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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

RAME

RAME Franca Parabiago (Milano) 17 luglio 1929. Attrice. Politico. Nel 2006 è stata eletta senatore con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Moglie di Dario Fo. «Cinquant’anni insieme, sul palcoscenico, nella vita privata, nella comunanza ideologica, nell’impegno politico attivo, nella scrittura, nell’amore per il figlio Jacopo e per i nipotini, nelle delusioni, nella coerenza, nella resistenza ai soprusi, nei litigi, nella messa al bando da una società vile, nell’ostracismo da parte del potere, nella generosità munifica, nella solidarietà e affetto per e degli altri. Insieme anche nei premi: quando a Stoccolma, nel dicembre del 1997 fu conferito a Dario Fo il Nobel per la letteratura, lui mostrò una foto della moglie Franca Rame, dedicandole parole bellissime per dividere con lei, com’era giusto, l’alto riconoscimento. Insieme, sempre, proprio loro, considerati peccatori sulfurei e pericolosi dalla Chiesa e dai parroci, che per anni esortarono i parrocchiani a disertare il loro teatro per non lasciarsi contaminare, che sentimento provano a dirsi ”stiamo insieme da cinquant´anni, come due vecchi, saldi, timorati sposi”? Lei: ”Non ho tempo per soffermarmi su questi pensieri, lavoro sempre. Se mi incamminassi su questo sentiero forse mi impressionerei, perché solo dire cinquant’anni fa mi dà gli incubi. Certo una vita esagerata l’abbiamo avuta tutti e due, e se penso che nel mio archivio sul sito www.francarame.it ho già riversato un milione e mezzo di documenti e devo inserirne ancora due milioni, sono costretta a riflettere che una vita fatta di tre milioni e mezzo di documenti, ognuno un pezzo della mia, della nostra storia, non si può definire sprecata”. Lui: ” stata una vita bella. Con tutti i casini, i dolori, le violenze, gli arresti, gli sgombri, la galera, le bombe nei teatri, la casa incendiata, nessuno che voleva più affittarcene una obbligandoci a lasciare Milano, la cosa tremenda e mai cancellata che Franca subì nel ’73, i 40 processi, abbiamo vissuto tre volte più degli altri, a una velocità incredibile. Anche adesso abbiamo il piede sull’acceleratore”. […] Quel Piccolo Teatro in cui nel 1953, la compagnia Parenti-Fo-Durano mise in scena la rivista Il dito nell’occhio: Fo era uno spilungone di 27 anni, con un grosso naso, Rame a 24 anni era una specie di Marilyn Monroe ancora più alta e splendente, innamoratissima di quell’attore-autore che lei corteggiava implacabile sino a farsi sposare un anno dopo. Adesso la coppia ha qualche acciacco, e se Dario è stato poco bene qualche anno fa, chi non è in gran forma oggi è Franca: che però non rinuncia, sia pure con voce flebile e atteggiamento impaziente, a impedire quasi al marito di parlare: perché lui è lirico, e trasformerebbe ogni ricordo in un pezzo teatrale, mentre lei è pratica, lo riconduce alla realtà, gli corregge le fantasie, ha una memoria di ferro per date, circostanze, frasi dette, documenti d’epoca, come se il suo cervello fosse un archivio perfettamente computerizzato. Lei: ”Non creare confusione. Tu di testi ne hai scritti almeno 120, ne hai rappresentati una sessantina, certi li hanno messi in scena all’estero, alcuni non li hai mai pubblicati”. Lui: ”«I guai cominciarono subito quando uscimmo dai teatri usuali perché eravamo stufi di essere l’alka seltzer della borghesia, e volevamo un altro pubblico, che non venisse a sentirci solo per ridere ma per capire cosa stava succedendo in Italia. Era la fine degli anni 60 e c’era in giro una bell’aria di risveglio, un po’ come quella di oggi, di sogni, di voglia di fare, ma noi facevamo scandalo e appena potevano con mille scuse ci cacciavano”. Lei: ”Vai con ordine, se no non capiamo più niente neanche noi. Il momento brutto, negli anni del Mistero buffo, di Morte accidentale di un anarchico, di Pum, Pum! Chi è? La polizia!, di Tutta casa, letto e chiesa quando già ci avevano dato a Milano la palazzina Liberty, era alla prova generale. Perché arrivavano i funzionari della polizia e dicevano ”questo lo togliete e anche quest’altro’. Cose anche innocenti, tipo il commissario che cade sulla sedia e il poliziotto si siede sulle sue gambe”. Lui: ”Noi mandavano sempre il copione per il visto di censura, e magari gli andava bene: ma poi non era il testo, era la pantomina a farli arrabbiare. Capitava che mimando un personaggio innocuo io lo trasformassi in un Andreotti, capitava che in una tournée raccogliessi anche 260 denunce”. Lei: ”Ogni tanto Dario lo portavano in questura con la camionetta, allora tutto il pubblico andava dietro, e io con loro, a far casino. Avevamo avuto l’idea, per scavalcare la censura, di fare una specie di cooperativa a cui bisognava associarsi, così senza tessera non poteva entrare neppure la polizia. Ma una volta, a Sassari sfondò la porta, entrò e arrestò Dario che finì in galera per una notte: poi quel prefetto lì lo destituirono”. Una sera del 1987, ospite televisiva di Raffaella Carrà, la signora Fo annunciò inaspettatamente che aveva deciso di separarsi dal marito, che non sapendone niente, ci rimase malissimo. Lei: ”Ero stufa di fare la moglie, l’oca giuliva che si occupa solo di palcoscenico e carceri, e per il resto deve far finta di niente. Soffrivo come una bestia, perché le pene d’amore sono lancinanti, offensive. Sì, forse siamo stati separati un anno, senza far rumore. Ma tutte le donne lo sanno che capitano tra due coniugi fatti che poi non hanno valore, che passano, e allora val la pena di lasciar perdere, perché alla fine sai che altre cose contano, e che lui alla fine non ti lascerà mai”. Lui: ”Attorno a me c’erano, ci sono uomini che piantano tutto per ragazze giovani, ma io avevo capito che l’avventura è solo una pausa, un intervallo per prendere fiato, perché ci sono legami così indissolubili con la tua compagna di vita, che non puoi distruggere senza perderti. Noi abbiamo avuto e fatto tutto insieme, ci siamo reciprocamente riempiti la vita, non c’è episodio, bello o tragico, iniziativa, decisione, sogno, che non abbiamo affrontato insieme”. La gelosia è entrata nella vostra vita coniugale? Lei: ”Quando ero giovane, di uomini attorno ne avevo tanti, fino a togliermi l’aria, ma non ero né allegrotta né disponibile. Neanche allora lui mi ha mai dimostrato gelosia, fatto scenate. Però capita che non sempre puoi essere una moglie fedele, e si tratta di parentesi che ti capitano quando sei morta di dolore, allora anche un pirla ti può essere utile. Ma la cosa svanisce senza lasciare tracce, non conta”. Franca Rame si alza per mettere un po’ d’ordine tra la montagna di libri in giapponese, arabo, lituano, con le opere di Fo, ma anche tra quelli dedicati a Lei come la recente raccolta di saggi pubblicata dall’Università di Harvard e intitolata A woman on stage, una donna in palcoscenico. Dario Fo si mette a colorare un foglio di carta, e tra i loro gesti diversi, c’è armonia, complementarietà. Lui: ”Franca mi fa sudare le mani, quando le porgo un copione e so che tanto mi dirà ”guarda che qui non va bene”. Anni fa mi arrabbiavo, una volta la sbattei contro il muro, gridandole ”dammi tu allora la soluzione”, e lei me la diede subito, giusta. Ha il teatro nel DNA, perché i suoi stavano sul palcoscenico da quattro generazioni, ha intuito e mestiere, ha su di me un ascendente enorme”. Lei lo guarda poco convinta: ”Non esagerare, è che ho imparato a dire quello che penso da quando nelle recensioni i critici liquidavano tutta la mia fatica con la frase ”Bella la Rame”. Morivo di rabbia ma alla fine, anche quando le cose mie le scrivevo io, lasciavo che le firmasse lui, per insicurezza”» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 14/3/2002).