Varie, 6 marzo 2002
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ROSTROPOVICH Mstislav Baku (Azerbaigian) 12 marzo 1927, Mosca (Russia) 27 aprile 2007. Violoncellista
ROSTROPOVICH Mstislav Baku (Azerbaigian) 12 marzo 1927, Mosca (Russia) 27 aprile 2007. Violoncellista. Direttore d’orchestra • «[...] il più leggendario tra i musicisti viventi, glorioso violoncellista e apprezzato direttore d’orchestra [...] amatissimo dal pubblico non solo per le sue qualità musicali, ma per il carisma, la sfrenata vocazione pacifista, il temperamento caldo e vitale. Il mondo intero lo ha conosciuto il 10 novembre 1989, quando comparve sulla prima breccia del Muro di Berlino con il suo violoncello, suonando sulle note di Bach un memorabile inno alla libertà. [...]» (Paola Zonca, ”la Repubblica” 19/4/2005) • «Il ”grande vecchio” del concertismo mondiale, maestro di violoncello (per lui sono stati scritti ben 158 concerti), [...] incontrava i compositori russi ”davanti a un bicchiere di Vodka” per rimproverarli: ”Scrivete musica sublime e dimenticate che esiste il violoncello”» (Armando Caruso, ”La Stampa” 10/12/2001) • «Era un ragazzo mingherlino con due occhi spalancati su una realtà che non gli apparteneva: quella di un paese ”capitalista”. Le foto del suo debutto in Italia, che avvenne nel 1951 a Firenze al Maggio Musicale, lo ritraggono proprio così. Fiero e meravigliato. Il direttore e violoncellista russo arrivò insieme ad un manipolo di musicisti russi insigniti del ”Premio Stalin”, tra gli altri Emil Gilels, David Oistrakh e Galina Ulanova; ”il gruppo fu costituito personalmente da Stalin e si vedeva; c’erano dei personaggi sbagliati, come la violinista Galina Barinova: la differenza con Oistrakh era inevitabile e, probabilmente, voluta”. Cinquant’anni dopo, ”Slava” [...] è una superstar che parla con l’umiltà dei saggi. ”La soddisfazione più grande? Quella di aver spinto compositori come Britten, Penderecki, Messiaen, Prokofiev, Berio a scrivere musica per violoncello, trascurato persino da Mozart”. Perché lui e il suo strumento sono una sola cosa: ”E’ come se ci fosse un contatto diretto tra i nervi della mia mano, l’archetto e le corde: le dita eseguono i miei desideri per loro conto, sono autosufficienti. Quando dirigo, invece, sono gli uomini il mio tramite con la musica: con loro cerco di avere un rapporto amichevole”. Sull’educazione musicale in Russia è severo ma nutre speranze: ”Quanto studiavo io c’erano docenti come Shostakovich. Oggi non è così: però ho fiducia nei giovani solisti come Geringas, Repin, Kissin, la Gutman; i loro insegnamento potrà innalzare la qualità”. Anche se i musicisti d’oggi sembrano assomigliarsi tutti: ”C’è un livello tecnico altissimo, ma poca personalità. Lo stesso vale per i direttori d’orchestra. La colpa è anche della tecnologia: le incisioni discografiche hanno portato all’omologazione”» (f.p., ”la Repubblica” 30/5/2001) • «[...] Avevo 14 anni quando mio padre morì. Un periodo orrendo. Mia madre se ne andò quando ero già adulto e avevo dei figli: soffrii, certo, ma non come la prima volta. [...]» (Ulderico Munzi, ”Sette” n. 13/1997) • «[...] diede asilo a Solgenitzyn nell’èra Breznev [...] protestò pubblicamente contro le restrizioni imposte dal governo agli intellettuali [...] negli anni ”70 subì in patria una censura feroce su tutte le sue attività musicali [...] nel ”74 fu costretto all’esilio: ”Mi buttarono fuori e persi cose importanti: la cittadinanza e il contatto con le persone a me più care, come David Ojstrakh, che non avrei mai più rivisto”. Amico dei massimi compositori russi del Novecento, ne rammenta con angoscia le vite devastate: ”Prokofiev mi ospitò nella sua dacia, e ogni mattina lo vedevo piangere dalla fame. Sciostakovich soffriva orribilmente: i comunisti fecero una legge contro di lui, criticandone il formalismo, e finirono per proibire tutte le sue sinfonie. Viveva nel terrore, temendo sempre ritorsioni sui suoi figli”. Per questo e altro, quando cadde il Muro di Berlino, Rostropovich volle festeggiare l’evento con un concerto estemporaneo, immortalato da una foto che girò il mondo: ”Ero a Parigi, e la tivù diede la notizia. Impossibile resistere: partii subito, e all’aeroporto di Berlino presi un taxi per correre al Muro. Mi misi a suonare una Passacaglia di Bach per violoncello solo: non avevo neanche una sedia, e dovetti chiederla in prestito al portiere di un edificio. Attorno a me si riunì una trentina di persone, ma io non suonavo per loro: suonavo per me stesso, per esprimere a Dio la mia gratitudine” [...]» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 11/2/2005).