Varie, 6 marzo 2002
SARONNI
SARONNI Giuseppe Novara 22 settembre 1957. Ex ciclista. Campione del mondo nel 1982 (davanti a Greg Lemond e Sean Kelly), secondo nel 1981 (dietro Freddy Maertens, davanti a Bernard Hinault), terzo nel 1986 (dietro Moreno Argentin e Charles Mottet). Vincitore del Giro d’Italia nel 1979 (davanti a Francesco Moser, con 3 vittorie di tappa) e nel 1983 (davanti a Roberto Visentini, con 3 vittorie di tappa), secondo nel 1986 (dietro Roberto Visentini), terzo nel 1981 (dietro Giovanni Battaglin e Tommy Prim, con 3 vittorie di tappa). Vincitore della Milano-Sanremo nel 1983 (secondo nel 1978 e nel 1979 dietro Roger De Vlaeminck, nel 1980 dietro Pierino Gavazzi), secondo nella Liegi-Bastogne-Liegi del 1983 (dietro Steven Rooks), primo nel Campionato di Zurigo del 1979 (davanti a Francesco Moser), primo nel Giro di Lombardi del 1982 (davanti a Jules e Moser), primo nella Freccia-Vallone del 1980 (secondo nel 1977 dietro Moser, nel 1979 dietro Hinault), vincitore della Tirreno-Adriatico nel 1978 e nel 1982, campione d’Italia nel 1980 . «Beppe Saronni diviene campione del mondo il 5 settembre del 1982, nell’anno dell’Italia campione del mondo di calcio (11 luglio). [...] Saronni vinse da quasi favorito, l’anno prima era arrivato secondo nella prova mondiale di Praga, di un niente dietro al belga Maertens. [...] ”Nel 1982 avevo corso un Giro brutto per la classifica, primissimo Hinault io molto indietro, bello per il mio successo nella Cuneo-Pinerolo, bellissimo per la nascita di Gloria, la mia primogenita: niente Tour, e nei giorni della corsa francese mi muore in auto Carlo Chiappano, direttore sportivo e amico. Martini il citì mi aveva chiesto, dopo che avevo vinto il Giro di Svizzera, di fare bene le premondiali, gli ho vinto Agostoni e Tre Valli. A Goodwood temevo le liti, le incomprensioni fra noi azzurri più che gli avversari. A 500 metri dal traguardo ho prodotto lo scatto forse più intenso ed efficace della mia vita di corridore, ho preso e lasciato indietro Millar scozzese e Boyer americano che avevano pochi metri di vantaggio, il gruppo dietro si è sgranato ma era tardi, LeMond è arrivato a 5 secondi da me. [...]”» (Gian Paolo Ormezzano, ”La Stampa” 25/9/2006). «[....] era ”il bambino” [...] del ciclismo italiano [...] dopo 14 anni di carriera e 196 corse vinte è diventato, dietro la scrivania della Lampre, uno dei team manager più considerati. [...] ”Ho smesso di correre nel ”90, a 33 anni, dopo averne passati una ventina in bicicletta: da subito, la cosa che mi è mancata di più è stato il cameratismo che c’era allora in gruppo. Ci si allenava insieme, si correva, si discuteva, si scherzava. Le corse allora erano lunghe, c’era spesso il tempo per quattro battute con Visentini e Contini, magari prendendo in giro Moser. vero: avevo la capacità di mandare in bestia Francesco. No so dire perché, so soltanto che mi riusciva bene... Fatte le debite proporzioni, per l’interesse che suscitava la nostra rivalità è stata l’ultima ad avvicinarsi a quella tra Coppi e Bartali [...] Alla base di quella passione, c’era la caratteristica principale del ciclismo di quegli anni: il fatto cioè che i corridori si confrontassero per tutto l’anno. Ed è quello che manca di più adesso: tra specialisti da corse a tappe e da gare in linea, da Giro o da Tour, da Ardenne o da pavé, per un tifoso è sempre più difficile trovare punti di riferimento. Oltretutto questo porta a un’esasperazione della preparazione, col rischio che l’atleta ricorra a scorciatoie vietate. [...] Tra i corridori contemporanei, Cunego è quello che più spesso mi è stato accostato, anche se io ero soprattutto un passista-veloce, mentre lui è più passista-scalatore. [...] Mi domando come il ciclismo riesca ancora a sopravvivere. Non siamo più sull’orlo del precipizio, abbiamo già fatto qualche passo nel vuoto, solo che miracolosamente non cadiamo. La responsabilità è di tutti, ma in questo momento qualche colpa in più la do agli atleti: dopo tutto quello che è accaduto negli ultimi anni, è inaccettabile sentir dire ancora ”non sapevo, non volevo...’ [...]”» (Nino Minoliti, ”La Gazzetta dello Sport” 23/9/2007).