Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Reeve Christopher

• . Nato a New York (Stati Uniti) il 25 settembre 1952, morto a New York (Stati Uniti) il 10 ottobre 2004. Attore. «L’uomo che imparò a volare quando divenne immobile. [...] Ma fu proprio l’ironia fatale di quella disgrazia che fece di Superman un Lazzaro che sognava invano di alzarsi e camminare, un eroe vero della pietà e del coraggio. Fino al 1995, l’anno dell’incidente, Reeve non era stato un grande attore e lui lo sapeva. Lo divenne nei nove anni che gli sarebbero rimasti da vivere dopo la caduta da cavallo che gli spezzò il collo, interpretando magnificamente la parte dello sconfitto che non si arrende e riscopre i piccoli trionfi della vita vera. Un giorno del 2000 volle annunciare al mondo, forzando il diaframma nel petto e la glottide in gola per spremere fuori le parole, che dopo cinque anni di terapie tormentose era riuscito a muovere finalmente il dito indice della mano sinistra. Quel dito che era tornato a comandare era stato il suo volo inebriante. Degli attori e delle celebrità che sposano ”una causa” quando raggiungono la nausea da glamour e si fanno la villa a Malibu è legittimo diffidare. Neppure a Reeve, che dopo alcuni mediocri film, telefilm, particine a Broadway e il successo strepitoso (300 milioni di dollari) di Superman era andato a trovare segretamente un maestro di recitazione a New York per ”scappare dalla cappa”, era mai importato nulla delle lesioni alla spina dorsale che la medicina ancora non sa risolvere. Non era affatto, nonostante il trucco di scena, il mantello e la calzamaglia rossa e blu sopra i muscoli disegnati dai corpetti di plastica che nel film lo aveva incastrato per sempre nella figura di Nembo Kid, uno sciocco, un superficiale o una Barbie al maschile. Era semplicemente un attore chiuso nell’ansia della propria insicurezza. Veniva da una famiglia intelligente e tormentata, molto ”new yorker”. Il padre [...] era professore universitario di letterature slave. La madre lavorava nella redazione di un editore e se quella casa di New York, dove era nato, non era una famiglia carosello, con genitori che ”mi usavano come una pedina sulla scacchiera delle loro liti”, come disse Christopher nelle sue memorie, la sua non era una condizione straordinariamente amara, in una nazione dove un matrimonio su due finisce a schiaffi legali. Era stato giovane attore promettente, scritturato per soap stories e polpette di fiction dove gli toccavano sempre le parti del fusto rovinafamiglie e sciupafemmine, ma aveva anche vinto il durissimo concorso per essere accettato nella massima accademia di arti drammatiche e di musica, la ”Julliard” di Manhattan. Era finito a pari merito con un altro giovane attore che sarebbe rimasto suo amico vero fino alla fine, nonostante fossero agli estremi opposti del carattere e del talento: il Robin Williams di Mrs. Doubtfire e di Good morning Vietnam. Non si hanno tracce di una sua adesione a qualsiasi ”causa”, altro che di una sua ansia di rompere la crosta della propria bellezza da fotoromanzo, genere Rock Hudson non gay [...] Lavorando in Superman, scelto fra 200 candidati alla parte, si trovò accanto due mostri della recitazione, Marlon Brando e Gene Hackman e fu allora che decise di andare dal maestro dei maestri, da Harold Guskin a New York, per migliorarsi. [...] Quando cadde dalla sella di un cavallo impuntato davanti a un ostacolo, sul campo di gara di un paese in Virgina, Culpeper, non respirò per quasi tre minuti. Gli dovettero praticamente riattaccare la testa al corpo, saldando le vertebre, ma non quei fasci di nervi che conducono gli impulsi dal cervello agli arti e che è ancora impossibile ricollegare e riattivare. Chris, come lo chiamavano gli amici, si ritrovò, a 43 anni, con 30 milioni di dollari in banca prodotti dai suoi svolazzi immaginari, una moglie bellissima, figli bambini e con una fila di corteggiatori alla porta carichi di proposte, ridotto a un neonato di pochi mesi ma condannato a non crescere mai. Precipitò in uno stato di depressione suicida, si capisce. E poi trovò la sua ”causa”, credibile e onesta, perché passava dalla propria condizione individuale di quadriplegico per arrivare alla crociata verso il ”sacro Gral”, la cura per le paralisi. Il poco che poteva fare, per tornare a parlare con quella sua respirazione meccanica, per muovere un dito, per non cedere alla depressione che lo aspettava ogni giorno dopo le sei ore quotidiane di fisioterapia, lo fece, aiutato dalla volontà e dalle ambizioni mai spente dello ”showman”, che gli permisero di dirigere un film prodotto per la tv, del quale era felice, dirà la moglie, più che se avesse rivinto l’Oscar. Il resto, il coraggio di sperare, di diventare Lazzaro dopo essere stato Superman, lo affidò alla sua fede nella ricerca sulle cellule staminali degli embrioni che sanno poi diversificarsi nei diversi tessuti del corpo. Insieme con Nancy Reagan, si fece attivista, mietitore di fondi per la sua ”Christopher Reeve Paralysis Foundation”, lobbista con i politici vacillanti tra le promesse della ricerca e gli anatemi (dunque i voti) delle confessioni religiose, che considerano intoccabili anche gli embrioni dimenticati nei freezer. Trovò udienza soltanto in John Kerry, il candidato democratico alla presidenza, certamente non in Bush, che sui voti dei cristianissimi conta per essere rieletto. [...]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 12/10/2004). «Cresciuto nel New Jersey, nato da famiglia intellettuale estranea allo show business, bilaureato con una tesi sul teatro inglese, Reeve passerà nei dizionari come l’eroe hollywoodiano volante Superman, anche se per un atroce scherzo del destino ha vissuto i suoi ultimi nove anni su una sedia a rotelle ed è morto proprio mentre pensava di dirigere un film su una ragazza paraplegica. Ma il duplice ruolo del fumetto - da una parte l’uomo comune dall’altra l’eroe - fu impersonato con tutti gli optional del cinema giocattolo in un serial di sempre minor interesse (registi Donner e Lester) dal ’’78 all’87. Di essere stato scelto fra i molti candidati, Reeve lo seppe dall’autista che lo portava in areoporto. Ma per contratto l’attore, magrolino e intellettuale, giovane partner di vecchie glorie del palcoscenico come Katharine Hepburn e Celeste Holm, si doveva fare i muscoli e ingrassare. Ma la mutazione fisica rientra nel training dell’attore hollywoodiano. Cosa non si fa per un kolossal. ”Al momento di andare sul set - disse - potevo sfidare Cassius Clay”. Era agli ordini di un eroe venuto dal pianeta Krypton ma nato a Cleveland nel ’33 dalle menti complementari di Siegel e Schuster che lo resero un fumetto amato da milioni di affezionati lettori. Il lancio internazionale funziona, anche se Reeve fa la figura di un effetto speciale ed è più spiritoso nel suo ”doppio” umano, Clark Kent, l’imbranato reporter innamorato. C’era il dubbio che Reeve rimanesse quell’attore aitante alto 1 metro e 90, ex fattorino, cui era capitato di impersonare Superman ma di ”supermania” era soffocato. La storia non fece in tempo a finire così. Reeve, oltre a una serie tv di successo (Love of Life), frequentò molto e bene il teatro, mettendosi in luce in luce in Fifth of July, sulla guerra nel Vietnam ma anche nel classico Matrimonio di Figaro di Beaumarchais e nel Carteggio Aspern di Henry James con la Redgrave. Al cinema si dedicò ad altri, più sensibili generi. Al giallo psicologico, per mano di Sidney Lumet in Trappola mortale, dove impersonava uno scrittore omosessuale; o negli Insospettabili di Mankiewicz, un complotto di gran classe ”giocato” con brio insieme a Laurence Olivier; o all’elegante film letterario, preso per mano da Ivory che lo volle nei Bostoniani, sempre di James, come il ”meridionale” reazionario e poi in Quel che resta del giorno, dov’è un perfetto padrone americano di una casa di bon ton inglese. La sua personalità ha sempre avuto l’io diviso: da un lato, il più vistoso, il divo americano per grossi spettacoli costosi e un po’ infantili; dall’altro la personalità dal tocco inglese. Spesso timido col gentil sesso, Reeve è anche il fidanzato tradito di Ciao Julia sono Kevin. Fanno parte della sua troncata carriera anche un film d’avventure con Heston, Gray lady down, Ovunque nel tempo, Cambio marito con la Turner e Reynolds (variante televisiva di Prima pagina), Street Smart di Schatzberg, Monsignore di Frank Perry, nel ruolo di un ambizioso sacerdote, la riduzione della buffa commedia di Frayn Rumori fuori scena. Nel ’98, costretto all’immobilità, aveva interpretato con impegno il ruolo di James Stewart, bloccato dal gesso a una gamba, nel remake per la tv di La finestra sul cortile di Hitchcock diretto da Jeff Bleckner accanto a Daryl Hannah e Robert Forster. [...]» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 12/10/2004).