Varie, 6 marzo 2002
RECALCATI
RECALCATI Carlo Milano 11 settembre 1945. Allenatore di basket. Ex ct della nazionale (fino al novembre 2009). Dal 2010/2011 alla Pallacanestro Varese, squadra con cui vinse lo scudetto del 1999 • «Come giocatore, ha vinto due scudetti, un’Intercontinentale, tre coppa Coppe e tre Korac con Cantù. In Nazionale ha conquistato due medaglie di bronzo agli Europei. Con il club, ha conquistato tre scudetti con tre squadre differenti (Varese, Fortitudo Bologna, Siena). Come c. t. azzurro, ha conquistato il bronzo agli Europei e l’argento olimpico ad Atene, sconfitto in finale dall’Argentina di Magnano. [...] è considerato un fuoriclasse del rapporto con i giocatori, che tenta sempre di sfruttare con un attacco che non ne soffochi le iniziative e le qualità personali. stato uno degli esploratori dei triangoli offensivi, situazione nella quale si forma in un lato del campo un triangolo tra tre giocatori, non ama i centri, vuole lunghi che tirano da fuori, portando questa scelta fino alle estreme conseguenze» (’La Gazzetta dello Sport” 18/1/2005) • «In questo basket che ingoia le Dream Virtus e sbertuccia i Dream Team, Carlo Recalcati rappresenta un punto fermo. E, a modo suo, un fenomeno. Nel caso specifico, l’anti-fenomeno. Quando giocava, aveva la mano calda e, adesso che fa giocare, predilige le mani fredde. All’epoca del muro di Cantù, la sua cuccia, il suo poligono, non esistevano i tiri da tre. Il giocatore era un tenore, non proprio un solista: o comunque un solista che rispettava i tempi dell’orchestra e del suo direttore, chiunque fosse. L’allenatore è un frullato d’esperienza, un inno al compromesso storico [...] Scudetti a Varese (con la banda dei matti: Meneghin jr., Pozzecco, De Pol, Galanda, Mrsic), a Bologna, a Siena. E attenzione: per Varese era quello della stella, per Fortitudo e Montepaschi il primo. Con la Nazionale, terzo posto agli Europei di Svezia, biglietto per Atene e questo po’ po’ di ruolino. [...] Charly è un milanese che, dalla casa madre, ha preso il senso del dovere e limato gli eccessi bauscia. Non è uno stregone, e tanto meno un istrione. Ha rifondato la Nazionale sulla difesa, spreme il massimo da chi sceglie e non riesce a farsi odiare da chi scarta (ancora Pozzecco, convocato, escluso agli Europei, ri-convocato per i Giochi). A Mosca non c’era, quando gli azzurri di Sandro Gamba, con Dino Meneghin totem della tribù, si portarono via un argento storico. Oggi, Meneghin fa il team manager e Recalcati il bi-tecnico, alternandosi fra Montepaschi e Nazionale. Nel basket si può, nel calcio non ancora: ve lo immaginate un Lippi che la domenica scorta la Juventus a San Siro e il lunedì stila l’elenco dei convocati? L’ho frequentato da giocatore, Charly. Numero sei, schema Brianza: palla a lui e pedalare. A quei tempi, il basket era un triangolo, Cantù, Milano, Varese. La Parini, il Palalido, Masnago. Campi caldi, duelli rusticani. La barba profetica di Arnaldo Taurisano, gli editti di Cesare Rubini, le cicche di Aza Nikolic, il professore che, per dirla con Marino Zanatta, fior di burlone, riusciva sempre a risorgere dalle sue ”ceneri”, tanto fumava... Si chiamava basket, ma si scriveva, ancora, pallacanestro. Ecco, Recalcati ha avuto la fortuna di crescere in quel periodo lì, il periodo in cui l’Ignis dominava in Europa e l’Azzurra di Giancarlo Primo sfiorava il bronzo alle Olimpiadi di Monaco. In Nazionale, ha disputato 166 partite. Dal settembre del 2001, la pilota dalla panchina. Non so se sia corretto parlare di legge degli opposti, ma il Recalcati tutore non è la prolunga del Recalcati tiratore; se mai, ne è un’attenta e mite evoluzione. Il basket che insegna rimanda al collegio più che al luna park, anche lui, come Arrigo Sacchi, gioca con l’intensità. Boscia Tanjevic gli consegnò una squadra sgonfia e grigia, che dell’oro parigino aveva conservato giusto l’astuccio. L’ha rianimata, zitto zitto, quatto quatto, un mattone qui e un chiodo là, fino al capolavoro di Atene. Scuola lombarda, il Charly di Cantù non aveva paura di spingersi al di sopra dei lampadari di Meneghin, figuriamoci se può farsela sotto per un Yao Ming o un Pau Gasol. La sua squadra è un gruppo di cemento, il primo ad aver preso a schiaffi i califfi americani, 95-78 a Colonia il 3 agosto 2004, così arroganti e narcisi da disperdere il messaggio. L’Italia di Recalcati è una somma di farfalle e mosche atomiche, da Bulleri a Basile a Pozzecco, e gigante in generale è il cuore, non solo la statura di Marconato e Galanda. Guardatelo, in panchina. Non ha la mimica country di Peterson, la vena papale di Nikolic, l’aplomb mediterraneo di Messina, e neppure il pallore ascetico di Tanjevic. Sembra un professorino della rive gauche, di quelli che mandavano al potere la fantasia. Viceversa, è la chioccia borghese di un pollaio che a furia di chicchirichì ha riscritto la fattoria del basket. Di indole trapattoniana - gli attacchi fanno vendere i biglietti, le difese fanno vincere i campionati - Carlo Recalcati ha preso in contropiede il mondo, addormentato con la zona i puristi e rubato la palla al destino. Se volete farlo arrabbiare, dategli del vate. Non è un guru, e nemmeno un duro. Non urla: parla. E conosce l’arte, magica, sottile, di emozionare. Fra rincorse folli e pisolini omerici» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 29/8/2004).