varie, 6 marzo 2002
RINALDI
RINALDI Claudio Roma 9 aprile 1946, Roma 4 luglio 2007. Giornalista. Direttore di Espresso, Panorama, Europeo • «Tutti dicono che è il miglior direttore di settimanali in circolazione. Tutti tranne Scalfari. Che quando scende dall’Olimpo per passeggiare nei salotti romani confessa di rimpiangere l’’Espresso” diretto da Giovanni Valentini. E mentre le damazze si vergognano a chiedere ”Valentini chi?”, Rinaldi si rincuora scrivendo per la centesima volta lo stesso articolo contro Berlusconi e scegliendo la tetta da mettere in copertina accanto alla foto di Di Pietro» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998) • «Ero del Movimento studentesco della Cattolica. Era generico nelle sue ideologie ma aveva una forte componente autoritaria. Nel ”69 aderii a Lotta Continua dove le ideologie pesavano di più. Lotta Continua era marxista, aveva simpatie per Lenin e Mao, ma detestava Stalin. Poi a un certo punto Lotta Continua mi ha stufato e me ne sono andato. Non mi divertivo più. Alla Cattolica avevo un ruolo di primo piano. In Lotta Continua ero un pesce fuor d’acqua. Non potevo competere con Sofri o con Pietrostefani o con Viale che ne sapevano molto più di me [...] Quando scoppiava lo scontro io me la svignavo. Dare botte non mi è mai piaciuto, e non mi piaceva nemmeno prenderle. Molti compagni mi ritenevano un po’ pavido [...] Su Lotta Continua ne ho scritte di tutti i colori. Ma non si firmava, non si sapeva di chi erano gli articoli. Nessuno oggi può rinfacciarmeli [...] C’era stata una rivolta e qualcuno aveva dato alle fiamme un edificio pubblico. Io feci un simpatico titolo: ”Un esempio da seguire: a fuoco il Municipio” [...] frequentavo il Bar Magenta, era il locale preferito da noi studenti. Ma non giocavo a poker allora. Non avevo i soldi. Giocavo a biliardo e a scala quaranta. [...] Io tutto sommato sono una persona per bene. Però ricordo mio padre, alto funzionario del ministero della Pubblica Istruzione, che ricevette in regalo tre bottiglie di vino rosso e le rimandò al mittente [...] Una mattina del 1977 in cui dovevo intervistare un Berlusconi emergente, trovai sul pianerottolo 204 bottiglie di vino [...] Mi sembrava scortese rimandarle indietro. Comunque sapevano di tappo e finirono nel lavandino. Mesi dopo Berlusconi mi regalò uno strano oggetto, una specie di scultura di un artista di nome Berrocal, una specie di dea Kalì che si poteva scomporre in tanti piccoli monili: anelli, orecchini, braccialetti. Mandarmi un mammatrozzo di quella natura l’ho trovato francamente deplorevole. Gliel’ho rimandato indietro con un biglietto: ”Grazie, ma non sono di gusti così raffinati da apprezzare un simile capolavoro” [...] Da allora non mi ha più mandato niente. Ogni tanto, a Pasqua, mi arriva un grande uovo di cioccolato marca Bauli, credo proveniente dai cambi-merce di Publitalia [...] Ho votato cani e porci: Psiup, Manifesto, Psi, Pci, Pri, Dc, Pds. Nel ”96 votai per Prodi. Dal 2001 non voto più. Adesso voterei Margherita, ma senza entusiasmo [...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” 30/1/2003) • «Alto, imponente, occhi verdi programmaticamente ironici [...] ”Il giornalismo è un mestiere basato sulla chiacchiera, sulla produzione di chiacchiere, non di merce. Noi ci siamo formati sulla chiacchiera, chiacchieriamo meglio di chiunque altro. Siamo una generazione aggressiva e disincantata che, coerente al primato della chiacchiera, ha occupato in massa i giornali [...] Quando ero militare, a 26 anni, dopo essermi laureato, lessi per caso un articolo di Giorgio Bocca. Mi colpì una frase, che non so citare letteralmente ma di cui ricordo bene il senso: stiamo allevando una generazione di uomini incapaci di fare qualsiasi cosa. Ho pensato: ha ragione. E ho deciso di fare il giornalista. Che cos’altro sapevo fare? Le mie passioni erano la storia e la politica, le mie qualità la chiacchiera e le relazioni basate sulla parola” [...]» (Lidia Ravera, ”Sette” n. 22/1999).