6 marzo 2002
RIVA Antonello
RIVA Antonello. Nato a Rovagnate (Como) il 28 febbraio 1962. Giocatore di basket. Si è ritirato quasi quarantatreenne nel novembre 2004. «Ha bucato migliaia di canestri nella sua lunghissima carriera di grande attaccante. [...] il Nembo Kid di Rovagnate, il bomber per antonomasia, il più grande realizzatore di sempre del basket italiano con quasi 14.500 punti, si ritira [...] dal 1978 ha giocato con 5 squadre diverse: Cantù, Milano, Pesaro, Gorizia e Rieti [...] Trasparente, semplice, diretto, essenziale, come quelle penetrazioni senza fronzoli, di pura potenza, che ha ripetuto, identiche e identicamente efficaci, da quando aveva 15 anni. Il parroco di Rovagnate, il paese in cui era nato, lo aveva ceduto a Cantù per un vecchio pullmino che sarebbe servito per portare in trasferta la squadra dell’oratorio. Riva era cresciuto in un college, allora avveniristico, vicino alla sede della squadra. Nel ’78, Arnaldo Taurisano lo aveva cooptato fra i titolari dell’allora Gabetti, facendolo entrare in campo sporadicamente, prima che arrivase Valerio Bianchini a investire sul suo eccezionale talento fisico. ”Lo feci partire come quarta guardia - racconta Bianchini -, ma in brevissimo tempo Antonello conquistò il posto in quintetto base. Era granitico, non solo sotto il profilo muscolare, ma anche per il carattere e il modo di giocare. Nel panorama italiano dei primi Anni 80, era una specie di Rick Barry, che avevo visto spesso dal vivo quando giocava nell’Aba a New York: disponeva di un tiro in sospensione di una modernità assoluta, è stato per anni la personificazione ideale di un gesto tecnico che rappresenta la sintesi del basket”. Non è un caso che la maturità tecnica di Riva abbia coinciso con le vittorie più importanti di Cantù: lo scudetto dell’81 con il marchio Squibb, poi le due coppe dei Campioni consecutive, la prima soprattutto, straordinaria, contro il Maccabi Tel Aviv a Colonia. ”Per lui, avevo introdotto appositamente uno schema che si chiamava ’Screen the screener’, in italiano ’Blocca chi blocca’ - continua Bianchini -. Marzorati portava la palla sulla destra, lo stesso lato sul quale Antonello prendeva posizione. In lunetta c’era Bruce Flowers, a sinistra in post basso Bariviera. Riva bloccava basso sulla linea di fondo per Bariviera che aveva lo spazio per sfruttare il suo classico uncino. Dal post alto, Flowers portava un blocco ad Antonello che sul lato sinistro risaliva verso la lunetta per un tiro in sospensione che eseguiva praticamente a occhi chiusi. Antonello ha avuto una grande produzione offensiva, ma è stato una roccia anche in difesa, prima che l’infortunio al ginocchio lo condizionasse tanto”. Era il 1985 e sul campo di Reggio Emilia, proprio lì dove 15 anni dopo tremilacinquecento persone si sarebbero alzate in piedi per tributargli un lungo affettuoso applauso dopo il canestro con cui avrebbe superato il brasiliano Oscar nella classifica dei marcatori di ogni tempo, Riva subì la rottura di un menisco e del legamento crociato anteriore di un ginocchio. ”Allora non c’erano le tecniche chirurgiche di oggi - ricorda Antonello - e la preoccupazione che non riuscissi più a proseguire la carriera era notevole. Purtroppo qualche mese prima avevo avuto dei contatti con i Golden State Warriors per andare a giocare nella Nba: quel terribile infortunio fece svanire un bellissimo sogno”. Ancora oggi Pierluigi Marzorati, che di Riva è stato la chioccia, il fratello maggiore e un sostenitore sempre accanito, è convinto: ”Antonello era un’apparizione da Nba. Era uno dei pochissimi ad avere le doti fisiche per far bene anche in quel mondo - dice l’ex grande playmaker di Cantù -. Quell’infortunio avrebbe potuto condizionare pesantemente la sua carriera, ma Riva ha dimostrato di aver assorbito pienamente la mentalità canturina: ha lavorato sodo sul proprio talento, ha interpretato alla lettera il ruolo dello sportivo coscienzioso e attento, garantendosi così, anche se solo in Italia, un futuro prestigioso”. Dall’89, quel futuro si è trasferito a Milano, per una cifra allora record di 8 miliardi di lire, nel club a cui Riva aveva spesso strappato vittorie importanti. Come quella in gara-3 delle semifinali scudetto, finita 85-84 dopo due supplementari, in cui ”Nembo Kid” aveva segnato 32 punti. ”Il mio cordone ombelicale è attaccato a Cantù - si racconta lui -. Vengo da quella terra, lì sono arrivato da bambino e lì sono diventato uomo. Ma anche i cinque anni a Milano hanno lasciato un segno importante, forse perché a quelli è legato l’unico rimpianto della mia vita da cestista: lo scudetto buttato al vento nella finale in casa contro Caserta, nel ’91. Nell’anno della prima rifondazione dell’Olimpia, credo che nessuno avrebbe pensato di poter sfiorare addirittura il tricolore”. A Milano, nel ’93, Riva ha vinto l’ultimo trofeo della carriera: la coppa Korac, accanto a Sasha Djordjevic e con Mike D’Antoni in panchina. ”Ho vinto tanto, anche se non tantissimo, come Meneghin o Pittis - continua Riva -. Anche per questo, sono sereno [...] sono passati giocatori importantissimi, bravissimi e fortissimi che non hanno vinto nulla. A me, invece, nessuno potrà cancellare il ricordo dell’oro agli Europei di Nantes dell’83, vinto da un gruppo di amici prima ancora che di giocatori, rimasti sempre vicini. Ma sono soddisfatto soprattutto perché non ho rimpianti, ho sempre dato il massimo, avendo cura della mia vita di atleta”. [...]» (’La Gazzetta dello Sport” 26/11/2004). « il nostro Oscar Schmidt: nessuno, in Italia, ha segnato quanto lui. Al brasiliano Oscar, Riva non assomiglia quasi in niente se non nella gioia di allacciarsi ogni sera le scarpe per poter fare l’ennesimo canestro. Riva è stato un grande. Grazie a un fisico micidiale che nei primi Anni 80 sembrava fuorilegge per uno del suo ruolo. E per il tiro e il contropiede fulminante col quale spaccava in due il campo. Il suo impatto col grande basket è stato micidiale: lo scudetto a Cantù [...] dopo la tripla semifinale con Milano finita per un punto di differenza rappresentò la sua esplosione; la doppia coppa dei Campioni conquistata e la medaglia d’oro di Nantes, dove debuttò in una grande manifestazione azzurra, lo consacrò stella internazionale. A 21 anni, Antunel aveva già vinto più di gran parte dei suoi colleghi. Troppo in fretta. Da allora, quella di Riva è stata la rincorsa di un grande professionista e un uomo sereno e mai egoista, nonostante i mille tiri, a successi che sembravano volergli sfuggire: l’unico grave infortunio, che gli fece perdere un’altra medaglia dopo che a Los Angeles ’84 era stato tra i bomber dei Giochi, la cessione-record a Milano, le finali perse che lo etichettarono come uno che non sapesse più vincere. Nei secondi 20 anni di carriera, Antonello ha raccolto poco: un argento europeo, a Roma, e una Korac con quella Olimpia che ha amato tantissimo non egualmente ricambiato. Imperterrito, con la serenità e la trasparenza delle persone vere che ce la mettono sempre tutta, è andato dritto per la sua strada senza paura di sporcarsi la biografia scendendo di livello e godendosi la soddisfazione delle risalite [...]» (Luca Chiabotti, ”La Gazzetta dello Sport” 26/11/2004). «Il parroco di Rovagnate pensò di aver fatto l’affare del secolo quando Aldo Allievi, il presidente di Cantù che credeva nelle preghiere, nel basket e nel risparmio, gli propose lo stuzzicante scambio: un pulmino Volkswagen usato e una cassa di palloni per avere il cartellino di quel ragazzo che sul campetto dell’oratorio sembrava saperci fare con il pallone a spicchi. Quel ragazzo aveva 15 anni, un fisico da adulto e la testa del campione. Il parroco accettò, ma l’affare del secolo lo fece il basket accogliendo sul parquet Antonello Riva. Una vita passata sotto canestro a collezionare record [...] ”Marzorati lo ritengo ancora inimitabile ed è guardando il suo stile che sono cresciuto; Dino Meneghin mi ha aiutato a maturare [...] Più delle sconfitte che ci stanno e ci saranno sempre per chi fa sport, mi porterò dietro l’impossibilità di giocarmi la carta della Nba. A Los Angeles fui votato nel miglior quintetto dell’Olimpiade insieme a un certo Michael Jordan. Mi chiamarono alla Summer League i Golden State Warriors, poi mi procurai la famosa distorsione al ginocchio e non se ne fece nulla. Il rimpianto è che oggi la Nba guarda all’Europa con altri occhi e allora se solo fossi nato 15 anni dopo...” [...]» (Valerio Vecchiarelli, ”Corriere della Sera” 26/11/2004). «Rovagnate è un piccolo paese della Lombardia, vicino a Lecco, che forse mai aveva fatto la sua comparsa nelle cronache sportive prima del 1977. Anno in cui Antonello Riva, presto soprannominato ”Nembo Kid” per il fisico scolpito e per una strapotenza che annichiliva gli avversari, esordì nella serie A1 di basket con la maglia di Cantù. [...] Con Cantù ha vinto uno scudetto (’81), due Coppe Campioni (’82 e ’83) e una Coppa Coppe (’81), con Milano una Coppa Korac (’93): numeri da grandissimo [...]» (Domenico Latagliata, ”La Stampa” 28/2/2002).