6 marzo 2002
Tags : Roberto Rolfo
Rolfo Roberto
• . Nato a Torino il 23 marzo 1980. Motociclista. "Oltre ad essere un campione vero, di classe cristallina, è anche una testa dura. Il suo maggior merito? Non arrendersi mai, tirare dritto per la propria strada, comportarsi in pista e fuori sempre con quella gentilezza, correttezza che contraddistingue una certa ”razza sabauda”. [...] Il primo grande campione del motociclismo piemontese a vincere una gara di motomondiale. Ha acciuffato la vittoria sul circuito del Sachsenring, Gp di Germania, nono appuntamento della stagione 2003 [...] Corre in moto, classe 250, dal 1996. Iniziò al Mugello e da allora, da questo mondo non ci è più uscito. Alternando le corse allo studio, visto che è studente universitario, facoltà di Lingue. Sul podio c’era già finito tante volte, 13 per l’esattezza, mai sul gradino più alto" (’La Stampa”, 28/7/2003). "’Per me esiste solo la moto. Tutto il resto ora passa in secondo piano. Mi piace guidare forte in pista e quando non posso correre mi chiudo in garage a smontare, aggiustare, pulire, capire. Stravedo per tecnica e meccanica”. Una passione ereditata dai genitori. Papà Angelo vinse nel 1980 l’italiano salita con una Laverda 500. Mamma Luciana ha guidato una Kawasaki 500 e qualche anno fa si è tolta il gusto di girare in pista. ’Loro non mi sono mai stati d’ostacolo. Sonodiplomato al liceo linguistico a Chieri e poi ho preso anche il diploma di ottico, la professione di mio padre, che ha un negozio a Torino. Ma non ho lavorato neppure un giorno con lui e non credo che lo farò [...] La bici mi è sempre piaciuta, poi nel 1996 ho iniziato seriamente. E siccome vado forte in salita, mi hanno soprannominato Cacaito, in onore del colombiano Rodriguez. Ma il mio idolo era Gianni Bugno" (Paolo Ianieri, ”La Gazzetta dello Sport” 30/7/2003). "Devono essere brutti sporchi e cattivi, i motociclisti. Figuriamoci i campioni. L’immaginario collettivo fa fatica ad allontanarsi da certi stereotipi. Però vedendo all’opera – fuori dalla pista – Roberto Rolfo era difficile non scuotere la testa. Faccia da college più che da officina, modi garbati, buona padronanza dei congiuntivi e di un inglese fluente, non imparato mettendo insieme parole da paddock. E, incredibile a dirsi, persino studioso. Scuole dell’obbligo scavalcate d’un balzo, licenza superiore, iscrizione all’università. No, troppo. E invece questo ragazzo pian piano ha saputo farsi largo anche a colpi di pieghe e staccate. Doveva dimostrarlo, anche se lui lo sapeva. Lo aveva scoperto presto, come avviene oggi con i baby campioni che crescono a pane, Nutella e minimoto. Lui, Roberto, quando queste moto da corsa in miniatura non erano ancora state scoperte, guidava le maxi. In pista, perché la strada ovviamente nemmeno poteva annusarla. Allevato da papà, pilota che non aveva sfondato, per togliersi quelle soddisfazioni che aveva solo sfiorato. Giornate in pista con la 125GP o con una Honda RC30 che metteva in crisi anche motociclisti smaliziati, facendo lo slalom tra piste che faticano a far girare iminorenni. Già, perchéRoberto aveva appena 12 anni e non poteva nemmeno avere la licenza per correre. Però sognava, a modo suo: da pignolo. Cercando di scoprire i segreti della sua passione, senza fermarsi davanti a niente. Come quando riuscì a trovare il numero di telefono di Loris Capirossi, allora campione delmondo della 125, per imparare in teoria tutto quello che poteva imparare. Se lo ricorda ancora, Loris, quel ragazzino insistente. Un pilota costruito? Certo, ma nel modo positivo, diventando un punto di riferimento di Jan Witteveen come collaudatore (prezioso e riservatissimo) della sua creatura prediletta, la 500 bicilindrica. Moto difficile che molte cose deve avergli insegnato primadi saltare in sella alla Honda 250: praticamente una bicicletta in confronto" (Filippo Falsaperla, ”La Gazzetta dello Sport” 30/7/2003).