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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Rice Condoleezza

• Birmingham (Stati Uniti) 14 novembre 1954. Politico. Consigliere per la sicurezza nazionale nel Bush (GW) I, segretario di Stato nel Bush II. Single, sportiva, religiosa (non manca mai alla messa domenicale), è l’unica figlia di Angelena, insegnante elementare, e John Rice amministratore universitario e pastore presbiteriano. Deve il suo nome alla passione del padre per la lirica: voleva chiamarla ”Condolcezza” che l’anagrafe storpiò in Condoleezza. A 15 anni si iscrive all’Università di Denver in Colorado, a 19 è laureata con lode in Scienze politiche, a 26 insegna nel prestigioso ateneo californiano di Stanford. Entra alla Casa Bianca come consulente del presidente George Bush senior. La sua prima ”missione”: far arrivare indenne a Raissa Gorbaciov per conto di Barbara Bush una preziosa collezione di anatre intagliate. Tra un Bush e l’altro Condi Rice è tornata come rettore all’Università di Stanford, appianando l’ingente debito accumulato dall’ateneo, ed è stata nel direttivo della società petrolifera Chevron che, per ringraziarla, ha dato il suo nome a una petroliera. «’Forbes” l’ha incoronata prima tra le donne più potenti del mondo e non era ancora diventata segretario di Stato [...] ha scalato la vetta partendo dai sobborghi di Birmingham, nell’Alabama segregazionista. Una marcia a tappe forzate con un padre, John Wesley Rice, reverendo presbiteriano, che la spronava a essere sempre la migliore nella lotta contro l’ingiustizia. ”Overcome the oppression”, ”sconfiggere l’oppressione”, ripeteva alla sua piccola Condi [...] Nessuno mai si sognerebbe di chiamare ”zuccherino” colei che ha dato un senso alla parola ”falco” in politica. Per lei la durezza - prima di tutto con se stessa - è stata una strada obbligata per attraversare gli anni della segregazione, superare il dolore di una condizione ingiusta che l’ha vista bambina in scuole riservate ai neri, che le ha fatto piangere due amichette morte nel 1963 in un rogo acceso nella chiesa battista, che l’ha resa bersaglio di insulti per le strade della sua cittadina. La Rice ha raccontato di ricordare ogni attimo del giorno in cui entrò con i genitori, nel 1964, in un ristorante bianco, forte del Civil right Act, circondata dal gelo, dal disprezzo. Il padre le aveva insegnato ad affrontare tutto a testa alta e lei non abbassò mai lo sguardo. Così è nata una ”dura”, che voleva dimostrare al mondo di essere la più brava. Più brava dei bianchi. E ci riuscì entrando al College di Denver a soli 15 anni. Nel 1974 la laurea in Scienze politiche e la passione per la politica (un occhio particolare all’Urss) accesa da un professore molto particolare, un esule cecoslovacco, Joseph Krobel, padre dell’ex segretario di Stato Madeleine Albright. Un destino che sembra rivelarsi attraverso coincidenze e incontri. Come quello con George Bush Senior che la portò da una cattedra di Stanford alla Casa Bianca (è lei che spiega al Presidente tutto sul disarmo nucleare). E poi con George Junior che di lei dirà: ”nessuno mi fa capire come lei come gira il mondo”. Padre e figlio le ”perdonano” il suo passato democratico: la Rice approdò tra i conservatori nel 1976, come afferma una biografia di qualche anno fa. ”Vanity Fair” l’ha descritta come l’unica confidente del Presidente. Un rapporto strettissimo, tanto da far inciampare Condi in una gaffe riferendosi a lui come ”my husband”, mio marito. Effetti della vita simbiotica, spalla a spalla nei momenti più esaltanti e più difficili, come dopo l’11 settembre. E non è un caso se nella stanza del segretario di Stato ci sia una foto scattata nello studio Ovale, il giorno dopo il crollo delle Twin Towers, Bush in piedi che guarda oltre la vetrata, Condi alle sue spalle. Una coppia che pensa e agisce all’unisono. Per la Rice, che ha perso entrambi i genitori, non ha fratelli e sorelle né un compagno, la famiglia Bush è ormai la sua. Con Laura ha condiviso l’impegno nella campagna elettorale e nella difesa a oltranza del ”loro” Presidente. Condolezza è una ”magnolia d’acciaio” come viene chiamata per le origine sudiste. Un ”guerriero” (altro suo appellativo) che non dimentica però di essere donna e non nasconde il suo lato frivolo. Tiene molto alla forma fisica cui dedica ogni mattina una seduta di allenamento personalizzato. Adora le scarpe (sempre con tacchi alti) e va pazza per quelle di Ferragamo di cui possiede una collezione da far invidia a Imelda Marcos (e in questo soggiorno romano dall’azienda fiorentina pare arrivi un ”ambasciatore” carico di nuovi modelli). Veste sempre in tailleur, adora quelli di Oscar de La Renta, porta le giacche allacciate, con appuntate spille di design sul petto. Trucco impeccabile con la bocca disegnata dal rossetto Yves Saint Laurent numero 10. Una vita scandita da ritmi frenetici: sveglia all’alba per l’allenamento, poi solo lavoro fino a sera. Nessun fidanzato noto. ”Non ho ancora trovato qualcuno con cui vale la pena veramente vivere”, ha detto. C’è chi ricorda fugaci passaggi nel suo cuore, un giocatore di hockey, un campione di football dei Denver Broncos. O anche un potente uomo di affari che ha condiviso con lei la classifica di ”Fortune”. [...]» (Maria Corbi, ”La Stampa” 8/2/2005). «Una ragazza di Titusville - periferia di Birmingham, Alabama - quartiere di middle-class nera sempre in bilico tra vita decente e povertà e dove i figli degli insegnanti, dei ministri di culto e di qualche avvocato benestante imparano subito che se vogliono sfondare nella vita devono darsi da fare il doppio dei bianchi, ma senza piangersi addosso. Lezione che quella bambina dal nome buffo [...] imparò talmente bene da essere considerata già adulta quando aveva a malapena otto anni. Era il 1963 e nel profondo sud arrivavano gli attivisti dei diritti civili mentre i neri marciavano sfidando la polizia e i killer del Ku Klux Klan. Per Condoleezza l’età dell’innocenza finì allora, quando le bombe razziste esplodevano nel vicinato e il padre adorato era costretto a pattugliare le strade con la pistola in mano, quando la Chiesa Battista della 16esima strada venne fatta saltare per aria con dentro quattro bambine ed una era una sua compagna di scuola. La sua è la storia di una ragazza prodigio. A 15 anni è già al college e a 26 ottiene un PhD in Foreign Affairs all’università di Denver dove incontra colui che la convince a lasciare la sua passione per il pianoforte e a gettarsi anima e corpo nello studio delle scienze politiche. Si chiama Joseph Korbel, è un esule cecoslovacco che ha una figlia destinata, per lo strano gioco delle coincidenze, a diventare la prima donna a capo del Dipartimento di Stato: Madeleine Albright. Nel 1981 arriva in California, chiamata a lavorare nel dipartimento di studi internazionali della prestigiosa università di Stanford. Lì studia il russo e la politica sovietica, lì affina i suoi interessi per la deterrenza nucleare e frequenta i cervelli repubblicani della Hoover Institution. Di Stanford diventerà anche la ”provost”, rettore amministrativo. I suoi studi sull’Unione Sovietica la portano nel 1989 per la prima volta alla Casa Bianca, dove inizia a lavorare con Bush padre. Da una posizione defilata osserva e analizza l’’impero del male” che si sta sgretolando ma il suo carattere di dura viene notato quando chiamata a far parte della delegazione che sta negoziando con Mosca i tagli agli arsenali nucleari tiene testa senza timori ad un vecchio mastino come il maresciallo Akhromeyev. Della sua vita privata non si sa nulla e in molti malignano sul fatto che non ne abbia mai avuta una. Riservata e tranquilla, anche se in privato non disdegna divertimenti e qualche goliardata, attenta a ogni singola parola anche se ogni tanto gli sfugge una gaffe; come quando, durante un’intervista, definì George W. Bush ”mio marito”. A suo modo lei ”moglie” del presidente lo è, moglie politica nel senso migliore del termine: consigliere, aiuto nei momenti difficili, pronta a farsi da parte quando la scena deve essere tutta per il ”suo uomo”. Nel maggio del 2002 arrivò sorridente accanto al presidente nella sala Theodore Roosevelt della Casa Bianca dove quattro giornalisti della ”Old Europe” erano stati invitati ad intervistare George W. Bush prima del suo viaggio nel Vecchio Continente. Le liti sull’Iraq erano ancora lontane, ma il senso di frustrazione che il presidente aveva verso gli europei, che non capivano la nuova sfida lanciata da Al Qaeda, era evidente. E il presidente guardava sempre ”Condi”, quasi a cercarne l’approvazione alle domande più difficili, ricevendo in cambio ampi cenni con la testa e qualche largo sorriso alle battute più riuscite. Con George W. del resto la sua sintonia politica (e umana) è perfetta. Era stata lei la sua prima ”insegnante” di politica estera, quando gli uomini della Hoover Institution l’avevano inviata a fare da balia a quel governatore del Texas così poco preparato. E le lezioni sono continuate [...] alla Casa Bianca, durante le frequenti conversazioni tra i due nei fine settimana trascorsi a Camp David e nel ranch texano a Crawford. Una telepatia che raggiunge i massimi livelli la sera, quando Bush, che pure ama andare a letto presto, vuole vederla e discutere con lei prima di ritirarsi per la notte. Nel giugno del 2003 a Stanford, dove aveva accettato di partecipare a un seminario della ”Knight Fellowship” per discutere con un gruppo di giornalisti americani e internazionali le conseguenze della guerra in Iraq appena ”conclusa”. Era un seminario, ma finì con una bella bevuta di birra - e qualche passo di danza sotto gli occhi esterrefatti degli agenti dei servizi - nel pub del campus di Palo Alto» (Alberto Flores D’Arcais, ”la Repubblica” 17/11/2004). «Quando i razzisti fecero saltare in aria la chiesa di Birmingham in Alabama, tra le scolarette morte poteva esserci Condoleezza Rice. Come loro portava la divisa scolastica al ginocchio, come loro aveva i fiocchi nei capelli e recitava a memoria i Salmi davanti al padre, l’austero reverendo Rice. La comunità dove Condi cresceva era perseguitata ma unita, case su case dove ogni bambina poteva trovare rifugio, un’ala di pollo fritta, un budino di riso, i complimenti dei vicini. Il sogno dentro ogni famiglia era semplice, trasformare l’incubo del razzismo in una decente vita quotidiana. Il reverendo Martin Luther King voleva i bambini alle dimostrazioni, altri pastori, e tra loro forse lo stesso reverendo Rice, obiettavano che era troppo rischioso, gli uomini dello sceriffo Bull O’Connor erano spietati, con i loro idranti, i loro cani lupo, i nerbi di bue usati come fruste. La sola idea che Condoleezza [...] potesse star male o essere ferita era anatema in casa. Le lezioni di piano, il grande strumento a coda della sala da concerti, la tunica lunga dei saggi, questo doveva essere il futuro, in un’America dove i ”negri” erano diventati finalmente ”afroamericani” e si poteva vivere se non in armonia in pace, come sotto gli olmi e i platani del quartiere, tra gli scoiattoli e le note di Condi. Non ci furono invece le serate da concerto nel futuro di Condoleezza Rice, niente Beethoven, niente Mozart o Chopin, niente rivalità con Maurizio Pollini. Piuttosto lunghi meeting con Colin Powell a discutere di tagliagole iracheni, nottate con il presidente a spiegargli i rischi dell’opzione nucleare in Nord Corea, sedute con i capi della Cia a rileggere fumose informazioni in urdu o in farsi sull’andirivieni di spie tra Iran, Iraq, Afghanistan e Pakistan. [...] Quando una commessa di gioielleria insulta la giovane professoressa Rice temendo che sia una ladruncola e riponendo nel cassetto i preziosi anelli che stava guardando, la Rice la apostrofa senza timidezza: ”Io guadagno tre volte quel che guadagna lei signorina!”. [...] La Rice, che aveva studiato all’università con il padre dell’altro segretario di Stato donna, la democratica Madeleine Albright, aveva persuaso il candidato Bush, nel 2000, che lo status quo seguito alla caduta del Muro di Berlino permetteva agli Usa una posizione di rendita. In un suo saggio della primavera di quell’anno la Rice attaccava senza freni la politica estera del presidente Bill Clinton scrivendo che il Paese non doveva affannarsi a creare democrazie all’estero, concentrandosi piuttosto nel giorno per giorno con i vicini di casa, Messico e Canada. Il commercio, non la guerra era la strada dell’avvenire. E infatti il messicano presidente Fox incontra come primo leader straniero il neoeletto Bush. Tutta questa fragile teoria si incendia l’11 settembre 2001. La bambina del Sud, la concertista mancata, la studentessa con tutti gli esami passati a suon di lode, la professoressa brillante e invidiata da tanti atenei deve adesso decidere come combattere il nemico misterioso che la Repubblica si trova ad affrontare. La sua cultura di missili balistici, di silos nucleari a nulla serve nella guerra asimmetrica contro Al Qaeda. Rice cambia. Abbandona la prudenza del suo mentore, il generale Brent Scowcroft, la cautela del generale Powell che la considera una figlia, e si associa ai duri, il vicepresidente Cheney, il capo del Pentagono Rumsfeld, i neoconservatori con cui discute ogni giorno. Guerra di movimento, audacia, attacco all’Iraq. Per Bush è una sorella, con lei passa lunghe ore a discutere davanti al caminetto, la moglie Laura e papà e mamma Bush sono fieri di avere sempre in casa Condi: ”Se lei mi spiega il mondo io lo capisco”, dice Bush padre. [...] Fredda, elegante, capace ancora di suonare con Yo Yo Ma e di impressionare il premier israeliano Sharon per le gonne corte, ”Condi ha gambe tanto belle che se entra in una riunione io perdo il filo” [...]» (Gianni Riotta, ”Corriere della Sera” 17/11/2004). « l’unica nell’amministrazione Bush ad avere il singolarissimo privilegio di condividere il nome con una petroliera, la ”Condoleezza Rice” da 136mila tonnellate che la Chevron le ha dedicato in segno di riconoscimento dei dieci anni trascorsi nel consiglio d’amministrazione della compagnia. Per agilità intellettuale e rapidità di manovra però, la similitudine nautica che meglio si adatta alla precoce e preparatissima afroamericana, chiamata da George W. Bush a ricoprire il ruolo fondamentale di consigliere per la sicurezza nazionale che fu un tempo di Kissinger, sarebbe se mai quella dell’incrociatore. [...] Dopo una ventennale carriera universitaria e nel business particolarmente fortunata e veloce, la donna che Bush senior presentò a Gorbaciov con la frase ”ecco chi mi ha insegnato quello che so sul disarmo nucleare”, si sta affermando come la persona chiave sul problema che più di ogni altro è destinato forse a condizionare gli equilibri mondiali nel vicino futuro: lo scudo antimissili. In campo internazionale, per un complesso di fattori che non si possono oggettivamente ascrivere a carenze di un uomo del calibro dell’attuale segretario di Stato, la politica americana è stata più volte inefficace e confusa. [...] Una donna che suona il pianoforte nel tempo libero, è capace di influenzare il presidente come forse nessun consigliere dai tempi di Kissinger e Nixon, una donna che ha idee precise sui sistemi di missili e su Prokofiev, e che i suoi collaboratori, con un’allusione non solo allo charme del profondo Sud ma al carattere, chiamano ”magnolia d’acciaio”» (Renzo Cianfanelli, ”Corriere della Sera” 20/8/2001). «Per quasi quattro anni è stata una delle stelle dell’amministrazione Bush: giovane, intelligente, preparata, rapida, articolata, determinata e per di più afroamericana di bella presenza. I pettegolezzi di Washington la davano come potenziale candidata a tutto: dalla vice presidenza alla poltrona di governatore della California, senza escludere una sfida tra donne con Hillary Clinton per la Casa Bianca nel 2008. [...] Nel giro di una settimana, è diventata la preoccupazione più grave del governo, al punto che la rivista ”Time” le ha dedicato la copertina con un articolo intitolato così: – Condi il problema?”. Condi sta per Condoleezza Rice, la consigliera per la sicurezza nazionale al centro della polemica sugli attentati dell’11 settembre. [...] Richard Clarke, un suo ex dipendente che gestiva l’antiterrorismo alla Casa Bianca, l’ha messa nei guai, accusando Bush di non aver fatto abbastanza per combattere al Qaeda perché era distratto dall’idea di rovesciare Saddam. Quindi ha aggiunto che proprio la guerra ”non necessaria” in Iraq ha finito per complicare la lotta a Bin Laden, sottraendo risorse preziose e fomentando il terrorismo. Lui aveva avvertito la Rice, e siccome era la consigliera di politica estera più vicina al presidente, toccava a lei informarlo e metterlo sulla strada giusta. Clarke ha parlato così davanti alla Commissione federale d’inchiesta sull’11 settembre, che da tempo aveva chiesto di sentire la sua ex dirigente. [...] nata [...] negli anni in cui i razzisti del Ku Klux Klan arrivarono ad incendiare una chiesa della sua città per uccidere alcune ragazze nere. Era una bambina prodigio che suonava il pianoforte, ma a 15 anni entrò all’università di Denver e si fece convincere dal padre di Madeleine Albright, che insegnava laggiù, a lasciare la musica per la politica estera. Dalla parte repubblicana, però. Aveva servito giovanissima nella Casa Bianca di George padre, occupandosi di Urss, e dopo aver passato gli anni di Clinton all’università di Stanford come preside, era diventata la tutrice di George figlio nelle relazioni internazionali» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 29/3/2004).