Varie, 6 marzo 2002
RONCONI
RONCONI Luca Susa (Tunisia) 7 marzo 1933. Regista. Dal luglio del ”98 è il direttore artistico del Piccolo Teatro • «’La mia prima volta da spettatore non l’ho mai dimenticata, è fra le mie memorie più vive. Mia madre mi portò in un teatro di Roma a vedere una commedia. Non saprei dire che cosa fosse. Era una commedia in genovese con Gilberto Govi. Ricordo che si parlava di una gallina, ricordo che mia madre me ne parlava, ricordo che ero in uno stato di sovreccitazione”. A quattro anni era arrivato da poco a Roma. Era nato in Tunisia, a Susa, perché lì sua madre insegnava Lettere. C’era anche suo padre. I genitori si separarono. Lui e la madre lasciarono l’Africa. Luca aveva sette anni quando scoppiò la guerra: ”Era una situazione estrema che non tutti vivono allo stesso modo. Mio padre morì in quegli anni. Mia madre lavorava fuori Roma. Forse fu per questo motivo che mi mandò a studiare in un collegio svizzero. Ma ricordo poco di allora, e non perché fossero particolari sgradevoli”. Il ritorno a Roma coincise con la ripresa normale della vita e col richiamo potente del teatro. Forse è possibile indicare un’età precisa: ”Avevo dieci anni quando cominciai a capire qualcosa, quando ”seppi’ che là sarei finito, pur non immaginando come. Non sapevo se avrei fatto l’attore, il regista, lo scenografo, l’attrezzista. Ma sapevo che qualcosa avrei fatto […] Studiavo poco, ero distratto. Mi ricordo le letture fatte a casa ma non quello che ho studiato. Leggevo i classici russi e francesi, soprattutto tanto teatro […] Il fatto è che a scuola mi sentivo infelice e sempre inadeguato, perché temevo di non arrivare a maneggiare le materie che si studiavano. Per iscrivermi all’Accademia d’arte drammatica dovetti combattere. Mia madre non era felicissima. Alla fine cedette ma mi ordinò: prendi la laurea. Fu così che mi iscrissi a Legge. Riuscii a dare due esami. Poi ho incominciato a lavorare e mi è andata abbastanza bene […] Non mi interessava tanto la condizione dell’attore, quanto i problemi relativi alla recitazione dell’attore. Recitare non mi piaceva, perché mi mancava quel tanto di piacere esibizionistico indispensabile a qualsiasi attore. Mi è sempre piaciuto più mascherarmi che spifferarmi. Mi piace che l’attenzione degli altri vada a quello che faccio più che a quello che sono [….] Non ho mai pensato in termini di programmazione della carriera. Mi interessava fare. Per me la carriera è stata un risultato, non un progetto. Lo è tutt’ora. E´ stato per caso che ho cominciato a fare il regista. Era il ”63. Ero in compagnia con Corrado Pani, Ilaria Occhini e Gian Maria Volontè. Mi proposero di dirigere la Bettina di Goldoni. La compagnia si sciolse dopo due mesi. Perdemmo tutti dei soldi. Per due anni non feci niente, salvo viaggiare, leggere libri. Il successo arrivò con lo scandalo dell’Orlando furioso. Fu una cosa che prese tutti in contropiede. In me non c’era alcuna intenzione provocatoria, anzi quello spettacolo mi sembrava naturale. Certo era a carattere liberatorio. Purtroppo, in queste cose, qualcuno si sente sempre minacciato dalle possibilità aperte dalla libertà. A lungo sono stato considerato una figura ingombrante. Basti pensare alla levata di scudi contro il Laboratorio di Prato che dirigevo negli anni ”70 […]. In momenti poco felici del nostro teatro si viene a rimproverare qualcuno che ha capacità e talento, si vorrebbe mascherare e non scoprire. Non parlo di me […] Non ho aspirazioni personali. Le aspirazioni riguardano il mondo in cui si vive. Mi mettono a disagio le situazioni di degrado in cui prima o poi ci troviamo a vivere. Vorrei che il mio territorio naturale, il teatro, non diventasse sempre più territorio inquinato» (Osvaldo Guerrieri, ”La Stampa” 8/3/2002).