Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Rotella Mimmo

• Catanzaro 7 ottobre 1918, Milano 8 gennaio 2006. Artista. «La sua grande passione continua ad essere il cinema, ”una passione nata quand’ero bambino e ancora vivevo in Calabria, a Catanzaro. A sei anni scappavo da casa per andare a vedere i film di Charlie Chaplin, Buster Keaton... ed è una passione che non mi ha mai lasciato anche se i miei primi lavori erano astratti, non c’erano personaggi del cinema, perché avevo studiato Kandinsky, Mondrian, Klee, Mirò. Poi un giorno ho avuto l’illuminazione dei décollage. Mi è venuta guardando i manifesti attaccati sulle mura che erano dietro il caffè Rosati di Roma. Ero appena rientrato dagli Stati Uniti e non volevo più dipingere”. vero che rientrò dagli Stati Uniti perché respinsero una sua richiesta d’insegnamento? – vero, e questa fu la mia fortuna. Nel 1951 con una borsa di studio Fulbright ero arrivato a Kansas City come artist in residence. Alla fine del periodo presentai domanda d’insegnamento, non ero laureato e una professoressa di matematica, una certa Castellani, fece la spia. Tornai in Italia. Fui fortunato perché a Roma vidi sui muri delle strade i manifesti cinematografici. Erano lacerati, coloratissimi, bellissimi, dei veri messaggi. L’esperienza di Kansas City comunque fu molto interessante […] Prima della partenza abbastanza spesso incontravo al ristorante Moravia, la Morante, Sandro Penna, e Angelo Ripellino che prima della partenza per Kansas City mi lasciò l’indirizzo di un suo zio che abitava in quella città e che era proprietario di un night club. Era un locale molto interessante… Si chiamava ”Joe the Irishman”. In realtà lui si chiamava Giuseppe e aveva due figli, mi trattarono molto bene. Ricordo che ballai con una ballerina del locale e che soprattutto ascoltai un quintetto di colore che suonava il rock and roll, che stava nascendo proprio allora. Fu un’esperienza fortissima. Anche in questo caso la professoressa Castellani mi rimproverò. Gli italiani, diceva, sono legati alla mafia. Con me però furono gentilissimi […] Ho lavorato anche come assistente scenografo, ho preparato i set di film come Aida, con Sophia Loren, ed Ercole, uno dei primi film a sfondo mitologico. Ho conosciuto bene Bolognini, Antonioni, Giuseppe De Santis, Steno. Li incontravo da Rosati. I miei lavori interessarono molto Fellini perché, così diceva, facevano vedere i messaggi dei muri della strada”. All’inizio degli anni Sessanta a Parigi presentò una mostra intitolata Cinecittà, con décollages dedicati al cinema. ”Ebbe un grandissimo successo. La gallerista riuscì a vendere moltissime opere e un collezionista olandese acquistò la mia prima Marilyn, per poche lire. Era la prima volta che a Parigi veniva presentata un’esposizione interamente dedicata al cinema […] Il decollage è una tecnica che ho inventato. Ci sono stati altri decollagisti in Francia e in Germania. Ma sono stato il primo ad esporre un manifesto strappato come opera d’arte. accaduto nel 1954 a Roma, all’Art club […] Ho strappati manifesti di carattere sociale, politico. Ma è vero che la mia preferenza è per il cinema, per i musical, per i film con Fred Astaire e soprattutto la Monroe […] Negli anni Cinquanta rubavo i manifesti dai muri della città. Li strappavo e sotto c’era un vero e proprio strato d’immagini. Erano molto pesanti. Ho fatto mia questa tecnica. Sovrappongo tre o quattro manifesti. I manifesti di ieri nascevano da dei veri e propri dipinti, quelli di oggi dalle fotografie. Forse per questo sono pochi i manifesti cinematografici odierni che mi colpiscono. L’ultimo è stato quello di Pulp Fiction […] Considero come mio maestro Marcel Duchamp che diceva: se un’opera d’arte non ti dà uno shock non ne vale la pena. Mi sono reso conto che sui manifesti che strappavo c’era una provocazione e una protesta. Non ci accorgiamo che le nostre città sono esse stesse dei capolavori. Chi comprese subito tutto fu Emilio Villa. Una sera venne a trovarmi a casa. Vide i décollages e mi disse: Rotella stai inventando un linguaggio artistico nuovo, che va al di là della pittura, e con questo strappo inventi un nuovo spazio, come Fontana con i buchi e i tagli, e Burri con le cuciture dei sacchi. Mi invitò ad esporre in un barcone sul Tevere. Da allora non ho mai smesso”» (Paolo Vagheggi, ”la Repubblica” 24/6/2002). «’Strappare i manifesti dai muri è l´unica rivalsa, l´unica protesta contro la società che ha perduto il gusto di mutamenti e delle trasformazioni strabilianti”, ha detto; ed è cercando ”un distacco dalla monotonia, dal prevedibile” in cui gli pareva di vedere assopita la ricerca di quei suoi anni giovanili che nacque quel suo gesto estremo: strappare i manifesti dai muri, poi ricomporli sulla tela a studio per nuovamente lacerarli, senz´altro intervento sulla sua opera che questo gesto nudo, povero, assoluto. Così nacque il suo "décollage": probabilmente nel ’54, comunque entro i primi mesi del ’55, quando rese pubblici quei suoi lavori, a Roma e a Milano. Con essi Rotella si allinea alle primissime realizzazioni "new dada" di Rauschenberg (e ”newdadaist”, infatti, lo battezza il critico americano Milton Gendel nell´estate del ’55, su ”Art News”), anticipa gli "affichistes" parigini (Hainhs, Dufrene, Villeglé: che, facessero o meno a quella data "décollages", li pubblicano solo nel ’57); anticipa sul clima "nouveau réaliste" di Restany (che infatti lo convoca subito a far parte del gruppo); anticipa, infine, la nascita del pop d´oltreoceano, per non dire ovviamente del suo riflusso in Europa. Roma – la scarsa capacità di voce della città nell´ambito del sistema dell´arte di allora – gli nega l´immediato riconoscimento delle sue indubbie priorità. In compenso gli dona la voglia di competere, armato di quel suo linguaggio radicalmente nuovo, con la grande pittura che gli sboccia attorno. Così i "décollages", che erano partiti gioiosamente affidati al clamore timbrico di lacerti clamorosi (’ancora con un sospetto d´humour”, scriveva nel ’57 Cesare Vivaldi) si sarebbero fatti talora più drammatici, e spesso costruiti sopra un´impalcatura di colore accordato, tonale (Argentina, ad esempio, un capolavoro di quegli anni esposto a Belluno) che s´affianca agli esiti coevi di tanta fra la maggiore pittura romana del tempo (da Turcato a Novelli). Poi la figura prende a far aggio su quella ricerca materia: resiste agli strappi, gioca un suo ruolo preciso (raramente di vera denuncia; piuttosto di complicità ironica, venata di smagato disincanto, con i messaggi della pubblicità, del cinema, della propaganda politica) nell´economia del dipinto: ed è con essa che Rotella si consegna a quella che sarà una lunga storia di appassionato creatore di immagini» (Fabrizio D’Amico, ”la Repubblica” 11/8/2003).