Varie, 6 marzo 2002
SANTACROCE
SANTACROCE Isabella Riccione 30 aprile 1968. Scrittrice • «’Leggete Destroy. Sganciate queste benedette 20 mila lire, comprate Destroy e trovate un posto dove non ci sia musica, né rumore con del ritmo addosso, ma solo fondale di mondo qualsiasi: e leggete”. E’ il 30 ottobre del ’96, quando sulla prima pagina di ”Repubblica” Alessandro Baricco intona il suo entusiastico peana al romanzo di una scrittrice ventottenne: Isabella Santacroce. "Stronzate": la storia di Misty, una che se ne va a Londra e si guadagna da vivere facendo la puttana, ha suggerito a Roberto Cotroneo un epiteto in genere poco frequentato dalla critica letteraria, e che pure Baricco mostra a modo suo di aver gradito: ”Finalmente. Basta con quel suo traccheggiare ambiguo, fine dei messaggi trasversali, delle battutine al vetriolo, delle benedizioni distribuite secondo impercrutabili manuali Cencelli. Dritti allo scopo: stronzate. Finalmente un po’ di aria pulita”. L’autore di Oceano mare non è tenerissimo neppure con la giovane Isabella, che ad esempio in tivù ”strascicava la voce con fare lievemente rimbambito”, ma l’ambivalenza non cambia la sostanza del suo giudizio: ”Questa scrive musica, carambola timbri, stacca ritmi incrociati e asimmetrici, organizza caos, guarda strabico, stampa dissonanze. Se lo lasci suonare, quel libro, quel che senti è musica, vera e non qualunque...”. Stupore generale. Reazioni indignate, stizzite. Qualcuno, come Giovanni Raboni, dirà di essere rimasto addirittura inorridito di fronte all’articolo di Baricco. E qualcun altro Giulio Ferroni riproporrà la celebre battuta di Totò: ”ma mi faccia il piacere!”. Intanto Destroy è diventato un "caso", e la sua autrice Isabella Santacroce l’unico nome di culto al femminile nel gruppetto degli enfant terrible delle lettere italiane» (Lu. Si., ”la Repubblica” il 12/6/2001) • «A vederla così, seduta in un bar romano, con la sua bottiglietta d’acqua naturale, Isabella Santacroce non è proprio questa bellezza perturbante, una femme fatale o una dark lady. Soprattutto non ha niente di aggressivo o di trasgressivo o di provocatorio o di che. Non sembra neppure una persona furba, come forse ci sarebbe da temere. Sarà anche diventata un fenomeno mediatico, per quelle sue pose maliziose, le magliette leggermente sollevate, gli sguardi obliqui da lolita, fino a certe foto sadomaso rigorosamente in bianco e nero che dovrebbero scandalizzare, épater chi sa chi. Un po’ di stucchevole dannunzianesimo aggiornato l’avrà (forse) avvantaggiata sul gruppetto di colleghi ex cannibali che abitualmente non indossano guepière, ma alla fine quel che davvero importa è il suo talento (vero o presunto) di scrittrice. [...] Ha studiato al Dams di Bologna [...]. E’ una ragazza molto piacevole da guardare, di una sua bellezza, di una sensualità spiccata ma poco appariscente: i grandi occhi scuri e mobilissimi. [...] Non è la sua fisicità a catturare, ma piuttosto un certo infantilismo, la fragilità e le malinconie di una bambina senza età, il suo essere timido e antiintellettuale e nervoso e un po’ schizzato. Può mettersi a ridere o anche a piangere (può capitare, è capitato), sull’onda di un’emotività eccessiva, un’inquietudine parecchio sulle righe. In ogni caso restituisce un’immagine più problematica che falsa. Non sembra un personaggio di plastica, come forse ci sarebbe da temere. Isabella Santacroce è l’autrice di quello che definisce un trittico - molto discutibile e discusso - fatto di notti senza fine, di sesso funereo, di droghe sintetiche, di musica, di follia, di luci accecanti, di sangue, di pura disperazione, di noia devastante. Fluo (Castelvecchi), Destroy e Luminal (Feltrinelli) sono i titoli dei suoi libri pubblicati nel giro di tre anni, tra il ’95 e il ’98. Poi altri tre anni, di silenzio, un nuovo cambio di casa editrice, e nella collana Strade blu di Mondadori esce Lovers, un poemetto in prosa, un racconto in forma poetica sui sentimenti dell’amicizia e dell’amore nell’adolescenza» (Luciana Sica, ”la Repubblica” 12/6/2001) • «Faccio la prima stesura con una biro nera. Ho bisogno di sentire il movimento della mano e la pressione della penna sulla carta. Uso fogli sparsi (che spesso vanno perduti) oppure quaderni a quadretti. [...] Quando sono soddisfatta, copio al computer. In un giorno, possono essere quattro pagine o tre righe. Taglio molto, facendo attenzione al ritmo. [...] Non riesco a scrivere in pigiama o in ciabatte. [...] Tutti i finali dei miei libri sono nati di notte, mentre ero fuori casa. Rientro in fretta, li scrivo, e poi sono così emozionata che scoppio a piangere» (Mariarosa Mancuso, ”Corriere della Sera” 26/6/2001).