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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

RONCHEY

RONCHEY Alberto Roma 27 settembre 1926, Roma 5 marzo 2010. Giornalista. Scrittore. Fu direttore de ”La Voce Repubblicana”, inviato speciale e poi direttore della ”Stampa”, editorialista del ”Corriere della Sera” e de ”la Repubblica”. Ministro per i Beni culturali e ambientali dal giugno 1992 al maggio 1994, presidente del Gruppo editoriale Rizzoli Corriere della Sera, dal 1994 al 1998. Con la legge n.3 del 1993, il ministero per i Beni culturali guidato da Alberto Ronchey contribuì a svecchiare la gestione del patrimonio artistico, aprendo all’iniziativa privata. La legge consentì, tra l’altro, a imprese esterne alla pubblica amministrazione «di farsi avanti» per organizzare i servizi di accoglienza e ristoro dei luoghi d’arte come caffetterie, biglietterie, guardaroba, ristoranti e librerie. Tra i suoi libri: La Russia del disgelo (Garzanti, 1963), La crisi americana (Garzanti, 1975), Accadde in Italia. 1968-1977 (Garzanti, 1977), Diverso parere (Garzanti, 1983), Fin di secolo in fax minore (Garzanti, 1995), Atlante italiano (Garzanti, 1997), Accadde a Roma nell’anno 2000 (Garzanti, 1998) • «Un uomo pieno di curiosità. [...] un pignolo come pochi a cominciare dall´ortografia e dalla traduzione del cirillico in caratteri latini. Che s´innamora delle sue battute e le comunica a quei due o tre vecchi amici affinché le diffondano. Che il suo cruccio e insieme la sua passione è quella di risultare non solo serio ma serioso, talvolta riesce a scampare da quel pericolo, talvolta ci casca dentro ma non se ne dispera, se mi apprezzano - dice - dovranno prendermi così come sono. Adora la concretezza, i problemi, le cifre. In politica detesta gli schieramenti, parola che gli fa orrore. Detesta la passionalità. Detesta gli slogan, palloncini colorati pieni d´aria e di nulla. Detesta le emozioni e la psicologia. Detesta l´improvvisazione. Insomma - diciamolo - detesta la politica perché la politica è fatta di tutte quelle cose che lui vorrebbe lasciare fuori dalla porta. Perciò, avendo eletto la concretezza a regola aurea, finisce con l´essere immerso nell´astrazione più pura visto che privilegia l´"esprit de géométrie" rispetto all´"esprit de finesse". [...] ama il paesaggio, la natura, e li descrive benissimo. Di solito Alberto pensa e scrive in bianco e nero ma quando parla della natura usa una tavolozza ricca di colori. Certe pagine sui suoi viaggi in Siberia, in Alaska, nelle foreste e lungo i fiumi dell´Africa centrale, sono magistrali, direi conradiane. Così pure le pagine sulla morte e i funerali di Pasternak. Ma se avesse sospettato quell´inconsapevole tonalità conradiana probabilmente non le avrebbe scritte perché Conrad è uno degli autori che non ama affatto. Prendiamo il suo rapporto con Ugo La Malfa, che è rivelatore. La Malfa avrebbe dovuto essere il suo mito: comune la loro militanza repubblicana, comune la loro fiducia nella ragione, comune anche l´importanza data ai problemi, ai programmi, al rigore dei pensieri. Invece no, nei confronti di La Malfa ha mescolato ammirazione e distacco, fiducia e molte riserve. Come mai? [...] per due ragioni. La Malfa ha sempre fatto parte di governi guidati dalla Democrazia cristiana, ma aveva nel cuore la sinistra e, nella sinistra, il Pci. Ha passato una vita sperando e operando affinché il Pci si trasformasse in un partito pienamente democratico e riformista. Sui socialisti, prima e durante la governance di Bettino Craxi, non si è mai fatto illusioni. Con i comunisti ha polemizzato aspramente, ma sempre nell´ottica di condurli ad un appuntamento che sarebbe stato decisivo per la democrazia italiana. Per questo Berlinguer fu la sua grande speranza e la sua scommessa, come fu anche la speranza e la scommessa di un altro grande borghese e repubblicano, Bruno Visentini. Ronchey non ha mai nutrito questa speranza. Per lui i comunisti erano immodificabili o meglio era immodificabile quel partito in quanto tale. Stargli appresso, compiere su di esso un investimento pedagogico, era tempo perso. Crisi individuali sì, quelle erano possibili e auspicabili, ma la trasformazione del soggetto collettivo, quella era pura illusione e per di più pericolosa. La seconda ragione di dissenso con La Malfa riguardava il gioco del biliardo. La Malfa diceva che si è buoni politici soltanto se si è buoni giocatori di biliardo cioè se si conoscono le regole del gioco di sponda, gli effetti da imprimere alla biglia, la forza calcolata da imprimere alla propria palla, la capacità di nascondersi dietro il castello dei birilli per impallare l´avversario. Perché questa è la politica. Ma per Ronchey no, la politica dovrebbe soltanto proporsi di risolvere problemi e quindi colpi dritti, gioco chiaro, poche mediazioni e la tua parola sia sì, sì, oppure no, no. Quei due uomini si sono reciprocamente apprezzati ma non amati. [...] Con i giovani Alberto ha avuto, da sempre, un conto aperto da regolare. Anche quando è stato giovane. Un conto da regolare per il fatto stesso che erano giovani e quindi spensierati, speranzosi, massimalisti, infatuati, dissipati, amanti dei diritti e dimentichi dei doveri. [...] Ronchey divide l´intera umanità in due tipologie: gli ”squares” e gli ”swingers”. E questo lo sapevo. I primi sono conservatori, i secondi disinvolti e trasgressivi. [...] persona piena di curiosità, lo interessa il diverso, ma lo ha già catalogato prima ancora di conoscerlo e quando poi lo conosce lo fa soprattutto per scrupolo di accertamento. Non c´è molto scambio intellettuale e tanto meno emotivo col diverso, c´è un lavoro ragguardevole di entomologia e di diagnosi clinica. Non per nulla i suoi luoghi ideali sono le ”hautes écoles”, i punti d´eccellenza del sapere, a Parigi, a Londra, a Boston, all´università di Berkeley. Machiavelli passava le sue serate con Tito Livio e gli altri suoi pari, ma prima s´ingaglioffiva giocando alle carte bevendo e bestemmiando con i villani. Ronchey non è ”swinger” fino a quel punto, che oggi poi coi tempi che corrono non sarebbe neppure lontanamente trasgressivo. [...] Scrive Ceronetti: ”Ronchey è piuttosto laconico su se stesso, ma ne ho avuto questa interessante risposta: ”In fondo io cerco di giocare un grande gioco, di distrarmi lavorando. Occuparmi di storia e di politica mi distrae proprio da questi problemi: i metafisici, gli insolubili, Dio, la morte. Non accetterei mai di abdicare alle facoltà intellettive per vivere in un mare di esperienze emotive’» (Eugenio Scalfari, ”la Repubblica” 5/5/2004).