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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Scoglio Franco

• Lipari 2 maggio 1941, Genova 3 ottobre 2005 (infarto mentre litigava in diretta tv con Enrico Preziosi). Professore di Pedagogia. Allenatore di calcio. Approda in B nel 1986 con il Messina di Salvatore Schillaci. Nel 1987-88 centra con il Genoa la promozione in serie A. L’anno dopo si salva. Allena poi Bologna, Udinese, Pescara, Lucchese, di nuovo Genoa (salvezza miracolosa, poi l’esonero per l’ostracismo al giapponese Miura), Torino, Cosenza, Ancona. Dal luglio 1998 ct della nazionale tunisina, quarto nella Coppa d’Africa 2000. Dal primo marzo 2001 di nuovo al Genoa. « morto durante una diretta televisiva Franco Scoglio, e l’evento ha una sua logica, perché è stato un allenatore ma soprattutto un affabulatore, il narratore di un calcio impossibile, a tratti realizzato, spesso sognato, che comunque alla gente piaceva sentire raccontare. Il football ogni tanto inventa personaggi così. Maestri venuti dal nulla, saggi di una minima esperienza costruita su campi polverosi, e lui ne aveva girati tanti in un’interminabile gavetta forse mai finita. Dal ”73 in poi, prima la Gioiese in D, poi il Messina in C e in B, dove esplose Schillaci, quindi l’Acireale in D e la Reggina in C1. Nell’82, con la Gioiese, la sua prima vittoria di campionato in Interregionale. Lui stesso spiegava di essere capace di parlare al mondo intero quando ripeteva: ”Io non alleno, io insegno”. Anche [...] quando non riusciva più a trovare una panchina, c’era sempre questa voglia di descriversi come predicatore che non si stacca mai dal popolo del pallone, funzionale peraltro alla retorica dell’unico popolo che abbia amato, quello genoano, e l’unico dal quale sia stato a lungo amato, in un matrimonio, quello suo con il Genoa, che è stata la vera realizzazione della sua vita, con una promozione in A e poi una salvezza brillante l’anno dopo. Come ogni affabulatore è stato ricco di intuizioni, ironie, mezzi imbrogli, prese in giro, in un vortice nel quale era difficile distinguere l’istrionismo dalla capacità di campo, il gusto per una filosofia da bar dalla penetrazione psicologica e tecnica delle cose. Perché in lui, nei momenti di fulgore, tutto si teneva in una vicinanza che lui solo rendeva possibile, dall’intima convinzione di essere l’erede di Lobanovski alla invenzione dello slogan della ”zona sporca”, ovvero una zona che poi zona non era perché prevedeva anche il libero: una scena che sembrava riprendere quella di Lino Banfi in quel film nel quale predicava la ”bizona”. Ma sul libero aveva avuto un’intuizione felice, quando nell’88-’89 chiese che fosse acquistato Gianluca Signorini, promettendo in quel caso che avrebbe fatto 50 punti, e mantenne la promessa, alla fine furono 51 e quello fu uno degli ultimi (purtroppo) bei Genoa della storia. Si sentiva profondamente uomo del sud (era nato a Lipari nel maggio 1941) e come meridionale aveva sempre guardato a Napoli come alla sua capitale naturale, riuscendo a raggiungerla solo nel 2002, chiamato da Naldi, e ribadì che arrivava con dodici anni di ritardo, quando il suo ingaggio fu frenato dal secondo scudetto azzurro di Bigon. Gli piaceva dare voce allo sberleffo dell’emarginato, vellicando la ribellione degli esclusi, come quando dichiarò che non sarebbe andato mai al Milan, ”non potrei esprimere mai la mia personalità”, che si sarebbe espressa invece meglio in un’altra azienda del gruppo, nelle puntate di Controcampo. Si sentiva un protagonista del rinnovamento del calcio italiano dell’inizio degli anni ”90, che porta la firma di Sacchi, ”un creativo come me” aveva detto mettendoglisi idealmente al fianco, restringendo in pratica il gruppo dei possibili compagni, ”e come me e lui siamo in pochi ad avere delle idee”. Capiva i giocatori, considerando la materia non pregiatissima che ha dovuto maneggiare: ma ebbe la fortuna e l’intuizione di portare a Genova Pato Aguilera. Però, quando volle portarsi dietro mezza nazionale tunisina, che aveva allenato (dopo sarà anche sulla panchina della Libia, per una partita), portandola alla qualificazione mondiale, riempì il Genoa di giocatori modesti, compreso quel Madhbi che aveva definito il nuovo Tigana, probabilmente per pura somiglianza fisica. Era una delle sue passioni inventare nomi altisonanti, e tutti erano anche disposti a perdonargli l’aura da baraccone che tutto ciò creava: lui stesso era stato il ”mago delle palle inattive”, quando con il Messina in C aveva elaborato non si sa quanti schemi, innumerevoli a sentire lui, per sfruttare i calci di punizione. Gli capitò tra le mani anche il primo giapponese del calcio italiano, Kazu Miura, che definì ”una macchietta applicata” e chissà che voleva dire. Per lui i giocatori erano di tre categorie: ”Quelli con tre palle, che fanno il pressing; quelli con due, e giocano a pallone; quelli con una e fanno le partite scapoli-ammogliati”. Non fece mai una classifica analoga degli allenatori: non c’era bisogno di dire che era nella prima categoria» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 4/10/2005). Sue frasi celebri: «Nel mio calcio contano solo palla e spazio, l’avversario non esiste, è un’ombra»; «Voglio che i miei giocatori stiano sempre in tuta, devono capire che sono come operai e che il campo d’allenamento è la loro catena di montaggio»; «Certe mattine mi guardo allo specchio e mi sputerei in faccia, pensando a certi professorini usciti da Coverciano senza un minimo di esperienza ai quali vengono affidate squadre importanti. La gavetta è fondamentale, io per arrivare ho dovuto sputare sangue» (’Repubblica” 3/3/2001). «Nel 1990 Boniperti, che rimane il mio presidente ideale, voleva affidarmi la Juventus, ne è testimone Nello Governato. Avrei allenato Schillaci, che avevo avuto a Messina, e Baggio nel dopo mondiale. Purtroppo per me, arrivò Montezemolo» (’La Stampa” 11/4/2001). «Il mobbing dalle fabbriche e dagli uffici si trasferisce ai campi di calcio. Sostengono di esserne vittime Breda e Annoni, tesserati per il Genoa ma mai, in questo campionato, portati da Scoglio nemmeno in panchina. Si sentono sottoutilizzati, lamentano di non avere le stesse opportunità dei compagni per quanto riguarda la parte tattica degli allenamenti. Hanno così chiesto l’intervento dell’Associazione Calciatori ed è stata aperta una vertenza sulla quale dovrà pronunciarsi il Collegio Arbitrale della Lega. Si scontrano, i due giocatori del Genoa, con l’allenatore più particolare ed intransigente del nostro calcio. Un personaggio, il Professore, sempre controcorrente (’mi sono schierato contro Berlusconi quando ho avuto la certezza che avrebbe vinto le elezioni”). Quando il calcio italiano lo aveva portato ad un livello di saturazione che riteneva insostenibile, aveva scelto di andare volontariamente in esilio in Tunisia. Ora è pronto a lasciare di nuovo l’Italia, se la Lega dovesse dare ragione ai giocatori e a mettere di fatto in discussione il suo metodo di lavoro: ”Questo degli arbitrati in Lega non è il mio calcio. Io vivo di principi morali, se mi interessassero i soldi avrei già lasciato il Genoa. Ho ricevuto tre proposte miliardarie: una da un club inglese e le altre per allenare le nazionali degli Emirati Arabi e della Libia. Sono nato poverissimo, a Lipari dormivo su un letto di pietra pomice con sopra la paglia e mangiavo pane e cipolle. Ma ora io e la mia famiglia possiamo vivere di rendita per i prossimi 30 anni e non c’è ragione che mi pieghi a compromessi”. La rottura tra Scoglio e Breda (contratto con scadenza giugno 2003 di 900 milioni netti a stagione) risale alle ore che precedevano la partita con il Napoli, la prima di campionato. Il Professore non sopporta di essere interrotto mentre è a colloquio con la squadra, ma Breda ha chiesto di intervenire: ”Lei parlerà alla fine”, l’ha stoppato Scoglio. A quel punto è stato un crescendo inarrestabile: ”Questa è una dittatura”, ha ribattuto il giocatore. ”La mia è una dittatura tecnica e lei è invitato a lasciare il ritiro”, è stata la replica del tecnico. ”Avete sentito tutti, mi sta cacciando”, ha detto Breda, lasciando la sala, rivolto ai compagni ed anticipando che avrebbe avuto bisogno di loro come testi. Ma poteva fare anche a meno di quelle testimonianze, si era infatti nascosto sotto la tuta un piccolo registratore. E c’è anche un video amatoriale, girato dal cognato di Breda, che riprende un allenamento in cui il giocatore era escluso dal lavoro con i titolari. Quel nastro, come era facile prevedere, ha scatenato un putiferio. Gli avvocati del Genoa stanno valutando la possibilità di agire in sede penale per ”registrazione ambientale non autorizzata”. Ed è possibile anche un deferimento alla giustizia sportiva per violazione dell’articolo uno, quello che impone ai tesserati un comportamento sempre in linea con quei principi di lealtà sportiva ai quali una registrazione ad insaputa dell’interlocutore potrebbe venir meno. Il legale di Breda ed Annoni ha evidenziato anche che i due giocatori sono stati spostati in un altro spogliatoio. Ma Scoglio ha sottolineato: ”Sono stato il più danneggiato da questo trasloco, volontariamente ho scelto di cambiarmi in uno stanzino senza doccia e servizi igienici”. C’è stata l’udienza in cui sono stati ascoltati i testi. Francioso si è schierato dalla parte dei compagni, Ruotolo, il capitano, chiamato a testimoniare dalla società, ha cercato di barcamenarsi dicendo e non dicendo. Ma Scoglio ha comunque ritenuto colpevole il silenzio del suo antico allievo: ”Un tacito assenso, mentre doveva dire la verità anche a costo di andare contro gli interessi della categoria. Questo corporativismo mi disgusta”. E per protesta nei confronti della squadra, contro il Crotone, il Professore non è andato in panchina, esibendo un certificato medico: ”Io chiedevo semplicemente che raccontassero le cose esattamente come stavano, tra me e questo gruppo c’è un baratro. Quando sono tornato al Genoa, lasciando la nazionale tunisina e la possibilità di andare ai mondiali, dovevano girare con la scorta della polizia. Ho ridato loro la serenità, gli ho fatto guadagnare soldi ed è così che sono stato ripagato”. Ne fa, il Professore, una questione di principio: ”Io non faccio poesia, il mio unico obiettivo è riportare il Genoa in serie A. Ed io so allenare in un modo solo, è lo stesso da 30 anni. Con l’avvicinarsi della partita mi concentro su un gruppo ristretto: gli undici che dovranno scendere in campo più qualche possibilità alternativa. La settimana scorsa è stato squalificato Carparelli, uno dei nostri giocatori più importanti. Anche lui, non servendomi per quella domenica, è passato con il secondo gruppo”» (Gessi Adamoli, ”la Repubblica” 4/12/2001). «Dopo la bellissima esperienza di Torino, che non sono riuscito a portare a termine solo per colpa di qualche dirigente sprovveduto e di qualche giocatore mediocre che si credeva un campione, sono entrato in crisi. Non mi riconoscevo più, avevo bisogno di meditare e dimenticare, per poter ripartire. Ringrazio l’amico Antonio Matarrese che mi ha raccomandato alla federazione tunisina. Esperienza bellissima e importante. Per me, come sempre, parlano i fatti: 31 partite, 19 vitorie, 8 pareggi, 4 sconfitte. Ho fatto vivere loro emozioni stupende. Hanno conosciuto il calcio, quello vero» (a.ben., ”La Stampa” 6/3/2001).