Varie, 6 marzo 2002
ROMANO
ROMANO Sergio Vicenza 7 luglio 1929. Giornalista e diplomatico. stato direttore generale degli Affari culturali del ministero degli Esteri, quindi rappresentante Nato e ambasciatore a Mosca fino al 1989. Docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Bocconi di Milano, ha insegnato presso le università di Firenze, Sassari e Pavia e, come visiting professor, alla Harvard University. Editorialista del ”Corriere della Sera” e di ”Panorama”, collabora con ”Limes” e ”Affari Esteri”. Libri: Tra due repubbliche (1995), Le Italie parallele (1996), Lettera a un amico ebreo (1998) • Nel 1988, quando l’Urss stava per crollare ed era ambasciatore a Mosca, l’allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, accusandolo di non aver capito quello che stava accadendo in Unione Sovietica, lo costrinse alle dimissioni. «Accetta l’appellativo di conservatore, anzi ne rivendica la piena libertà di scelta. Non un conservatore reazionario (questo nessuno forse, oggi, vorrebbe esserlo dichiaratamente), ma un osservatore disincantato che tiene conto della realtà per poterla meglio controllare ed eventualmente difendersene. Un conservatore liberale, dunque, il quale ”diffida delle novità perché ne teme le ricadute rivoluzionarie”» (Matteo Collura, ”Corriere della Sera” 4/6/2002). «La sua comparsa - se non si deve dire l´irruzione - di sulla piccola scena del nostro giornalismo, provocò attorno ai primi Novanta uno sconcerto. Chi era esattamente questo ex diplomatico divenuto d’un tratto il più prolifico tra gli editorialisti della ”Stampa” prima,e più tardi del Corriere della sera? E soprattutto, da che parte stava? Si fosse limitato a scrivere di politica internazionale, nessuno avrebbe avuto da obbiettare. La materia era strettamente connessa alle esperienze della sua precedente professione, e comunque nell’”establishment” politico-giornalistico d’allora contava poco o niente. Ma lui scriveva anche di politica italiana, ed è qui che fiorivano i dubbi e le insofferenze a proposito del nuovo arrivato. Insomma: l’ex ambasciatore a Mosca era di destra o di sinistra? Perché mai i suoi articoli risultavano così spesso ”neutrali”, ”trasversali”, e dunque difficili da catalogare nel senso dell’appartenenza politica dell’autore? [...] La sua formazione, la sua cultura - dice - lo porterebbero a definirsi un liberale. Ma ”il liberalismo è divenuto il nuovo ’passepartout’ della società politica italiana”. Sicché, non potendo servirsi di un’etichetta troppo e troppo male usata, ha dovuto cercarsene un’altra: quella del ”conservatore liberale”. Ma che cos’è, poi, un conservatore? Spiega che si tratta d’un testimone del suo tempo ”generalmente prudente e scettico”, ... con una mentalità storica fondata sulla convinzione che la realtà riserva più sorprese di quante l’intelligenza umana non riesca a immaginare”. Qualcuno che in politica deve aver ben chiaro dove stiano i suoi interessi individuali, e i suoi interessi di cittadino d’una nazione, perché ”per un conservatore liberale l’interesse è più morale degli ideali”. [...] E’ un ”poseur”, ed è quindi probabile che in questa sua carta d’identità ci siano un certo autocompiacimento, qualche tocco di colore, il suo gusto della provocazione. Ma nel complesso l’autoritratto è somigliante. Non c’è traccia di buonismo, non c’è solidarismo» (Sandro Viola, ”la Repubblica” 5/7/2002).