Varie, 6 marzo 2002
RONDOLINO
RONDOLINO Fabrizio Torino 26 marzo 1960. Giornalista. Cresciuto come notista politico all’Unità, negli ultimi anni si è dedicato alla televisione (viene considerato, di fatto, il padre del Grande Fratello italiano) • «Membro dello staff di Massimo D’Alema, l’ha seguito a Palazzo Chigi […] Viene dalla scuola della Fgci. Ex-pasdaran occhettiano […] Da giornalista passa a portavoce, continuando sempre a canticchiare al telefono con i cronisti politici, ma ridendo […] Bravo nello scrivere, ha un bel romanzo all’attivo. Il titolo è allusivo: Un così bel posto» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «[...] Era uno di quelli con la testa pelata (l’altro era Claudio Velardi) che giravano attorno a Massimo D’Alema e si occupavano del suo staff, stabilivano la sua giornata, gli davano consigli su come comportarsi con i giornalisti, smussavano le sue spigolosità. Poi Rondolino fu travolto da uno di quegli scandali alla panna montana che appassionano il mondo giornalistico-politico. Aveva scritto un romanzo con alcune pagine altamente ”pornografiche”. Il ”Foglio” di Ferrara le anticipò, l’’Espresso” di Claudio Rinaldi e la ”Repubblica” di Ezio Mauro scrissero articoli di fuoco. Rondolino, sospettando che il bersaglio di tanta violenza moralistica fosse la politica di D’Alema, dette le dimissioni. [...] ”Da allora ho diviso il mondo in amici e nemici. Basta ideologia. C’è chi mi vuole bene e chi mi vuole male” dice. [...] ”Ma che porno! Una quindicina di pagine che descrivevano il delirio erotico di uno dei protagonisti, erotismo da bar sport, da fumetto per militari. Ma si scatenò una campagna senza esclusione di colpi. [...] pensavo che qualcuno, magari il critico dell’’Avvenire’, avrebbe fatto la polemica sui ”comunisti senza morale’. [...] E mi ha attaccato con violenza la stampa di sinistra. Si cominciò con l’’Espresso’ che fece un pezzo vergognoso chiamandomi ”cicciolino rosso’. [...] Poi un corsivetto di quel frustrato di Paolo Mauri su ”Repubblica’ in cui si meravigliava che Einaudi avesse pubblicato una cosa del genere. Poi un articolo di Bocca sull’’Espresso’, moralista, disgustoso, tipo ”i vecchi comunisti di un tempo andavano in galera mentre oggi scrivono romanzi porno’. Poi una pagina su ”Repubblica’, che mi ritrasse come un uomo avido di potere, cinico, arrampicatore, che fa della pornografia pretendendo che sia letteratura. [...] Il potere invece mi piace. Molto. Ma lo contemplo, non lo esercito: per esercitarlo ci vuole una tecnica che non padroneggio, e ancor più una predisposizione naturale. [...] successo che è cominciata per me una vita nuova. Una benedizione. Come consulente di Palazzo Chigi guadagnavo 70 milioni lordi l’anno. Adesso denuncio 300 milioni l’anno, sono ”famoso’, il mio narcisismo è soddisfatto. [...] Mi sono iscritto alla Fgci nel 1977. Ero di famiglia borghese, sebbene non ricca. Ho vissuto a Torino fino a 24 anni. Mi sono laureato in filosofia teoretica. Per un lungo periodo il mio amico del cuore è stato Alessandro Baricco, compagno di liceo e di università, un lungo sodalizio: amore per l’opera, per la letteratura, per la cultura mitteleuropea. [...] C’era Alessandro Meluzzi, un capetto della Fgci. Un gran chiacchierone. C’erano anche Giuliano Ferrara, capogruppo del Pci al consiglio comunale, Livia Turco, segretaria di noi giovani, Fausto Bertinotti al sindacato, e Saverio Vertone, direttore di ”Nuovasocietà’, quindicinale comunista. Saverio Vertone era coltissimo. In redazione citava l’Odissea in greco. Noi giovani comunisti eravamo tutti di sinistra, garantisti sul terrorismo, lettori del Manifesto. Giuliano invece era già di destra. Ogni tanto veniva in Fgci a darci la linea. [...] Molti libri. Molto cinema. Truffaut, Wenders, Sergio Leone, horror. La notte dei morti viventi, il massimo. [...] De Gregori. Rimmel, il disco della mia adolescenza. Poi il classico rock degli anni Settanta. [...] A Berlino studiai il tedesco, un po’ di yiddish. Cominciai a collaborare alla ”Gazzetta del Popolo’, ad ”Alfabeta’. Recensioni, traduzioni. La vita cambiò quando mi chiamarono a Roma, nel gruppo dirigente della Fgci. [...] Roma città meravigliosa. Vivevo in via Giulia in una stanza subaffittata, con un bagno in comune. Bohème, ma nella Roma antica. Due anni di Fgci e poi l’’Unità’, grazie a Renzo Foa. Con l’incarico di giornalista al seguito di Occhetto. Cominciai a fare articoli stile ”Repubblica’, raccontando tutto. [...] Baravo. Come giornalista dell’’Unità ”avevo libero accesso alle riunioni di partito. Entravo nelle stanze, giravo, andavo ovunque alle Botteghe Oscure. Il presupposto era che non si scrivesse quello che si vedeva. Invece io scrivevo tutto. Arrivarono proteste di ogni genere. Si incazzarono soprattutto i miglioristi di Napolitano. Protestò anche Reichlin in una riunione della direzione del partito. Cossutta mandò una squadraccia che mi minacciò. ”Attento a te, Rondolino’. Natta una volta mi chiamò il ”killer Rondolino’. Foa mi difese sempre. [...] Un giorno beccai Occhetto sotto casa. Stava partendo per Capalbio incazzato nero. ”Basta, questo partito non mi merita, io me ne vado, non torno più’. Scrissi tutto. E si incazzarono tutti. [...] Rivendico quello che ho fatto. Per me il giornalismo era quello. [...] Cominciai a occuparmi di Dc. Dove feci meno danni. I democristiani erano gentili e simpatici. Nel rapporto personale erano straordinari. A me del giornalismo piaceva soprattutto il pettegolezzo politico e mi piaceva questa atmosfera da vecchio club inglese che è il transatlantico di Montecitorio. Io godevo a passare le ore seduto su un divano a cazzeggiare con i colleghi, Nando Proietti, Augusto Minzolini, Filippo Ceccarelli, Claudio Sardo, Paolo Franchi, Nino Bertoloni Meli … [...] Poi piombò Veltroni alla direzione dell’’Unità’. Cercò subito di massacrarmi. Io ero la prima firma politica, ero sempre in prima pagina. Mi spedì a fare il desk agli esteri. [...] Veltroni. Lui te la racconta come se ti stesse dando la grande occasione della tua vita. Veltroni non sopporta che ci sia gente intelligente attorno a lui. allergico, poverino. [...] Veltroni è una macchina da guerra. Un uomo di potere e basta. Quando Claudio Velardi, capo dello staff di D’Alema, mi offrì di fare il resocontista al seguito del segretario, io accettai di corsa. [...] Veltroni chiamò D’Alema e gli disse: ”Stai attento. Di Rondolino non ci si può fidare’. [...] l’Urss mi faceva schifo. Però avevo nella stanza il ritratto di Lenin e pure quello di Mao. Resta la domanda: io ero o non ero comunista? [...] Lo ero e non lo ero”. [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 33-34/2000).