Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Roberts Kenny

• . Nato a Modesto (Stati Uniti) il 31 dicembre 1951. Motociclista. Campione del Mondo dell 500 nel 1978, 1979, 1980. «Grande beniamino del pubblico di tutto il mondo, Kenny Roberts fu il capostipite di quella dinastia di piloti americani che dominò la 500 fino all’avvento di Mike Doohan, lasciando spazio soltanto nel 1981 e 1982 a Marco Lucchinelli e Franco Uncini. Iniziò la sua attività nelle corse su sterrato (dirt track) e ricevette il titolo di Rookie of the year, riservato al miglior debuttante, nel 1972. Nel 1975 primeggiò sulle piste ovali in sella a un prototipo Yamaha 250 spinto dal 4 cilindri usato nella Velocità. Questi successi gli fornirono il ”salvacondotto” per passare all’asfalto, sempre con i colori giallo-neri della filiale Usa della Yamaha. Nel 1977 vinse il Campionato Usa di F1 (maxi moto derivate dalla serie) e l’anno successivo esordì nel Campionato del Mondo, cogliendo il successo al debutto assoluto nella 250 (GP del Venezuela) e vincendo per tre anni consecutivi la classe 500, nel 1984, dopo aver conteso il titolo a Freddie Spencer fino all’ultima gara, Roberts si congedò dai suoi fans con un’accoppiata di vittorie alle 200 Miglia di Daytona e Imola. Divenuto manager, scoprì Wayne Rainey e John Kocinski che per la Yamaha vinsero 4 titoli, nella 500 e nella 250 [...]»(Enciclopedia dello Sport, Treccani). «Quando, nel 1974, arrivò a Imola per la 200 Miglia nel ruolo di nemico numero 1 del campione numero 1 Giacomo Agostini, Kenny Roberts si meritò il soprannome di marziano. Perché circolava nel paddock fasciato nella tuta giallo-nera (stessa perfezione grafica della Yamaha affrescata coi colori del team International della filale statunitense), senza sfilarsi dal capo il casco integrale, avanzando meccanicamente, le braccia e le gambe arcuate, senza voltarsi: una sorta di extraterrestre, un marziano, appunto. Il soprannome gli restò, per motivi diversi. Per quanto di straordinario, negli anni successivi, riuscì a fare nelle sue rare apparizioni europee e in quelle numerosissime negli Usa dove era il numero 1. Roberts, per tutti, era il marziano quando nel 1978 atterrò in Europa con il dichiarato intento di conquistare, primo americano nella storia, il titolo Mondiale delle 500. Ci riuscì al termine di una stagione senza respiro, destinata a imprimere una svolta nella storia del Mondiale, in sella a quella YamahaOW35K, diventata mitica quanto il suo campione [...] Roberts pilotava la sua Yamaha e viveva la sua esistenza all’interno del microcosmo moto, con uno stile personalissimo e innovativo. La sua tecnica di guida, fortemente condizionata dalla gare di dirt track, prove di velocità su piste ovali in terra battuta in cui le curve si affrontano in spettacolari controsterzo, gli aveva regalato uno straordinario controllo della moto. Lui, molto naif , sosteneva di aver appreso il segreto dell’equilibrio instabile in improvvisati rodei infantili a cavallo di maiali... L’accampamento Roberts-Yamaha era - in un’epoca in cui il paddock era affollato ancora di tende, roulotte e pochi piccoli camper - una sorta di base spaziale nella quale troneggiavano come astronavi, due grandi motorhome. Erano il simbolo di un’apparente inavvicinabilità del campione, sempre impegnato in doppi turni di lavoro (correva anche nella 250 per avere più occasioni di apprendimento delle piste a lui sconosciute), in lunghe e continue riunioni con i tecnici, con una particolare dedizione per quelli degli pneumatici (era l’unico a utilizzare le americane Goodyear). Giornate piene di lavoro, oggi abbastanza normali per un pilota, all’epoca un fatto sorprendente. Roberts pareva inavvicinabile, scorbutico. In realtà era solo intimidito e voglioso di creare una protezione per sé e per i suoi cari: la moglie, in dolce attesa, e il piccolo Kenny Junior, un diavoletto di cinque anni, perennemente impegnato a impennare la sua minibici e destinato a diventare pure lui, 22 anni più tardi, campione del mondo. Però era sufficiente bussare alla porta di Roberts per avere, sempre, un cortese appuntamento e ricevere con molta professionalità risposte e anche confidenze. ”per voi non è facile capire quale sia stata la più grande difficoltà di questo mio anno - disse al Nürburgring, alla vigilia dell’ultima gara, che lo laureò campione-. stata quella di cambiare tutto ogni settimana. Negli Usa posso passare da una costa all’altra, fare cinquemila chilometri e sono sempre in America. Qui, in Europa, in tre ore, non solo passo da una pista all’altra ma pure da un mondo all’altro: cambia il popolo, la lingua, le abitudini, il cibo, i soldi... Le sole cosa che trovo inalterate sono la pressione e la curiosità su di me”. Curiosità in parte legittima: lui era molto diverso dagli altri piloti, in primis dal campione in carica Barry Sheene, il rivale della Suzuki estroverso, brillante, simpatico a prima vista. Ma anche dal venezuelano Johnny Cecotto, enfant terrible capace di vincere nel ’75, all’esordio, a 19 anni, il Mondiale 350. Anche Cecotto aveva la Yamaha OW35K, anzi ne aveva due, mentre Roberts ebbe un secondo esemplare solo dalla penultima gara. Cecotto correva con i colori ufficiali, Roberts con quelli dell’importatore Usa che alla lunga gli garantirono un altro soprannome ”canarino”. Cecotto, con l’americano Steve Baker, aveva sviluppato nella stagione precedente la base di questa formidabile moto con motore quattro cilindri in linea dotato di una valvola parzializzatrice dello scarico, invenzione segreta della Yamaha che diede a quel mezzo una guidabilità sorprendente per gli allori scorbutici propulsori due tempi non ancora supportati da una gestione elettronica. A lungo questo, nel corso del 1978, contribuì a dare un vantaggio alla Yamaha - che disponeva pure di un telaio più equilibrato - nel confronto con la Suzuki, destinata, con il suo quattro cilindri in quadrato, a disco rotante, a essere più potente ma più difficile da condurre. Oltre agli pneumatici, la Yamaha di Roberts differiva da quella di Cecotto per i carburatori, Lectron in luogo dei Mikuni. La Yamaha fu regina nelle qualifiche: in 11 Gran Premi 10 pole (8 con Cecotto, due con Roberts), vinse 5 volte (4 con Roberts, 1 con Cecotto). Fu degna regina del re Kenny che giudicò la sua prima stagione europea con esiti contrastanti: ”Dal pubblico, in ogni Paese, ho avuto applausi, stima, rispetto e affetto: questo è stato gratificante - disse -. Dagli organizzatori sono stato trattato, in troppe occasioni, quasi con disprezzo. In Spagna ho rischiato di non correre, non volevano accettare la mia iscrizione perché dicevano che non avevo acquisito punti nel Mondiale dell’anno precedente e dunque non potevo partecipare. Per lo stesso motivo quasi ovunque ho percepito una diaria-ingaggio da fame. C’è troppo dilettantismo. indispensabile un cambiamento. Io ci proverò”» (Carlo Canzano, ”La Gazzetta dello Sport” 14/10/2005). «[...] è stato un maestro della guida ruvida, ruvida e sana. uno dei più grandi piloti di tutti i tempi e con Randy Mamola e Freddie Spencer ha dato vita, all’inizio degli anni ’80, a sfide meravigliose. Kenny, ricorda Anderstorp, 1983? ”Non lo dimenticherò mai, quel bastardo di Freddie mi buttò giù con una spallata, praticamente all’ultima curva. Mi rialzai, mi congratulai con il vincitore e in sala stampa dissi: tutto irregolare, ma l’unico problema è che per terra doveva finire lui” [...]» (Corrado Zunino, ”la Repubblica” 12/4/2005).