varie, 6 marzo 2002
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RONALDO Luiz Nazario da Lima Rio de Janeiro (Brasile) 22 settembre 1976. Ex calciatore. Campione del mondo con il Brasile nel 2002 (capocannoniere del torneo, doppietta nella finale vinta 2-0 con la Germania), vice nel 1998, campione del mondo nel 1994 (ma senza giocare una partita)
RONALDO Luiz Nazario da Lima Rio de Janeiro (Brasile) 22 settembre 1976. Ex calciatore. Campione del mondo con il Brasile nel 2002 (capocannoniere del torneo, doppietta nella finale vinta 2-0 con la Germania), vice nel 1998, campione del mondo nel 1994 (ma senza giocare una partita). Pallone d’oro nel 1997, anno in cui con il Barcellona vinse la coppa delle Coppe, e nel 2002. All’Inter dal 1997/1998 al 2001/2002, vinse subito la coppa Uefa (suo il gol del 3-0 nella finale vinta a Parigi contro la Lazio) diventando anche vicecampione d’Italia. Due anni fermo per un grave infortunio (rientrò una prima volta dopo circa sei mesi ma si infortunò in pochi minuti durante un match di coppa Italia contro la Lazio), sembrava finito. Nel 2002/2003 passò al Real Madrid, con il quale vinse subito la Liga (ma fu eliminato dalla Juventus nella semifinale di Champions League). Nel 2006/2007 e 2007/2008 al Milan (poi vittima di un nuovo grave infortunio), ha chiuso la carriera nel Corinthians (ritiro nel febbraio 2011) • «Nato per segnare. Tra tutte le frasi usate per definire Ronaldo, questa non è la più fantasiosa ma sicuramente la più attinente alla realtà dei fatti. [...] Ci accompagna da una vita, il Fenomeno. Da quando apparve in Europa con la maglia del Psv Eindhoven e realizzò subito 30 gol in 32 partite. Era il 1994. Sono passati 9 anni, in cui Ronie ha vinto molto, perso altrettanto e ha dovuto anche sfidare e battere un destino che si è divertito a sgambettarlo spesso. La grandezza di Ronaldo sta anche nell’intelligenza e nella bravura con la quale ha saputo aggirare gli ostacoli adattandosi con prontezza e magari anche un po’ di cinismo ai cambiamenti del suo fisico e del suo modo di giocare. A Eindhoven era un lampo che si accendeva all’improvviso e accecava gli avversari: una grande promessa. A Barcellona era uno slalomista tra gli avversari ridotti al ruolo di birilli: un campione divertente. All’Inter era un trascinatore, quando c’era lui tutto sembrava possibile: un fuoriclasse determinante. Poi gli infortuni hanno cambiato le sue gambe, il suo fisico, perfino la sua testa: è lì che è nato l’addio all’Inter. La voglia di giocare e il desiderio di stupire non potevano più essere sufficienti: serviva anche un campionato diverso dalla serie A, serviva una squadra in cui nessuno gli chiedesse di dare una mano a centrocampo, serviva un tecnico che avesse fiducia in lui e lo lasciasse libero di migliorare, di crescere, di tornare grande. In Spagna ci si diverte di più; nella Liga, soprattutto, si segna con maggiore facilità. Adesso che ha solo 5 scatti brucianti e decisivi nelle gambe, e non più 10 o 15 come nel 1998, Ronaldo ha bisogno di una squadra che l’assista e non più di un gruppo che chieda a lui di essere trascinato. Per tutte queste ragioni, il Real è il top e la scelta del Fenomeno si è dimostrata ineccepibile: nel 2002/2003 ha realizzato 23 gol, contribuendo in modo determinante alla vittoria nella Liga» (G. B. Olivero, “La Gazzetta dello Sport”, 23/9/2003). «Se ne stava il giovane principe brasiliano addormentato nel calcio olandese quando una chiamata del Barcellona lo destò, e dopo essersi alzato e avere cancellato il sonno dai suoi occhi iniziò a correre, dato che la maratona è roba da sprinters, e appena messo piede in Spagna si mise a dribblare giocatori come nelle migliori partite studiate a tavolino. In una decisiva partita Barcellona-Coruña, dopo essere caduto a terra, l’atleta vinto cerca con gli occhi qualcosa che vede soltanto lui e finalmente la trova. La palla. Scrissi allora: “E a un tratto la palla rimbalza su un giocatore del Coruña e passa davanti a Ronaldo quasi incitandolo a rialzarsi e a seguirla per ballare il samba. La palla gli sta dicendo: il primo nome nel carnet de bal è il tuo. L’atleta caduto risponde alla chiamata. Si alza. Ricupera la palla con la punta della scarpetta e guarda verso la porta. Il “momento Ronaldo”. Quell’istante tecnico in cui sa misurare come nessun altro il corridoio che lo conduce al gol. Inizia la sua corsa e il suo dribbling a spese di qualsiasi avversario che gli ostacola la strada e appena il portiere del Coruña lascia la porta, il gol è servito. La magia di Ronaldo ha funzionato ancora una volta e un altro episodio si aggiunge alla Leggenda Aurea di un calciatore prefabbricato su misura per il XXI secolo”. Quando l’Inter ha perso lo scudetto 2001/2002, è bastata un’unica fotografia a rendere conto dell’immaginario della situazione. Cuper, l’allenatore della squadra, tentava di consolare un Ronaldo sconvolto che, dopo aver cercato di superare delle lesioni comuni soltanto agli atleti maledetti, credeva di fare in tempo ad aiutare la sua squadra a vincere lo scudetto. Nemmeno questa volta il giocatore brasiliano o Cuper devono chiedersi se sono vincitori o vinti o... tutt’altro. Dopo i suoi trionfi con il Barcellona, Ronaldo venne proclamato il miglior giocatore del mondo, il dio di una religione laica studiata a tavolino, splendidamente santificato in una réclame della Pirelli in cui il corpo del calciatore diventava una croce sagomata dalle migliori luci. Ma il giovane dio aveva il suo tallone d’Achille nel ginocchio e il suo poderoso scatto da cavallone inarrestabile gli scoppiava una e più volte nelle rotule arenandolo per mesi e mesi nelle migliori spiagge dell’Olimpo. In numerose tradizioni classiche si dice che il ginocchio è il simbolo del potere, come già spiegava Plinio il Vecchio, per cui piegare il ginocchio o semplicemente inginocchiarsi diventa atto simbolico di umiliazione, di resa. Nessun dio precedente - Di Stefano, Pelè, Cruyff, Maradona - era stato tanto fragile quanto Ronaldo, lo sfolgorante ventenne che i giornalisti spagnoli avevano voluto chiamare “L’orgasmo del calcio” e “Poesia in movimento”, due esempi sufficienti del delirio suscitato dal giocatore carioca. Ma Ronaldo non ha vinto nessun trofeo importante, né in Europa né in America, né nella Galassia. Le sue lesioni hanno messo il trono celeste del calcio in aspettativa, e nessun altro giocatore osa per il momento occuparlo» (Manuel Vazquez Montalban: “la Repubblica”, 14/5/2002). «Essere diverso, scappare da sé. Può venirne la voglia, quando uno è il più grande giocatore al mondo eppure rischia di morire prima di una finale, appena poche ore prima, per una convulsione o per delle medicine sbagliate o chissà perché. Poi si fanno gli esami, si capisce che non era epilessia, ma intanto qualcosa si è rotto dentro. E si va in campo pesanti, la paura mette il piombo ai muscoli, il motore strappa e il corpo frena, ci vuol niente a spezzare una cosa che sta dentro il ginocchio e si chiama tendine rotuleo. Il maledetto elastico di Ronaldo. Lo stramaledetto elastico. Salta una prima volta, glielo ricuce un chirurgo francese, si chiama Gerard Saillant. Il primo taglio non bastò. L’elastico salta ancora, dopo un anno, e il ginocchio è una molla impazzita. Il chirurgo di Parigi taglia di nuovo, apre, smonta, sposta, lega, richiude. “Professore, un giorno la batterò a golf” gli dice Ronaldo appena sveglio dall’anestesia. “Poi farò un bagno nella Senna con mio padre, una lunga nuotata, quando diventerò campione del mondo”. […] Ha la faccia serena e dolente di chi ha conosciuto il dolore, non quello malinconico dei modi di dire, il male porco che fa piangere quando un fisioterapista ti prende la gamba e la piega dopo un’operazione, e tutto sembra fracassarsi dentro, e l’elastico adesso è di ferro, è di piombo, ogni centimetro di flessione in più è la conquista dell’America. Cinque ore al giorno così, per un anno intero. “La mia vera vittoria è entrare in campo, ogni volta. Vale più della Coppa del mondo che dedico alla mia famiglia, ringraziando Dio che lo ha voluto. A un certo punto avevo temuto di non poter mai più giocare a pallone”» (Maurizio Crosetti, “la Repubblica” 1/7/2002).