varie, 6 marzo 2002
ROSSI
ROSSI Guido Milano 16 marzo 1931. Giurista. Professore emerito di diritto commerciale nell’università Bocconi, avvocato, già presidente del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e dell’International Scientific and Professional Advisory Council of United Nations. stato membro del Group of High Level Company Law Experts della Commissione Europea. In Italia è stato presidente della Consob e promotore dell’inserimento delle legislazioni antitrust sulle OPA e sull’insider trading. Autore di saggi di diritto, economia e filosofia • «Padre» dell’Antitrust, è il più noto giurista italiano. stato presidente della Consob, così come di gruppi industriali di rilievo, a cominciare da Telecom. Ha guidato il risanamento del gruppo Montedison dopo l’uscita di scena dei Ferruzzi. Insegna all’università Bocconi di Milano, dov’è ordinario di diritto commerciale (’Corriere della Sera” 1/10/2004) • « un protagonista della politica e delle vicende del capitalismo italiano: sia quando è impegnato in prima linea (senatore, padre della Consob e della legislazione antitrust, risanatore di Ferfin-Montedison, presidente-privatizzatore di Telecom), sia quando si ritira in una delle sue ”traversate del deserto”, lontano da incarichi pubblici, ma diventa allora uno spettatore impegnato, fustigatore implacabile dei mali del suo paese. In queste seconde fasi il ”caso Rossi” è tanto più enigmatico e interessante come fenomeno mediatico: cioè per l’influenza che riesce a esercitare sul dibattito politico un personaggio così poco italiano, radicalmente estraneo al ceto partitico locale, insofferente ai suoi vizi, allergico perfino alla sua loquacità. [...] Saldamente collocato a sinistra ma senza obbedienze di partito […] In un paese che non ha mai avuto una rivoluzione borghese né un’etica puritana degli affari, porta una ventata di cultura anglosassone. Fedele ai principi del pensiero liberaldemocratico e della società aperta, di John Rawls e di Karl Popper […] La sua è la visione avanzata di una democrazia delle regole, in una società degli ”stakeholders” come quella teorizzata da Anthony Giddens e Will Hutton» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 31/1/2003). «Una sola impresa, tra mille, non gli è riuscita: festeggiare, da consigliere, lo scudetto dell’Inter. Correva l’ottobre del 1997, quando Massimo Moratti pensò che fosse una buona idea invitare il professor Guido Rossi a far parte del board nerazzurro. E lui, pur impegnato a ”sbrogliare la matassa delle Telecom” come scriveva il Financial Times, pensò che fosse una buona idea: per i nerazzurri, appena rafforzati dall’arrivo di Ronaldo, sembrava fosse l’anno giusto. Anche perché in quel piccolo ma esclusivo salotto (al cui ingresso fremeva Diego Della Valle, interista ancora non rivestito di viola) l’ex presidente della Consob poteva avere una funzione importante: doveva essere l’anno dello scudetto, ma anche dell’approdo dell’Inter in Piazza Affari. ”Mi auguro, ma il mio è più di un augurio – spiegava Moratti’ che con l’ingresso in Borsa si arriverà a quadruplicare il valore delle azioni”. Ahimè, non è andata così, né in campo né fuori. E da quel momento le assemblee dell’Inter sono state chiuse alla stampa e ai curiosi. Difficile che il professor Rossi se la sia presa più di tanto. Anche se i vantaggi arbitrali accumulati allora dai poteri forti juventini, hanno senz’altro consolidato le convinzioni sul conflitto di interesse e sull’intrinseca tensione corruttrice della società moderna a cui è approdato nel tempo il giurista. Ma l’episodio, pur minimo, aiuta a inquadrare il personaggio massimo. Per almeno tre motivi. Primo, perché è la prova cheil professor Guido non è infallibile, come si potrebbe credere (o temere) agiudicare dai trionfi giudiziari dei suoi clienti. Secondo, perché così si dimostra che, seppur con il distacco che si conviene a un uomo di mondo, Rossi sa anche dedicarsi ad attività terrene, anzi plebee, come il pallone. [...] il fascino del Maestro non è meno magnetico quando si leva la toga: intellettuale organico se mai ne esiste ancora qualcuno; cultore delle belle arti (anche perché i redditi gli consentono di arricchire una splendida collezione divisa tra la casa milanese e quella di Venezia) e delle belle lettere, al punto da duellare sul rapporto tra tecnologia e linguaggio del Novecento con Roberto Cotroneo o di commentare, da laico, gli studi sulla’Giustizia” del Cardinal Martini. Un giurista di fama internazionale, che siede tra i consulenti della Ue per la riformad el diritto societario su richiesta dei tedeschi più che degli italiani. Ma anche uno scrittore appassionato che ha affidato il suo pensiero a un saggio ambizioso,Il ratto delle Sabine, che è più di un trattato di diritto. [...] Rossi ha saputo servire i potenti senza mai diventarne servo. Ha avuto la forza di dire dei no difficili, senza far la figura del Don Chisciotte. Ma, più di tutto, ha saputo quasi sempre uscir di scena al momento giusto. E rientrare sulla ribalta con la compagnia giusta. Tutto, a guardar la sua storia, hail sapore dell’eccezione, seppur eccellente, piuttosto che della regola. E delfrutto di intelletto fuori dal comune che si combina con una passionalità altrettanto fuori dal comune che si manifesta nelle aule di tribunale ma non solo. Eper capire i segreti, caso mai esistano, di questa maratona da primo della classe non resta che ricapitolare, seppur sommariamente, le tappe principali. A partire da un curriculum che fa venireil capogiro. Rossi, classe 1931, figlio di borghesi piccoli piccoli, si laurea a Pavia nel 1953 a soli 22 anni. Un anno dopo, sempre con una Borsa di studio, varca l’oceano ed è tra i primi, se non il primo, a conseguire il Master of Law all’universitàdi Harvard. Adriano Olivetti, naturalmente, non si lascia sfuggire un talento del genere che abbina i soggiorni ad Ivrea con i corsi di specializzazione a Bonn e ad Amburgo. Nel 1958,a 27 anni, è docente di diritto commerciale prima a Pavia, poi a Trieste, Venezia,di nuovo a Pavia. Infine alla Statale.Fin qui gli studi, anticamera di una carriera professionale folgorante che lo fa entrare in contatto con i grandi santuari degli affari: Mediobanca, ma non solo. Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, a scovare questo brillante professore che ha dimestichezza con usi e costumi della Sec. Chi meglio di lui per far decollare la Consob, che ha mosso i primi, stentati passi sotto la guida del professor Gastone Miconi? Corre l’anno 1981, addì 23 febbraio, quando Rossi detta le regole della ”sua Consob” in un’aula della Bocconi. ”Il nostro – tuona – è un mercato rozzo ed imperfetto, destinato a deflagrare non appena la domanda pone in difficoltà un’offerta meschina”. Chiacchiere , pensano scrollando le spalle i vecchi agenti di cambio. E nessuno, al Tesoro piuttosto che in Banca d’Italia, presta troppa attenzione al programma: ”La Commissione non dovrà aver dubbi nel quotare d’ufficio le società che ricorrono largamente ma senza controlli al pubblico risparmio”. Eppure, undici mesi dopo, Rossi convocherà in Consob Roberto Calvi per imporgli la quotazione del Banco Ambrosiano sul listino ufficiale. con questa decisione che lacrisi del vecchio Banco precipita: al momento dell’ammissione nella Borsa maggiore, dove è possibile vendere i titoli allo scoperto, le quotazioni dell’istituto crollano. In Banca d’Italia e al Tesoro le iniziative di Rossi per ”far venire allo scoperto” Calvi sono accolte con un certo fastidio. In via Nazionale non c’è alcuna voglia di condividere con la Consob il controllo sulle banche; anzi, le informazioni arrivano a Rossi con il contagocce. E quando verrà decisa l’amministrazione straordinaria del Banco,il 17 giugno, l’informazione perverrà alla Consob (cui tocca sospendere la quotazione del titolo) quasi in contemporanea alle agenzie. Ad agosto, quando il Banco va in liquidazione e i titoli rischiano di valere solo carta straccia, monta la rabbia contro il professore che già l’anno prima, stringendo le regole per le vendite allo scoperto, ha mandato in tilt Piazza Affari. Sembra la fine di una brillante carriera. Ma Rossi ha letto Clausewitz e sa che la miglior difesa, certe volte, è l’attacco. E così presenta un esposto in procura accusando la Banca d’Italia (allora governata da Carlo Azeglio Ciampi) di ”mancata collaborazione”. Le reazioni? ”Rammarico e sorpresa” in via Nazionale, mentre Andreatta si dichiara ”profondamente turbato per i modi e i tempi”. Ma lo scandalo dura poco. Ci sono cose più importanti di quel signore che vuol far l’americano in riva al Tevere. E poi, bisogna capirlo: con quell’esposto Rossi si è copertole spalle da eventuali denunce. Ora , finalmente, rientrerà nell’ombra. Sbagliato. Da allora [...] non c’è stato affare, crisi o riforma in campo finanziario in cui Guido Rossi non abbia avuto un ruolo importante. Se non prim’attore, da caratterista di vaglia. stato,da parlamentare della sinistra indipendente, il ”padre” della normativa antitrust ed ha avuto un ruolo-chiave inbuona parte del dibattito politico sulle riforme finanziarie. Ma, soprattutto, è stato un grande protagonista delle pratiche che contano. lui l’avvocato che presenta in procura, per conto di Gemina,l’offerta di acquisto per la Rizzoli-Corsera che consegna, nel 1984, ad un prezzo quasi simbolico, via Solferino all’accoppiata Fiat-Mediobanca. sempre lui a difendere le ragioni di Mediobanca quando, nel 1987, si scopre l’esistenzadi un patto di sindacato tra i privatie le banche Iri. E quando Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari incrociano le spade contro la Fininvest nella guerra per la Mondadori, è Guido Rossi a rappresentare il fronte della Cir. Il tempo di curare la prima opa di una banca straniera in Italia (l’acquisto del credito Bergamasco da parte del Crédit Lyonnais) e di abituarsi al ruolo di consigliere di Generali, ed ecco che esplode il bubbone Ferfin. Sono i Ferruzzi a chiamare, su sollecitazione di Mediobanca, Guido Rossi alla guida di Montedison-Ferruzzi. Raccoglie i cocci di ungruppo oberato da 22.000 miliardi di debiti, impone, con il consenso di EnricoCuccia, drastici sacrifici alle banche creditrici. Se ne va dopo due anni, sganciandosi per tempo dai piani di VincenzoMaranghi che invano tenterà di dar vita alla super Gemina. in quel periodo, nel bel mezzo di Tangentopoli, che nasce l’amicizia con il pm Francesco Greco, che tanto inquieta Francesco Cossiga. Ma esiste quest’asse con i giudici? Rossi il burattinaio della procura? ”Sciocchezze – ha replicato secco in un’intervista a Bruno Perini del Manifesto, assieme a Federico Rampini di Repubblica l’intervistatore ufficiale del Maestro – non credo che il ricorso alla magistratura sia la soluzione ideale. La supplenza della magistratura non è sana per il sistema. Ma devo constatare un dato drammatico: ogni volta che qualcuno non rispetta le regole , chissà perché, finisce per commettere un reato penale”. [...] bisogna passare da Telecom Italia. Anzi, dalla Stet che Ciampi (i rancori per l’Ambrosiano sono roba del passato) e il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi affidano nelle mani di Rossi: l’unico capace di pilotare verso la privatizzazione un colosso che per decenni ha sostenuto le sorti di buona parte del sistema di potere e di relazioni dell’Italia repubblicana. una vittoria a metà: la privatizzazione riesce, ma la governance così come la vuole Rossi, con una netta distinzione tra proprietà e gestione e una rete di controlli che metta il sistema al riparo dai conflitti di interesse, non trova ascolto. Se ne va, anche stavolta in tempo. [...] Sull’orizzonte di Telecom lo richiamerà Franco Bernabé, chiamato a difendere l’ex monopolio dall’assalto di Roberto Colaninnoe soci. una battaglia che Rossi accetta volentieri, con un piglio e una foga ben maggiori degli azionisti di controllo, il ”nocciolino” duro che si squaglia di fronte ai raider che trovano per strada la ”neutralità” (anzi, l’appoggio mascherato) di governo e Bankitalia. lui a scagliarsi contro il ”tradimento” del Tesoro e di Banca d’Italia che hanno disertato l’assemblea della società, facendo venir meno il numero legale e negando così a Bernabé le armi per opporsi all’opa ostile. a quei giorni che risale l’anatema contro ”la merchant bank di palazzo Chigi” gestita da Massimo D’Alema. Sulla Banca d’Italia nutre ancor meno illusioni. Solo l’Europa può imporci un salto di qualità. Intanto, nel 2000, dà alle stampe Il ratto delle sabine, il tentativo ambizioso di raccontarecome da una sequenza di astuzie e disopraffazioni, la civiltà approdò al concetto di diritto. Una transizione imperfetta, perché alle spalle affiora sempre un retroterra di violenza e di inganni. Odi corruzione che, nella stagione del conflitto di interesse sistematico, torna ad aver la meglio sul diritto No, non è un Guido Rossi pacificato o ottimista quello che torna a indossare la corazza e l’elmo del guerriero per muover alla battaglia di Antonveneta. Lo farà brandendo la spada del diritto e la mazza dei giornali ”amici”, in cui spesso pesa di più degli azionisti. Lo farà dall’alto del suo prestigio scientifico e delle sue frequentazioni. Convinto, soprattutto, che ”l’italianità” invocata da Fazio sia un pessimo affare per gli italiani. Consapevole, infine, che la sconfitta dei’cattivi” non avrebbe automaticamente assegnato la vittoria ai ”buoni”ma avviato un processo dagli esiti imprevedibili. E così, nell’ora del successo, nello studio del professor Rossi non si respiral’aria del trionfo. Semmai, quella dell astizza per un’Italia che non trova la strada e che ha appena licenziato, sul risparmio, ”una delle più brutte leggi degli ultimi trent’anni”. Dalla grande battaglia emerge ancora un Paese di furbi dove la classe dirigente, come capita in Rcs, approfitta del ”dividendo del potere” ma si disinteressa dell’andamentodei conti o dei titoli in Borsa:roba da soci di minoranza, polli daspennare, insomma. E ben vengano glistranieri. Ben venga il Bilbao, dunque. Anche se, confessa il nostro a Rampini,’la medicina europea si è rivelata omeopatica, troppo dolce per noi... No,non ci sono più scorciatoie. O forse non ci sono mai state”. All’eroe, nel mondo classico, si addice la tragedia» (Ugo Bertone, ”Il Foglio” 21/1/2006).