Varie, 6 marzo 2002
Tags : Salman Rushdie
Rushdie Salman
• Bombay (India) 19 giugno 1947. Scrittore • «Rimproverare Salman Rushdie di essere eccessivo (l’ha fatto qualcuno [...]) è come rimproverare a Simona Ferilli di avere le tette: è il suo bello. Gli aggettivi di Rushdie sono come seni soffici e opulenti. [...] Ogni romanzo di Rushdie è zeppo di brani da portare via (come si fa con le pizze d’asporto) [...]» (Antonio D’Orrico, ”Sette” n. 25/1999) • «Sono passati molti anni e sono ancora qui. strano come ciò abbia il sapore allo stesso tempo di una vittoria e di una sconfitta. Perché una vittoria? Quando, il 14 febbraio 1989, mi arrivò la notizia da Teheran la mia prima reazione fu: sono un uomo morto. Mi venne in mente una poesia scritta dal mio amico Raymond Carver, informato dal suo medico di avere il cancro ai polmoni: ”Ha detto, se è religioso si inginocchi.../ E chieda aiuto.../ Ho detto, finora no, inizierò da oggi». Ma io non sono religioso. Non mi inginocchiai. Andai in televisione a dire che avrei voluto scrivere un libro più critico. Per quale motivo? Perché quando il capo di uno stato terrorista ha appena annunciato l´intenzione di assassinarti nel nome di dio puoi o urlare o balbettare, e io non avevo intenzione di balbettare. E perché quando un omicidio viene ordinato nel nome di dio, inizi ad avere un´opinione meno positiva di quel nome. Dopo pensai: se un dio esiste, non credo si sia molto risentito per Versi Satanici, perché non sarebbe un granché come dio se bastasse un libro a far traballare il suo trono. Se poi un dio non esiste, di certo non si risente. Il contrasto quindi non è tra me e dio, ma tra me e coloro che pensano - come ci ha rammentato Bob Dylan - di poter fare tutto ciò che vogliono perché hanno dio dalla loro parte. La polizia venne a trovarmi e mi disse di stare all´erta, di non muovermi, stavano organizzando dei piani. Quella notte una pattuglia vegliò su di me. Non chiusi occhio, in ascolto dell´angelo della morte. Uno dei miei film preferiti era ed è tuttora L´angelo sterminatore di Luis Buñuel, che narra di un gruppo di persone costrette in una stanza. Il pomeriggio successivo - mentre la televisione tuonava odio e sete di sangue - mi venne offerta la protezione delle Forze Speciali. Gli agenti che vennero dissero che dovevo andare per qualche giorno da qualche parte mentre i politici risolvevano la cosa. Ricordate? Tutti pensavamo che fosse questione di giorni perché la crisi si risolvesse. Era troppo folle che alla fine del ventesimo secolo un uomo dovesse essere minacciato di morte per aver scritto un libro, che il leader di uno stato religioso-fascista dovesse minacciare il libero cittadino di un paese libero lontanissimo da suo. La cosa sarebbe stata stroncata sul nascere. Questo era il parere della polizia. E anche il mio. Così partimmo, la nostra meta non era un rifugio super segreto ma un hotel di campagna. La stanza a fianco alla mia era occupata da un reporter del ”Daily Mirror” e da una signora che non era sua moglie. Mi tenni alla larga da lui, per discrezione. Così quella sera, mentre tutti i giornalisti del paese si affannavano a cercare di scoprire dove fossi finito, questo gentiluomo - come definirlo? - perse lo scoop. [...] Khomeini riaffermò la sua fatwa. Sul mio capo vennero poste taglie miliardarie. Ormai venivano esercitate su di me pressioni ufficiali semplicemente perché sparissi. La tesi era che avevo già creato abbastanza problemi. Non dovevo pronunciarmi sull´argomento, non dovevo difendermi. C´erano già problemi abbastanza gravi di ordine pubblico e dal momento che le autorità stavano facendo tanto per proteggermi non avrei dovuto complicargli la vita. Non muovermi, non vedere nessuno, non dire nulla. Essere una non - persona, riconoscente per il solo fatto di essere vivo. Ascoltare le diffamazioni, i travisamenti, i discorsi omicidi, quelli di pacificazione e tacere. Per quasi un anno e mezzo non ebbi contatto con alcun membro del governo britannico o con alcun funzionario, né del ministero degli interni né del ministero degli esteri. Ero in un limbo. Mi avevano detto che il ministero degli interni aveva posto il veto agli incontri con me considerandoli potenzialmente deleteri per le relazioni razziali. Infine telefonai a William Waldegrave, all´epoca ministro del Foreign Office, e gli chiesi se non potesse essere una buona idea incontrarci. Non gli riuscì, - non gli fu permesso, credo, - di ricevermi. Ma alla fine ebbi un incontro con un diplomatico del Foreign Office e, in una occasione, con il Segretario agli esteri, Douglas Hurd, in persona. [...] Fu una lunga attesa, punteggiata da molti momenti bizzarri. Ad un film pakistano che mi dipingeva come un torturatore, un assassino, un ubriacone abbigliato in una sconvolgente varietà di abiti coloratissimi stile safari venne negato il permesso di proiezione in Gran Bretagna. Vidi un video del film, fu orribile. Terminava con la mia ”esecuzione” per mano del potere di dio. Quelle orrende immagini mi rimasero dentro per un po´. Tuttavia scrissi alla Commissione per la classificazione delle pellicole promettendo che non avrei intrapreso azioni legali contro di essa o contro il film e, chiedendo di autorizzarne la proiezione, sottolineai che non desideravo l´equivoca protezione della censura. Il film venne dissequestrato e sparì subito dalla circolazione. Un tentativo di proiettarlo a Bradford ebbe come risultato una platea deserta, a dimostrazione che la gente è perfettamente in grado di decidere, come sostiene la tesi della libertà di espressione. Comunque era strano provare compiacimento per l´uscita di un film sul tema della mia morte. [...] Entrai in rapporti amichevoli con le squadre assegnate alla mia protezione e appresi un bel po´ di cose sulle attività interne alle forze speciali. Imparai come scoprire se si è seguiti da un´auto in autostrada, mi abituai alla strumentazione sempre sparsa dappertutto, e imparai lo slang della polizia. Gli agenti della stradale sono Ratti Neri. Il mio vero nome non venne mai usato. Imparai a rispondere ad altri nomi. Ero ”Il Principale”. Ho preso confidenza con molte cose che mi erano del tutto estranee, ma non mi ci sono mai abituato. Ero consapevole fin dall´inizio che farvi l´abitudine avrebbe significato arrendersi. Quello che è capitato alla mia vita è un´assurdità. un crimine. Non converrò mai che sia divenuta la mia normale condizione. ”Bionda, grosse tette, vive in Tasmania. Chi è? - ”. Ricevevo lettere con l´invito ad arrendermi, a cambiare nome, a farmi operare, a iniziare una nuova vita. Questa è l´alternativa che non ho mai preso in considerazione. Sarebbe stato peggio che morire. Non voglio la vita di qualcun altro. Voglio la mia. Gli agenti della scorta si sono dimostrati molto comprensivi e mi hanno aiutato a superare i periodi peggiori. Sarò loro eternamente grato. Sono uomini coraggiosi. Mettono a repentaglio la loro vita per me. Nessuno lo ha mai fatto prima. A questo punto sento di dover dire una cosa. Ho il dubbio che, non essendo io stato ucciso, molti pensino che non c´è nessuno che sta tentando di farlo, che sia tutta una teoria. Non è così. Nei primi mesi un terrorista arabo si fece saltare in aria in un hotel di Paddington. In seguito una giornalista che era stata nelle roccaforti degli hezbollah in Libano, nella valle della Bekaa, mi raccontò di aver visto la fotografia dell´uomo tra quelle dei ”martiri” appese al muro in un ufficio, con una didascalia che indicava me come bersaglio dell´azione. E all´epoca della Guerra del Golfo mi giunse notizia che il governo iraniano aveva sborsato del denaro per un omicidio su commissione. Dopo mesi di estrema cautela mi dissero che i killer erano stati, per dirla con il linguaggio eufemistico utilizzato dai servizi di sicurezza - ”frustrati”. Reputai più opportuno non indagare sulle cause della loro frustrazione. E nel 1992 tre iraniani furono espulsi dalla Gran Bretagna. Due di loro lavoravano alla delegazione iraniana a Londra, il terzo era uno ”studente”. Seppi dal Foreign Office che si trattava di spie e che la loro presenza in Gran Bretagna era indubbiamente legata a questioni relative all´adempimento della fatwa. Il traduttore italiano di Versi Satanici per poco non fu ucciso mentre il traduttore giapponese lo fu effettivamente. Nel 1992 la polizia giapponese annunciò i risultati di dodici mesi di indagini. Secondo gli investigatori i killer erano terroristi professionisti mediorientali entrati in Giappone dalla Cina. Nel frattempo un commando iraniano assassinò l´ex primo ministro Shapour Bakhtiar a Parigi. Gli tagliarono la testa. Un altro commando uccise un cantante dissidente iraniano in Germania. Lo fecero a pezzi che misero in una valigia. C´è ben poca teoria in tutto questo. L´Inghilterra è un paese piccolo e pieno di gente, molta della quale, per natura, curiosa. Non è un paese facile in cui dileguarsi. Una volta mi trovavo all´interno di un edificio da cui dovevo andar via ma in corridoio era scoppiato un tubo del riscaldamento e avevano chiamato un idraulico. Un agente di polizia dovette distrarre l´operaio in modo che io potessi scivolargli accanto mentre era voltato. Una volta mi trovavo in una cucina quando inaspettatamente entrò un vicino. Dovetti inabissarmi dietro un mobile e restare là accovacciato, fino a che se ne andò. Una volta ero intrappolato nel traffico davanti alla moschea di Regent Park proprio all´uscita dei fedeli dalla preghiera. Seduto sul sedile posteriore di una Jaguar blindata affondai il naso nel Daily Telegraph. Gli agenti della scorta ironizzarono sul fatto che era la prima volta che mi vedevano tanto interessato a quella testata. Vivere in questo modo significa sentirsi ogni giorno avviliti, avvertire piccole fitte di umiliazione accumularsi intorno al cuore. Vivere così significa permettere che la gente - inclusa la tua ex moglie - ti definisca un vigliacco sulle prime pagine dei giornali. Le stesse persone saranno senza dubbio pronte a parlare bene di me al mio funerale. Ma vivere, sfuggire all´assassinio, è una vittoria più grande che essere assassinati. Solo i fanatici anelano al martirio. (...) L´edizione economica di Versi Satanici venne pubblicata nella primavera del 1992, non da Penguin, che rifiutò di farlo, ma da un consorzio di editori. Riuscii ad essere a Washington per la presentazione e mostrai la prima copia ad una conferenza sulla libertà di parola. In quel mentre venni assalito, senza preavviso, dall´emozione. Riuscii a stento a trattenere le lacrime. (Va detto che l´uscita dell´edizione economica di Versi Satanici ebbe luogo senza incidenti, in barba ai presagi di tante persone e ai timori di qualcuno. La cosa mi rammentò, come è accaduto spesso, il famoso detto di Roosevelt secondo cui è la paura che più di ogni altra cosa va temuta). Ero giunto a Washington principalmente per parlare di fronte ai membri di entrambe le camere del Congresso. La sera precedente l´incontro però mi dissero che il segretario di Stato James Baker aveva telefonato personalmente ai presidenti delle camere per dire che non desiderava che l´incontro avesse luogo. Marlin Fitzwater, spiegando il rifiuto dell´amministrazione Bush a incontrarmi, liquidò la questione della mia presenza a Washington con questa frase: « solo un autore che promuove il suo libro». [...] Nell´estate del 1992 mi fu possibile recarmi in Danimarca ospite del Pen Danese. Ancora una volta le misure di sicurezza furono estremamente pesanti. Nel porto di Copenhagen stazionava addirittura una piccola cannoniera che, mi dissero, era ”la nostra”. Questo diede origine a numerose battute di spirito sulla necessità di difendersi da un attacco della flotta iraniana nel Baltico o magari da uomini rana fondamentalisti. Durante la mia presenza in Danimarca il governo si tenne a distanza da me (benché, autorizzando la mia visita e fornendomi protezione, avesse dimostrato chiaramente un certo livello di sostegno). A motivo della reticenza del governo venne addotto il rischio di ripercussioni negative sulle esportazioni di feta danese in Iran. Comunque ricevetti l´entusiastico appoggio dei politici di tutti gli altri partiti, soprattutto di Anker Jorgensen, ex e probabilmente futuro primo ministro, insieme al quale tenni una conferenza stampa a bordo di un´imbarcazione nel porto. Jorgensen promise di tenere colloqui con il partito al governo per dar vita ad una politica trasversale di sostegno per il mio caso. Era meno di quanto avessi sperato, ma pur sempre un passo avanti. Compii una breve visita in Spagna. (Non entro nel merito delle immense difficoltà di organizzazione, ma, credetemi, nessuno di questi viaggi è stato semplice). In quel paese mi offrì la sua mediazione Gustavo Villapalos, rettore dell´Università Complutense di Madrid, uomo molto vicino al governo spagnolo ed anche estremamente ben introdotto in Iran. Ben presto mi comunicò di aver ricevuto segnali incoraggianti da alte personalità del regime iraniano: era un momento eccellente per risolvere la questione, gli era stato detto. L´Iran era consapevole che questo caso rappresentava l´unico grande ostacolo alle sue strategie economiche. Personaggi eminenti di ogni sorta facevano sapere di volere una soluzione: si fecero i nomi della vedova di Khomeini e del fratello maggiore superstite dell´ayatollah. Un paio di settimane più tardi, però, i quotidiani europei riportarono un´affermazione di Villapalos secondo cui avrei accettato di riformulare alcune parti di Versi Satanici. Non avevo detto nulla del genere. Villapalos mi spiegò che era stato frainteso e chiese di incontrarci a Londra. Accettai. Da allora non più avuto sue notizie. Una svolta ebbe luogo a fine estate, in Norvegia. Ancora una volta ero ospite dell´associazione internazionale degli scrittori Pen e dei miei coraggiosi editori Achehoung. Ancora una volta i media e la gente del posto mi dimostrarono straordinario calore e sostegno. E questa volta incontrai i ministri della cultura e dell´istruzione, ricevetti messaggi di amicizia da parte del primo ministro Gro Harem Brundtland e ferme promesse di sostegno da parte del governo presso le Nazioni unite e in altri ambiti internazionali, come nei contatti bilaterali tra Norvegia e Iran. I paesi nordici, tradizionalmente molto sensibili ai temi dei diritti umani, iniziavano a salire a bordo della nostra barca. In ottobre fui invitato a parlare di fronte al congresso del Consiglio Nordico a Helsinki: un´opportunità per sollecitare un´iniziativa comune. E in effetti il Consiglio Nordico emanò una decisa risoluzione di sostegno e molti delegati alla conferenza promisero di sottoporre la questione all´attenzione dei rispettivi parlamenti e governi. Ci fu tuttavia un neo. L´ambasciatore britannico, invitato dal consiglio nordico alla seduta in cui dovevo intervenire, si rifiutò di partecipare. Gli organizzatori mi riferirono di essere rimasti traumatizzati dalla villania del suo rifiuto. Tornato in patria, venni laconicamente informato da una funzionaria, palesemente molto imbarazzata, che mi stava per essere tolta la protezione benché non esistessero motivi per ipotizzare un affievolirsi del rischio. «Molte persone in Gran Bretagna rischiano la vita», mi sentii dire, «e alcune purtroppo muoiono». Tuttavia dopo che Article 19 si fece carico della questione insieme a Number Ten, questa politica cambiò drasticamente e il movimento mobilitatosi in mia difesa ricevette una lettera dall´ufficio del primo ministro in cui si assicurava che il programma di protezione sarebbe continuato fino al sussistere della minaccia» (’la Repubblica” 3/1/2004).