Varie, 6 marzo 2002
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ROSSI Vasco Modena 7 febbraio 1952. Cantautore. «’Non sono un drogato, ma neppure un borghese travestito da balordo
ROSSI Vasco Modena 7 febbraio 1952. Cantautore. «’Non sono un drogato, ma neppure un borghese travestito da balordo. Non mangio pere cotte e non leggo la vita di Santa Teresa. vero che voglio una vita esagerata. Mi basta vivere altri dieci anni come quelli passati. Poi basta, perché avrò bruciato tutto”. Un vero rocker, e Vasco Rossi lo è, vive così. Giorno per giorno, un albergo dopo l’altro, l’entusiasmo del fronte del palco poi dietro le quinte il cemento di camerini tutti uguali, il livore di corridoi foderati di linoleum, le fughe in locali o ristoranti che restano aperti fino all’alba solo per lui. Quando gli chiedevano dieci anni fa, al tempo de Gli spari sopra, come s’immaginava a cinquant’anni, sghignazzava e farfugliava qualcosa del tipo: ”E chi ci arriva a cinquant’anni?”. […] Forse dieci anni fa immaginava già un compleanno in pensione, a fissare il vuoto da una sedia a dondolo dalla veranda di una casa sul Po. Il fegato spappolato, il cervello annebbiato da spericolate abitudini, i riflessi rallentati da anni di rock che ispessisce i timpani di chi lo suona, come è successo al povero Pete Townshend. Anche lui sfiorato dalla morte, quando il batterista degli Who, Keith Moon, ci lasciò le penne per overdose, proprio come Massimo Riva, il chitarrista-fratellino di Vasco. Dentro quel torpore con cui il rock degli eccessi anestetizza i suoi eroi Vasco Rossi ci vive benissimo. In quel dormiveglia ci sguazza e ci pesca le sue canzoni. Quello stato di semiconfusione che sempre trasmette ogni volta che ci guarda e ci parla è ormai cucito col suo personaggio. Ma Vasco era ben sveglio quando si è messo a lavorare a Stupido Hotel, l’ultimo album di una ventina in commercio, che ha venduto 800.000 copie [...] A cinquant’anni, ha superato i suoi stessi record e ha coronato un sogno, ”riempire quegli stadi che una volta solo Springsteen e Marley riuscivano a riempire”. In fondo cos’ha Zocca meno dell’Asbury Park di Springsteen o della Hoboken di Sinatra? Cos’ha il Festival di Sanremo di più sordido di tante trasmissioni televisive americane popolate dai Bob Jovi e dai Lenny Kravitz? ”Scrissi Vado al massimo e sfidai Sanremo perché non avevo scelta” racconta ”perché tutto stava andando da cani, ero nella merda fino al collo. Se fossi tornato a Zocca da perdente mi avrebbero fatto a fette”. Ci tornò l’anno dopo (1983) con Vita spericolata, il suo manifesto. ”Mi dissi, se vogliamo uscire dall’Emilia e entrare in Italia dobbiamo passare per Sanremo”. Ma dall’Emilia, in fondo non è mai uscito. Gli anni in cui era un dj di Punto Radio sono ancora lì dietro. Ricorda ancora quando invitò Zero a suonare a Zocca. ”Avevo da poco scoperto Springsteen, ma mi piaceva anche Renato. Vennero in quindici a vederlo, ma lui fece uno spettacolo come se ce ne fossero diecimila. Alla radio passavamo Madame ogni dieci minuti, e l’anno dopo tornò da star”. Le sue ”fughe” da Zocca sono rimaste leggendarie: ”Avevo voglia di evadere, ma non ce la feci. Fuggii a Modena, volevo andare a Milano, ma per qualche ragione rimasi bloccato a Bologna” […] Dentro il suo stupore esistenziale – la provincia è rassicurante quando si naviga nell’incertezza – ciondola come un rocker di razza. finito in manette per droga nell’84, come Keith Richards o come i tanti molestatori di lolite degli anni 50, da Buddy Holly a Chuck Berry. Se non fosse la compagna Laura Schmidt a tenerlo al guinzaglio (quando può) lui ne combinerebbe di tutti i colori (le lolite che lo adorano). Spiriti spericolati come Vasco hanno bisogno di stare nel nido per non cacciarsi nei guai. Non è un concetto inedito per un rocker» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 6/2/2002). «Cammina goffo e ingobbito come un orso buono e nella voce ha ancora la forza delle sue origini, semplici, dell´entroterra emiliano.[...] "Sul palco provo un´emozione profonda, un attacco di brividi che però devi tenere sotto controllo, sei tu che devi gestire la situazione. L´attimo prima è un attimo di panico totale, che per magia quando comincia la musica si trasforma... sono abituato, ma tutte le volte ricapita... bisogna che ti dimentichi la responsabilità. Io faccio degli incubi nei mesi precedenti: quello ricorrente è che mi dimentico le parole, è una cretinata, ma è così, le parole sono fondamentali. Cerco di scaricare la tensione con tutti i miei riti, faccio stretching, per non pensare, me ne sto in camerino da solo, mi scrivo la scaletta, perché voglio entrarci proprio dentro, l´ordine è fondamentale. Studiamo già da adesso, per trovare la sequenza giusta per creare quell´emozione che deve essere lunga, non deve durare lo spazio di una canzone. Bisogna arrivare alla scaletta perfetta. Io poi parto il giorno prima del concerto, mi chiudo negli alberghi, non voglio neanche ricevere telefonate perché qualsiasi cosa mi può innervosire, voglio arrivare calmissimo sul palco. E poi c´è la preoccupazione di essere in forma... uno sforzo enorme, perché il mio concerto è molto energetico, mi preparo, faccio un po´ di footing. Non tanto, ma almeno mezz´ora al giorno per fare il fiato. Io sono quel genere lì, il rock è una cosa fisica. Due ore prima smetto anche di fumare, che per me è incredibile [...] Quando non sono in concerto - e può passare tanto tempo - quello è il momento in cui devo fare i conti con me stesso, con tutti i casini della mia vita privata. dura, io sarei tentato di stare sempre sul palco, lì tutto funziona, e invece la vita è tutta diversa. [...] A me piacciono basso, batteria e chitarra: sono il mio sogno. Non riusciamo mai a realizzarlo perché non siamo un gruppo di ragazzini, però la voglia c´è sempre [...] In quello che scrivo io parto sempre dal testo, o meglio è il testo che divide la musica e a volte fa la melodia, io parto con la chitarra, un giro di accordi, e penso a una frase che mi viene in mente, non parto da un concetto, da un argomento, parto dalla prima frase, e poi cerco di andare avanti, spesso avviene giocando, ti lasci andare, a volte ho cominciato con frasi che nemmeno io capivo dove sarebbero andate a parare. Poi arriva la frase che dà il senso a tutto. Di sicuro scrivo più con l´istinto che con la ragione [...] Un tempo pensavo che questa capacità mi venisse dal fatto che da piccolo leggevo i giornalini, ora leggo dei libri, chissà che non cambi... scherzi a parte, ho sempre cercato di scrivere come mangio. Vengo da un paesino di montagna, quando tornavo a casa dopo l´università e magari usavo una parola strana, mi dicevano: hai mangiato un vocabolario? [...] Fino agli anni Novanta, vivevo solo di musica, era tutto molto chiaro: le canzoni venivano, avevo successo. Poi ho scelto di costruire un nucleo familiare, con una compagna e un figlio voluto, Luca, e questo mi ha messo in un´altra condizione: è ovvio che sul palco non è come stare a casa in pantofole davanti a un figlio, ma l´ho voluto io e ancora oggi cerco di difendere questa nuova prospettiva. Anche se costa fatica e a volte sembra più facile mollare. Stare lontano dal palco, per uno come me, significa fare i conti con la solitudine. Mi mette in discussione: mi ritrovo di fronte al me stesso reale, che non è quello del palco. Poi, si sa, il rapporto col figlio arricchisce molto, prima capivo di meno. E ti mette anche un po´ in riga: è solo quando si ha un figlio che si smette di essere figli. un rapporto fantastico, mi spiace di non averlo avuto con gli altri due, che sono cresciuti con le loro madri. [...] Le famiglie sono la base della società, mio padre non lo vedevo quasi mai, perché faceva il camionista e stava sempre in giro, ma è stato importante avere un padre e una madre. Credo di essere stato molto fortunato, e mi sono potuto permettere un´altra vita perché avevo tutto quello che desideravo, prendo quello che c´è andando avanti. Quando non sarò più in sintonia col cuore della gente allora sarà diverso. Nella vita invece è una sfida continua, ho fatto molti errori, ne faccio ancora, ma cerco di imparare. Sono sempre in cerca di equilibrio: alterno ancora momenti d´ansia, irrequietezza, a una straordinaria esaltazione"» (Gino Castaldo, "la Repubblica" 29/5/2003). «Avevo una vocina... poi con 150 concerti all’anno sui palchi della Pianura Padana si è allenata. La funzione sviluppa l’organo. La voce è cresciuta per disperazione, perché a fianco avevo Solieri che suonava la chitarra troppo forte. E lo fa ancora [...] In scena è lecito provocare. Tutta la mia vita artistica questo è stata. Non ero nato per fare la rock star. Ma era troppo divertente raccontare le verità scomode, il nostro malessere negato (sto bene, sto bene), mandare a quel paese quelli che pretendono di insegnarci come dobbiamo vivere, dire tutto quello che penso di lei a una donna che non vedrò più... Il mio primo maestro di provocazione è stato Fred Buscaglione, che ironia feroce... Poi Jannacci e De Andrè» (Mario Luzzato Fegiz, "Corriere della Sera" 29/5/2003). «Io ci ho messo anima e corpo dall’inizio. Dal ’78 sono vissuto sui palchi, poi ho rallentato per mettere a posto la mia vita personale. Ma sacrifici non ne ho fatti: la musica è la mia più grande passione, per vent’anni ho pensato solo a scriver canzoni, cantarle alla gente e farmi accettare. Con le canzoni ho raccontato quel che mi succedeva o che avrei voluto essere, provocando la coscienza di tutti compresa la mia [...] Più che altro, mi hanno voluto vedere come un capro espiatorio. Io provocatoriamente ho sempre espresso l’amore per la vita vissuta intensamente, ho rifiutato l’idea di un lavoro comodo e sicuro: molti ragazzini lo fanno anche oggi. E’ chiaro che facendo uso di anfetamine ero pronto a bruciare la mia vita. Sono partito che dovevo risolvere i miei problemi fondamentali: cioè il sentirmi inutile a vent’anni, il venire da un paese senza prospettive, l’aver problemi economici: e pensavo che nel mondo delle rockstar si sarebbero tutti risolti. Non avevo niente da perdere, e volevo arrivare lì. Però poi se vuoi continuare a vivere devi gestirti: ho dovuto cominciare a prepararmi fisicamente ai concerti, con ginnastica e jogging. E ho anche capito che Mick Jagger, con quelle gambette lì, non ha mai corso [...] Sono belle anche l’immaturità, l’incoscienza, l’entusiasmo e l’energia che hai a vent’anni. Un po’ di incoscienza ci vuole sempre: se pensi troppo, non fai mai nulla. Io ho sempre pensato a come cadere, prima di buttarmi» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 29/5/2003) • «[...] Le canzoni mi arrivano dalla prima frase che scrivo, che poi dà il senso di tutto. Nel caso della Vita spericolata mi veniva sempre ”voglio”: ma non capivo cosa colevo. Poi ho scritto ”vita” e poi mi sono divertito a pensarla spericolata come intendo io: non normale, nel senso che non voglio vivere. A quei tempi li, dieci anni fa, abitavo a Bologna dovevo sempre cambiare casa... Probabilmente ero un fuggitivo [...] Di solito vado d’istinto dall’inizio, badando a raccontare il meno possibile: è un po’ lo stile nuovo, come nella letteratura o nei film. A volte però le cose arrivano dopo anni che le insegui. Come mi disse il cantante dei Crowded House: ”il cuore va sempre più in là del muro” [...] Di solito parto da un personaggio reale che poi stilizzo. come fare una fotografia ad una persona: la devi vedere con il tuo occhio. Sally è nata di botto, parole e musica, una sera che ero in barca e suonavo la chitarra perché fuori c’era casino. Se ci mettiamo ”Vasco” al posto di Sally torna tutto perfettamente: a volte capisco solo dopo anni che cosa volevo dire. come una trasmissione diretta del mio inconscio [...] Colpa d’Alfredo è [...] una serata appena vissuta. Mente la scrivevo, la stavo anche raccontando a Massimo Riva che era con me: la raccontavo e la cantavo già. La combriccola del Blasco è nata dalla nonna di un’amica: si era a Rimini, era tornata a casa all’alba, e mi raccontò che sua nonna il giorno dopo era incazzatissima, e non sapendo il mio nome le disse: ”voi della combriccola del Blasco...” e io aggiunsi poi: ”... che son tutta gente a posto”. Altre canzoni sono nate come risposte: Siamo solo noi è una frase di mia madre che sempre mi urlava: ”Sei solo te che fai questo e quello”. Non le ho mai detto che mi ha ispirato, e tanto continua a dire le stesse cose [...] Liberi liberi siamo noi, ma liberi da che cosa? [...] In quel periodo c’erano grossi problemi con il gruppo. La Steve Roger Band aveva perso la testa, Riva voleva fare il cantante, Guido Elmi si sentiva Vasco anche lui e non mi faceva partecipare alla parte creativa. Erano riflessioni su quella situazione» (Marinella Venegoni, ”Specchio” 30/11/1996) • Vedi anche: Ranieri Polese, ”Sette” n. 6/2002;