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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

SALVI Cesare

SALVI Cesare Lecce 9 giugno 1948. Politico. Laureato in giurisprudenza, docente universitario, mlitante del Pci dal 1971, membro della segreteria dal 1990, eletto senatore nel 1992, 1994, 1996, 2001, 2006 (Pds, Ds). Capogruppo Ds al Senato nella XIII legislatura, ministro del Lavoro nei governi D’Alema I e II e Amato II (1998-2001). Già leader della corrente Socialismo 2000, contrario alla nascita del partito democratico, seguì Fabio Mussi in Sinistra democratica. Nel novembre 2010 fuse Socialismo 2000 con i Comunisti italiani e Rifondazione comunista dando vita alla Federazione della Sinistra • «È di fisico prestante, perciò si lascia riprendere mentre esce dalle acque di Fregene come Malaparte nel mare di Forte dei Marmi. È di buon carattere, perciò va dappertutto e parla con tutti: il lunedì con “la Repubblica”, il martedì con il “Corriere della Sera”il mercoledì con “Il Messaggero”, il giovedì con “La Stampa” […] Fratello buono di Giovanni, magistrato cattivo» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998) • «Professore di diritto civile, ex capogruppo dei senatori ds, relatore della Bicamerale, padre del semi-presidenzialismo temperato, è il Tyson del Palazzo (e i Tyson non si piegano, e se lo fanno dura poco). Non solo per il suo fisico imponente e autorevole di cui va molto fiero: alto e massiccio, l’estate i rotocalchi non mancano di pubblicare una sua foto in costume da bagno, e sua moglie Maria in una intervista d’agosto ha svelato che come biancheria intima preferisce lo slip al goffo boxer. Non solo per l’incedere maestoso: “Ha un corpo vistoso che ostenta con l’aria di un grande, tirando fumo da quel lungo sigaro che sembra una zucchina”, descrive l’onorevole Filippo Mancuso, di cui nel ’95 Salvi chiese lo scalpo da ministro della Giustizia (“O ti sottometti o ti dimetti”, gli disse). Ma anche per la sua smania di primeggiare, per il suo vizio di correggere, per quel suo fare da professore che lo ha spinto a strapazzare, negli anni, Gherardo Colombo, Giovanni Maria Flick, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Walter Veltroni, Oscar Luigi Scalfaro, i Popolari, la Corte costituzionale e [...] anche D’Alema. Questo lato della sua personalità si manifesta molto presto, già a undici anni. A Lecce, dove è nato, nonostante il suo simpatico accento da pizzardone romano, figlio di Don Ciccio, (“Un bravo avvocato, di provincia, ma bravo” è così che lui lo ricorda) quando era studente alle medie del collegio Argento dei gesuiti tormentava i suoi maestri con ogni sorta di polemiche. A tredici, racconta un suo compagno di scuola, rovinava i pomeriggi di vacanza, tenendo soporifere conferenze sulla storia del Sud America. A 25 anni faceva di più. Dopo la laurea in legge all’università di Roma (compagni d’ateneo Luca di Montezemolo e Giuseppe Consolo), stravince il concorso per entrare al Senato: arriva primo e si classifica secondo nella graduatoria di tutti i tempi (il record lo deteneva Salvatore Sechi, diventato poi consigliere giuridico del Quirinale). Il suo esame orale è impeccabile, le risposte sono da manuale. Ma non gli basta. Corregge e riformula meglio le domande che maestri del diritto come Francesco Santoro Passarelli gli fanno. Un uomo preparatissimo. Ma che l’Onu non sceglierebbe come tipo adatto a sedare una rivolta. Al Senato cominciarono le scintille. Soprattutto con Carlo Pinzani [...] entrambi erano del Pci e da funzionari si contendevano la leadership della cellula al Senato. Nel ’76 Pinzani era responsabile della verifica dei dati elettorali: ci fu un problema di conti. Salvi, con la solita timidezza, gli diede pubblicamente del pasticcione. Quando, un’altra volta, capitò la stessa cosa ma in un’assemblea presieduta da lui, e un collega gli consigliò le dimissioni, Salvi lo rimbeccò con una frase in stile coatto. Più di vent’anni dopo, la stessa fermezza. A gennaio del ’99 a Botteghe Oscure cominciò a girare la voce di un possibile avvicendamento alla poltrona di capogruppo al Senato, a causa della sua straripante facondia che provocava molti malumori (tanto che senatori ds come Claudio Petruccioli e Gavino Angius sbottarono: “Non deve nascere confusione tra i suoi orientamenti personali e quelli del gruppo”). Salvi disse come la pensava ai giornalisti: “Lascerò questa stanza solo di mia volontà e solo per fare qualcosa di meglio”. Tutti sapevano che il meglio per lui poteva essere solo un ministero. Amletico d’animo, Salvi ha seguito le varie evoluzioni del partito: è stato berlingueriano, nattiano, occhettiano, veltroniano. Ora è un dalemiano con l’ambizione di guidare la corrente più a sinistra: dopo aver inneggiato al primo ministro francese, è stato soprannominato “er Jospin de Pietralata” (quartiere periferico di Roma dove è stato eletto). A scoprire i suoi talenti fu Aldo Tortorella che lo infilò nel Centro per la Riforma dello Stato, vivaio di giuristi del Pci, strappandolo a una carriera di professore (apparteneva alla covata di Rosario Niccolò che lo considerava un genio) e di avvocato miliardario, iniziata nello studio di Giuseppe Guarino, poi diventato ministro dell’Industria e delle Finanze: “Era un collaboratore molto acuto, cara”, affetta Guarino. “Un talento che la politica ha sottratto al Foro”. Da vero avvocato sa passare dalla difesa all’accusa. Fino al ’95 è stato appassionato apologo del pool Mani pulite. Ma nel ’96 a Orvieto, in un convegno sulla giustizia, ha recitato il mea culpa sulla faccenda. Prima di diventare ministro, tuonava sulla priorità delle riforme: mezzogiorno, welfare, occupazione. Oggi, è diventato molto attento alla suscettibilità dei sindacati e i suoi più stretti collaboratori al Lavoro sono Luciano Pettinari, comunista unitario, capo della segreteria politica, e Felice Roberto Pizzuti, che sulle pensioni non la pensa come Giuliano Amato. Qualche spiritoso sostiene che, facendolo ministro, i vertici dei Ds pensavano di placare i suoi bollenti spiriti (un’altra corrente di pensiero attribuisce la nomina alla diabolica volontà di D’Alema di riequilibrare così le posizioni più rigorose di Amato). Impossibile. Anche perché per lui “fare ammuina”, come si dice a Napoli, è una seconda natura. Esordì mostrando quello di cui era capace il 21 aprile del 94, quando diventò capogruppo (con l’82 per cento dei voti) dei senatori dell’allora Pds. I colleghi di Forza Italia e di An raccontano come lui, profondo conoscitore del regolamento del Senato, riuscì a portare alla minoranza ben otto presidenze di commissioni su 13. E a trasformare la maggior parte dei senatori diessini in una truppa d’assalto capace di fare le pulci a tutti i governi; tanto che a Palazzo Chigi, al tempo di Romano Prodi (colpevole di non averlo nominato ministro della Giustizia e quindi meritevole di essere tormentato con continui accenni a un possibile rimpasto), lo chiamavano “il capo dell’opposizione”. Due matrimoni (il primo con Dagmar Flascassovitti, figlia di un avvocato di Lecce; l’attuale con Maria Freddosio, bibliotecaria di Montecitorio, una storica, studiosa del ruolo delle donne nella Repubblica di Salò), due figlie di secondo letto, un fratello Giovanni sostituto procuratore a Roma, Cesare Salvi, lontano dalla politica è un uomo affabile e affettuoso, appassionato di ciclismo, di macchine d’epoca e di filosofie orientali. Il lato del Salvi ridens è ben rivelato dalla sua instancabile attività salottiera: è un invitato demaniale, appartiene a tutti i ricevimenti, di sinistra e di destra. È stato l’apripista dei Ds a casa di Maria Angiolillo; è assiduo da Roberto Gervaso; è amico di famiglia dell’avvocato Giuseppe Consolo, dove dopo cena usa appartarsi con Gianfranco Fini. Un grande conversatore, sostengono le signore che lo conoscono bene, dalla Angiolillo a Edwige Fenech, diventata una delle sue migliori amiche. La garanzia che a tavola non calerà mai il silenzio. E su questo, nessuno potrebbe avere il minimo dubbio» (Denise Pardo, “L’Espresso” 14/10/1999).