-divo era apparso contrariato nel non trovare la roulotte, i premurosi addetti alla sua persona, il cestino preparato nelle cucine del Grand Hotel: solo una sedia appoggiata a un muro per sottoporsi in mezzo alla strada al trucco sommario del forzuto Zampanò. A sorpresa in uno scritturato del suo tipo, considerato in genere un po’ piantagrane, anziché il risentimento scattò la simpatia per quel regista più giovane di lui, mercuriale e ispirato; e tra Fellini, che allora non parlava inglese, e Tony, che allora non parlava italiano, nacque un vero idillio. Nella carriera del messicano La strada diventò lo spartiacque per determinare il ”prima”, all’insegna della routine, e il ”dopo”, all’insegna della costante nostalgia per un magico momento irripetibile. Ogni tanto, è vero, si profilò nel convulso succedersi degli impegni puramente professionali (era il tipo di attore che non rifiuta niente) qualche occasione di maggior spicco. Non fu la sospirata regia (l’unica della sua vita) di I bucanieri, ancora un regalo di De Mille che finì in un fiasco. Però il Quasimodo in Notre Dame de Paris, il duetto teatrale con Laurence Olivier in Beckett e il suo Re, il campione suonato di Una faccia piena di pugni, l’esplosivo Zorba il greco che riprese a ballare il ”sirtaki” passando dopo un quarto di secolo dalla pellicola a Broadway offrirono al nostro l’occasione di farsi valere. Negli ultimi tempi la critica americana lo accusava di ”over-acting”, cioè di recitare sopra le righe, e certo la sua presenza sullo schermo era tutt’altro che minimalista. Però accanto al ribollente vitalismo (gli piaceva esserci, penetrare in un’inquadratura dopo l’altra, avere sempre addosso l’occhio della macchina da presa) Quinn coltivò il mito dell’arte come espressione personale: volta a volta pittore, autore di libri autobiografici e reinventore inesausto della propria vita eternamente alle prese con donne nuove e nuovi figli. Un giorno che pranzammo in compagnia (nonostante i rigori marzolini l’intrepido ottantenne aveva voluto mangiare all’aperto per godersi la cornice di Piazza del Popolo) si rivelò pieno di progetti e mise a tutti il fuoco addosso sposando il progetto di impersonare Picasso sulle scene italiane. Una delle infinite cose che poi non si fanno, ma di cui fra gente di spettacolo si parla per un attimo così appassionatamente che sembra di averle a portata di mano. L’attore approfittò dell’occasione per raccontarci che qualche giorno prima, in visita al Musée Picasso di Parigi, aveva rivolto a una classe di bambini il seguente appello: ”Imparate che chiunque, se gli va di farlo, è padrone di disegnare un uomo con tre occhi”. E ci lasciò intendere che questo era rimasto l’inafferrabile traguardo della sua vita dai tempi di Zampanò" (Tullio Kezich, ”Corriere della Sera” 4/6/2001).