varie, 6 marzo 2002
Tags : Diana Ross
Ross Diana
• Detroit (Stati Uniti) 26 marzo 1944. Cantante • «Il nome di Diana Ross è uno di quei marchi che accompagnano la musica pop dai suoi inizi. [...] leader delle Supremes che dal 1961, e per i dieci anni successivi, dominarono le classifiche di vendita dei dischi in tutto il mondo [...] cantante solista del disco di debutto Touch me in the morning che la riportò in cima alle classifiche nel ’73 [...] la splendida voce dei duetti con Marvin Gaye (Diana & Marvin, 1972) [...] l’attrice di tre fortunati film, nominata anche al premio Oscar per il ruolo di Billie Holiday in Lady Sings the Blues (1972) [...] con le Supremes la Ross è stata al numero uno in classifica con dodici canzoni in otto anni. Lo stesso le è accaduto con le colonne sonore di Lady Sings the Blues e di Mahogany. Le sue sono canzoni da giradischi, prima che da lettore di cd: da Baby love a You can’t hurry love, tanto per ricordare gli inizi. E non solo. La prima canzone, per fare un solo esempio, sarebbe tornata un successo nelle dancehall per le feste dei Mods, ai tempi di Quadrophenia ma anche nel decennio successivo, quando nuovi Mods in lambretta reagivano all´elettronica tornando ad abbeverarsi al grande soul della Motown. La seconda sarebbe stata un bagno rigeneratore per Phil Collins in fuga solista dai Genesis seconda maniera. Questo per dire che Diana Ross è ormai nel Dna della musica pop mondiale. Cosa sarebbe stata, ad esempio, la stagione della musica dance senza la sua voce? Cosa sarebbero state le serate in discoteca nei tardi anni Settanta senza Upside Down? Che febbre del sabato sera sarebbe stata? [...]» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 23/6/2005). «’Bugie, cara, sono tutte bugie” . Diva come poche, Diana Ross liquida così le voci sulla sua vita spericolata: solo calunnie i pettegolezzi sulla dipendenza da droga e alcol, l’arresto per guida in stato d’ebbrezza, le liti negli anni Sessanta con gli artisti della prestigiosa ”label” Motown, i capricci e gli amori inquieti. ”[...] La cosa che mi lascia senza fiato è che, ovunque vada, la mia musica mi precede. Vedo ragazzi che sanno le parole delle canzoni, fanno i cori, si divertono. Sono felice, penso che salirei su un palco anche se non mi pagassero. Del resto canto anche mentre lavo i panni [...] Passo molto tempo davanti allo specchio per prepararmi ai miei show. Non sono di quelle che si circondano di truccatori e parrucchieri, faccio meglio da sola”. Icona del soul [...] Diana è la madre di tutte le nuove voci della musica afroamericana. Con la sua carriera sfolgorante (è finita anche nel Guinness dei Primati) ha aperto le porte a una generazione di giovani star. ”Alicia Keys mi piace più di tutte: ha talento, forza, carisma. Adesso c’è una piccola invasione, molte sono brave , avranno una lunga vita: Missy Elliott, Beyoncé, Queen Latifah, Mary J. Blige. Ma non sarà semplice, non lo è mai stato. Per essere un’icona ci vuole tempo, bisogna essere longevi, non mollare. L’intrattenimento è un’industria, avere forza di carattere aiuta. E bisogna capire che crescendo si impara, anche dai propri errori [...] Per diventare una diva, se è vero che lo sono, ho dovuto capire anche come gestire i miei soldi, il mio ’business’ di artista”. Nata e cresciuta in un ghetto di Detroit (’Non mi è mai piaciuto chiamarlo così, era la mia casa”) , Diana ottenne il suo primo contratto discografico nel ’61 con le Supremes (’Ero tutta pelle e ossa”) . Poi, nel ’70, la decisione di cantare da sola inanellando successi come il classico della discomusic Upside Down o la celebre Ain’t No Mounta in High Enough. Senza tralasciare incursioni nel cinema, come il suo ritratto, nel ’72, di Billie Holiday in Lady Sings The Blues (che ottenne una nomination all’Oscar). ”Non mi è mai piaciuto essere una sola persona. Sono una donna che indossa maschere diverse, dipende dall’occasione: posso essere diva, cantante, attrice. Il ruolo più importante però è quello di madre. Ho cinque figli, vorrei stare di più con loro, godermeli di più. Quando cantavo con le Supremes incidevamo anche tre album in un anno. Lo sa qual è il mio più grande rimpianto? Che mia madre non abbia potuto vedere il mio successo”. [...]» (Sandra Cesarale, ”Corriere della Sera” 7/7/2005).