varie, 6 marzo 2002
Tags : Dino Risi
Risi Dino
• Milano 23 dicembre 1916, Roma 7 giugno 2008. Regista. Dopo gli studi in medicina inizia a lavorare nel mondo del cinema come assistente di Mario Soldati per Piccolo mondo antico. Ben presto, abbandona la professione e comincia a scrivere di cinema per varie riviste. Nel 1946 dirige alcuni documentari. Primo film Vacanze con il gangster, del 1952. Si afferma presto come il più tipico rappresentante della commedia all’italiana, in capolavori come Poveri ma belli, Belle ma povere, Il mattatore, Una vita difficile. Seguono: I mostri, Straziami ma di baci saziami, Sessomatto, Profumo di donna, Scemo di guerra (’liberal” 7/1/1999). «[...] Arnaldo Risi, il padre di Dino, era uno dei medici più importanti di Milano. Aveva in cura il Benito Mussolini giornalista e direttore de ”Il Popolo d’Italia” ed era il medico ufficiale della Scala: ”mi portava nei camerini delle cantanti e io impazzivo di gioia. Adoravo il profumo delle donne fin dall’età di tre anni, quando mia madre mi faceva dormire con una cameriera e io toccavo, annusavo felice. Ricordo come fosse oggi, però, l’abbraccio della cantante lirica Toti del Monte: puzzava di cipria e sudore, uno schifo. A scuola, ero un ribelle. Una volta, portai perfino una gallina in classe. Feci il ginnasio e il liceo al Berchet. Da ateo, ero esonerato dalla lezione di religione, potevo entrare più tardi e saltare la prima ora, ero invidiatissimo. In famiglia, un nonno era stato con Garibaldi e l’altro, il nonno Risi, segretario di Mazzini: a sei anni mi definii ”un libero pensatore’, dovevo averlo sentito dire da qualcuno degli amici socialisti dei miei. Da adulto, ho sempre avuto un rigetto per la politica. Non la capivo, se non come un grande spettacolo...”. Famiglia antifascista, uno zio – Guido Mazzocchi, fratello della mamma Giulia – pittore divisionista, fu incaricato dai fuoriusciti di portare da Parigi a Roma una valigia contenente una cintura di esplosivo ”destinata al primo kamikaze, tale Sbardellotto, che doveva farsi esplodere al passaggio di Mussolini. Zio Guido finì arrestato a Regina Coeli”, di lui il regista preferisce ricordare ”le modelle bellissime, la gelosia della sua moglie valdese che, un giorno, si avventò con un coltello su un quadro”. Il ragazzo rimane orfano di padre a dodici anni, sua madre cresce lui e i suoi fratelli Nelo e Mirella aiutandosi con le traduzioni e riuscendo a farli studiare. ”Mi laureai in medicina, volevo specializzarmi in psichiatria. Dopo sei mesi al manicomio di Voghera, lasciai perdere. Avevo voglia di non far niente, di essere ricco e di girare il mondo. Ci sono riuscito, ho fatto il mestiere più bello del mondo, negli anni giusti: noi della commedia all’italiana avevamo sette, otto produttori che ci si litigavano, rilanciando proposte e ingaggi milionari. Capii subito che sarebbe stata una goduria quando Carlo Ponti ricomprò a due milioni un documentario che avevo prodotto da solo e che mi era costato 200 mila lire in tutto. Si chiamava Buio in sala. Ponti mi chiamò a Roma, per darmi personalmente l’assegno. E io non avevo neppure un conto corrente in banca. Era il 1950, dormivo in una pensione spaventosa, ma la fase eroica durò poco. Avevo scritto battute per il Marc’Aurelio , la rivista satirica che faceva la fronda al regime alla fine dei Trenta, ritrovai molti frequentatori della redazione in giro per Roma, avevo qualche collaborazione. Ponti si ricordò che ero medico e mi chiese di sceneggiare Anna, un film destinato alla Magnani, la storia di una donna che si fa suora in seguito a una delusione amorosa e poi ritrova in ospedale il suo antico fidanzato. Il regista era Lattuada, con Berto e Brusati andammo a sceneggiarlo alla Maga Circe, un paradiso di scogli sul mare, deserto, del Circeo. Ma alla fine la parte andò alla Mangano. De Laurentiis, che si era appena messo con lei, la impose al socio Ponti dicendo: ”questa parte è per Silvana”. Al debutto, nel 1956, con Poveri ma belli, Risi è acclamato. Ma il suo capolavoro, Il sorpasso è del 1962. Nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, ”nel nostro ambiente, erano tutti comunisti o socialisti: per paradosso, potrei dire che era il modo migliore per farsi corteggiare dai nemici democristiani. Nel Pci militavano De Santis, Visconti, Lizzani. Socialisti erano invece Monicelli, Age, Scarpelli. Era un gioco delle parti, un po’ come adesso. Tutti tenevano il piede in due staffe. Stili di vita da capitalisti, cuore a sinistra e portafoglio a destra: essere all’opposizione conveniva. [...] perfino l’avvocato Agnelli, da gran furbo, strizzava l’occhio ai sindacalisti, a Luciano Lama [...] Fingeva di essere amico degli avversari e intanto faceva far carriera, nei partiti moderati, a sua sorella Suni. Io non sono mai stato né comunista né democristiano, ho votato per i repubblicani, i socialisti, poi per il partito socialdemocratico. Quando, con Pietro Germi, ci siamo azzardati a elogiare Saragat, le teste pensanti del cinema ci hanno messo in quarantena, in punizione. La verità è che il Sessantotto prese di sorpresa i grandi intellettuali, gente che passava le vacanze a Capri o in Versilia e le serate nelle belle case a giocare ai mimi: diventarono tutti più realisti del re, volevano cambiare il mondo, io li trovavo ridicoli. Faceva eccezione una persona meravigliosa: Antonello Trombadori, il comunista meno comunista che ci sia stato, teneva il filo tra il Pci e il cinema con un’ironia indimenticabile, per fortuna”. Risi esibisce come una medaglia la sua distanza dai palazzi del potere, ”forse ho incontrato una volta o due Andreotti e ho stretto la mano al presidente Ciampi, pensando, poveraccio: quante mani dovrà stringere?”. Di Bettino Craxi ricorda con ironia ”quel sei meno meno che gli diede Moana Pozzi nella sua autobiografia erotica. [...]”» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 14/5/2005). «52 film alle spalle, inventore con Poveri ma belli della commedia all’italiana, autore di alcuni successi memorabili come I mostri, Profumo di donna Una vita difficile[…] ”Da vicino no ho visto l’Oscar, che poi è un premio mercantile, con le due nomination a Profumo di donna, ma nessun mio film è mai andato al Lido, meno un documentario sui barboni di Milano, agli inizi. […] In generale i comici toscani non sono i miei preferiti, mi danno un po’ fastidio. Come i francesi: loro mi amano, mi hanno più volte invitato anche a Cannes, ma io sto sulle mie […] Film che vorrei dimenticare? Tanti. Almeno dieci. Il profeta, per esempio, scritto in 15 giorni per far rispettare a Gassman un contratto in scadenza con Cecchi Gori. O Venezia la luna e tu con Sordi e Manfredi in laguna, che ha l’unico merito di aver fatto ridere alle lacrime, senza sottotitoli, chissà perché, l’imperatore del Giappone che lo vide in uno di quei giri turistici del cinema”» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 22/7/2002). «Bello, con i suoi magnifici capelli bianchi, abbronzato, grande, un gentiluomo di 85 anni che ha sempre vissuto, e lavorato, protetto da una elegante ironia, dice: ” curioso che Il sorpasso sia considerato oggi un capolavoro. Lo facemmo così, il produttore Mario Cecchi Gori, Vittorio Gassman ed io, come si lavorava allora, pensando al botteghino e non all’arte. Però era un azzardo, perché Gassman era antipatico al pubblico, e in più si trattava di una commedia con finale tragico. Infatti Cecchi Gori era inquieto e voleva cambiarlo, e invece fu proprio quell’amarissima chiusura a contribuire al successo […] Io sono sempre stato marito e padre ideale perché non mi sono mai occupato né di mia moglie né dei miei figli: a fare cinema non li ho né scoraggiati né incoraggiati e soprattutto non li ho aiutati. Hanno fatto loro, anche bene, con film più riusciti di altri. Del resto anch’io, che ne ho fatti una cinquantina, ho avuto i miei bei fiaschi, ma non me ne è mai importato molto […] Avrei anche in mente delle storie, ma poi mi assale la pigrizia e lascio perdere: ho sempre sfuggito la fatica, anche da giovane, e quando cominciavo un film il mio solo pensiero era finirlo in fretta per levarmelo dai piedi e poi non far niente, che è sempre stato il mio ideale. Lavoravo forse con incoscienza, vorrei dire in una provvisorietà che si rivelava durevole”. Il suo film che ama di più è In nome del popolo italiano, girato nel ”71, e davvero profetico, con un meraviglioso Gassman palazzinaro imbroglione e un Tognazzi integerrimo magistrato.”«Oggi si potrebbe rifare, e al posto del palazzinaro ci metterei un politico del tipo che oggi trionfa tra menzogne e intrallazzi. Mi chiedo perché mentre gli americani affrontano i problemi più scottanti attuali, i giovani registi italiani non abbiano il coraggio di affrontare la realtà di oggi, e stanno lì a raccontare solo storie intime e piccine, come se tutto accadesse in un acquario. Hanno paura del potere, temono esclusioni, vogliono essere cortigiani, davvero non vedono oltre se stessi? Oppure la televisione li confonde con la pseudo realtà?”. Considerato in passato un autore disimpegnato dalla rigida intellighentia di sinistra, non si è mai schierato neppure al centro, eppure oggi i suoi film ci propongono vecchi mostri di massima attualità anche politica. ”Se avessi trent’anni meno, lo farei io un film sui mostri nuovi. Penso a quale ispirazione potrebbe essere Bossi, che io immagino proclamarsi re di San Marino, dichiarare guerra all’Italia e poi venir fatto fuori dalla mafia. O quel personaggio stupendo che è Berlusconi, uno che cantava sulle navi e adesso è capo del governo e ha deciso di diventare presidente a vita. Certo ci vorrebbe un attore straordinario, e in giro non ne vedo: magari sono bravi, ma non hanno carisma. Se fosse ancora in vita, sarebbe perfetto Gianmaria Volonté”. Dei grandi attori con cui ha lavorato, quello di cui ha più nostalgia è Gassman, con cui ha fatto 16 film: ”Agli inizi mi sembrava un trombone, con tutta la sua magnificenza fisica, ma poi a poco a poco è nato un vero legame: era un principe rinascimentale, che viveva in un palazzo con teatro, eppure con tutto il suo talento e la sua fortuna, la sua umanità e la sua ironia, a un certo momento si è spezzato e ha cominciato a navigare in una infelicità senza vie d’uscita. Poi ha cominciato a perdere la memoria, da prepotente e anche cattivo è diventato vulnerabile, sperduto, impaurito. Ed è per lui che mi si è spezzato il cuore”» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 2/9/2002).