6 marzo 2002
Tags : Gerhart Riegner
Riegner Gerhart
• . Nato a Berlino (Germania) il 12 settembre 1911, morto a Zurigo (Svizzera) il 3 dicembre 2001. "Fu un combattente, senz’altro, un eroe sui generis o comunque un uomo che non volle chiudere gli occhi di fronte al buio della Shoah o arrendersi di fronte all’impossibilità di agire. Mentre il mondo si nascondeva dietro all’incredulità, Gerhart M. Riegner afferrò la verità, "il terribile segreto", e decise di farlo conoscere a tutti: non c’è libro di storia dello sterminio degli ebrei che non ricordi come l’8 agosto del 1942, mentre lavorava per il World Jewish Congress in Svizzera, inviò un telegramma al Foreign Office di Londra e al Dipartimento di Stato a Washington: ”Ricevuto allarmante rapporto che nel quartier generale del Führer è stato discusso e preso in esame un piano secondo il quale tutti gli ebrei dei paesi occupati o controllati dalla Germania ammontanti a 3 e mezzo-4 milioni dovrebbero dopo deportazione e concentramento nell’Est venire sterminati in un sol colpo per risolvere una volta per tutte la questione ebraica in Europa. L’azione citata prevedeva per l’autunno metodi ancora in discussione incluso l’acido prussico. [...] L’informatore afferma di avere stretti collegamenti con le più alte autorità tedesche e i suoi rapporti sono in generale attendibili”. Era la prima volta che si comunicava, si denunciava, in modo ufficiale il piano nazista di annientamento degli ebrei. ”Avevo la possibilità di fare e ho fatto”, avrebbe semplicemente detto. Gerhart Riegner aveva allora trent’anni. Era nato da una famiglia di intellettuali, a Berlino: mentre studiava all’università entrarono i nazisti in divisa per cacciare gli ebrei. Quelli che si salvarono, compreso lui, ci riuscirono buttandosi dalla finestra. Da allora, disse, ”capii cosa erano capaci di fare, erano barbari selvaggi”. E così, mentre rappresentava a Ginevra il World Jewish Congress i genitori e le sorelle erano emigrati in America non ebbe difficoltà a credere all’’informatore” Eduard Schulte, un industriale tedesco di cui, come aveva promesso, ha mantenuto l’anonimato per decenni (nel 1980, Walter Laqueur nel suo Il terribile segreto, La congiura del silenzio sulla ”soluzione finale”, edito in Italia dalla Giuntina, ancora ne ignora il nome che scoprirà solo più tardi, mentre La distruzione degli ebrei d’Europa di Raul Hilberg, dell’85, lo riporta). Sì, il tedesco Schulte era credibile: aveva già dato informazioni su cambiamenti in atto nel comando supremo dell’esercito, e, soprattutto, la data dell’Operazione Barbarossa, l’invasione dell’Unione Sovietica, scrive Laqueur. Ma non si creda che ”trasmettere” un’informazione simile, che tra l’altro a Riegner non arrivò direttamente ma attraverso un amico comune, fosse un fatto automatico, meccanico. Bisognava battersi per farsi dare ascolto [...] Il cablo di Riegner usciva dall’universo delle voci, era ufficiale, spedito attraverso i consolati americano e britannico al rabbino Stephen Wise negli Usa e al deputato Sidney Silverman in Inghilterra. No, non è nemmeno così semplice. Il 10 agosto il Foreign Office ricevette il telegramma: al dipartimento centrale qualcuno pensò che fosse ”una voce piuttosto incontrollata”, ma il testo fu comunque consegnato al membro laburista del Parlamento Sidney Silverman: e quando lui disse che voleva avvisare l’autorevole rabbino Wise di New York, gli fu impedito sia perché i tedeschi avrebbero potuto intercettare il messaggio sia perché eventuali azioni delle istituzioni ebraiche, gli comunicò Londra, avrebbero ”potuto infastidire i tedeschi e rendere ancora più sgradevoli le loro iniziative”. Walter Laqueur sottolinea comunque che il Foreign Office trasmise il messaggio al deputato mentre il Dipartimento di Stato non volle nemmeno passare il messaggio a Wise. Qualcuno a Washington giudicò ”fantastica” la natura di quelle informazioni: le notizie gli apparivano voci ”incontrollate”, ”ispirate da timori ebraici”. Ancora a novembre sia Londra che New York preferivano non renderle pubbliche. E non crederci più di tanto. Perché? La domanda nel 1995 venne rivolta direttamente a Gerhart Riegner che comunque, anche in seguito, ha passato la vita a difendere i diritti umani degli ebrei e non, all’Onu, alla Croce Rossa, nell’Urss, nei paesi Arabi, a tessere migliori rapporti tra il mondo ebraico e quello cristiano, a battersi per l’intervento in Rwanda o nel Kosovo, a favore dell’apertura del Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità. Perché, allora, i paesi liberi non reagirono al suo telegramma, perché gli americani non fecero niente? gli fu chiesto. Riegner elencò sei motivi: 1) innanzitutto, disse, ”non ci credettero; quel che i nazisti fecero agli ebrei era così orribile che andava ben al di là della comprensione umana”; 2) c’era una grande indifferenza al destino delle vittime di Hitler, il solo obiettivo era ”vincere la guerra”; 3) la diffusione di un certo antisemitismo; 4) la poca forza degli ebrei a quel tempo; 5) l’efficacia della propaganda nazista che accusava gli ebrei di spingere gli americani alla guerra: la maggior parte degli statunitensi voleva rimanere neutrale e non ingaggiare un conflitto ebraico; 6) nessuno era preparato a combattere ”l’annientamento sistematico di un intero popolo, fatto con un taccuino in una mano e i mezzi tecnologici nell’altra: era un fatto senza precedenti”. Riegner non si arrese. Il 21 gennaio 1943, riporta Raul Hilberg, il sottosegretario di Stato Welles ricevette il cablo 482 della sua legazione di Berna: il nostro uomo riferiva che gli ebrei di Polonia venivano uccisi al ritmo di 6000 al giorno. Il messaggio questa volta fu passato a Wise, ma dopo un massiccio raduno degli ebrei newyorchesi a Madison Square Garden e la valanga di richieste di salvataggio che si riversò al Dipartimento, questo decise di bloccare il flusso delle informazioni verso i privati. Per Riegner fu un momento terribile: dopo tutto quel che aveva detto e andava dicendo si aspettava succedesse qualcosa. E non successe niente. La Shoah, ha affermato più volte Riegner, e non solo lui, a quel punto non poteva essere fermata: ma si sarebbero potute salvare molte vite: compiere delle rappresaglie, minacciare i tedeschi, bombardare i lager, scambiare più ebrei con prigionieri tedeschi. Per quel che lo riguarda, Riegner aiutò migliaia di bambini a scappare in Svizzera e Spagna con passaporti falsi e spinse i governi occidentali e la Croce Rossa a salvare migliaia di ebrei ungheresi. Dalla sua vita aveva imparato una lezione chiara. Che nel 1991 rivelò allo storico israeliano Tom Segev quando lo andò ad incontrare prima di scrivere Il settimo milione, il suo noto libro sull’uso distorto che Israele in certi momenti ha fatto della Shoah. Aveva imparato, disse, ”che bisogna distruggere tutte le organizzazioni razziste appena nascono, prima che raggiungano le dimensioni del Terzo Reich di Hitler”; ”che quando in guerra il nemico agisce in base a impulsi irrazionali gli strumenti razionali sono inutili”; che i media e la burocrazia non riescono a cambiare il corso della storia: tutti sapevano più o meno tutto, eppure avevano continuato per la solita strada e ”l’eccidio della Shoah era proseguito secondo i piani”" (Susanna Nirenstein, ”la Repubblica” 5/12/2001).