Varie, 6 marzo 2002
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Seedorf Clarence
• Paramaribo (Suriname) 1 aprile 1976. Calciatore. Ha vinto quattro Champions League: nel ”95 con l’Ajax, nel ”98 col Real Madrid, nel 2003 e nel 2007 col Milan (squadra con la quale ha vinto anche lo scudetto del 2004). Nazionale olandese, in Italia ha giocato anche con Inter e Sampdoria •«Fredericks Seedorf, il nonno di Clarence, era schiavo di un padrone tedesco. Suo nipote, socio di una gioielleria in via della Spiga, porta al collo una catena d’oro. Un portafortuna del genere aveva fatto segnare Gattuso a Perugia, Clarence se lo mise al collo per il derby, nascosto da una dolcevita nera. Segnò il gol partita. Ma non è questione di amuleti. questione di testa. La sua forza di calciatore e il suo valore di uomo sgorgano da lì. [...] Da anni Clarence Seedorf finanzia l’attività sportiva nel suo Suriname. In Spagna ha venduto 30 mila copie di dischi con la canzone Un mondo pieno d’amore, che fece cantare ai suoi compagni del Real Madrid e poi fruttare in beneficenza. [...] Da piccolo, a Paramaribo, Clarence voleva fare il dottore. A 16 anni era già il più giovane esordiente nel campionato olandese, con la maglia dell’Ajax. Una testa forte lo ha aiutato a sopportare esami ed emozioni precoci. A 19 anni era già campione d’Europa a spese del Milan. Pochi mesi dopo, si affacciava dal balcone della Sampdoria in via XX settembre, al fianco di papà Johan, in giacca rossa e di Vera, la zia avvocato. Si presentò come grande ammiratore di Rijkaard e vendette una bufala alla stampa italiana: ”Presto all’Inter arriverà Van Gaal”. Uno dei pochi mai sbarcati alla Pinetina. A Seedorf offrirono l’ex villa di Gullit per 35 mila dollari al mese. ”Ho 19 anni, ma non sono fesso”, rispose il ragazzo. La sua testa funzionava a pieni giri e gli servì, la stagione seguente, a sopportare una maglia pesante di storia come quella del Real Madrid. Clarence la portò alla grande, fino al tetto d’Europa. La notte della finale di Champions, nel ”98, Seedorf si concesse una gioiosa danza tribale, attorno alla coppa appena strappata alla Juve, insieme al suo amicone Panucci, che anni dopo lo chiamò all’Inter: ”Se non vieni, Clarence, non riesco a vincere”. E lui ci andò. L’Inter è il posto ideale per perdere la testa, se non ce l’hai solidissima. Seedorf ce l’ha. 9 marzo 2002: Inter-Juve 2-2. Seedorf segna una doppietta spettacolosa al povero Lippi che, pur raggiunto al 91’, riconosce: ”Onore a Seedorf per la sua tecnica, ma soprattutto per la pazienza con cui ha atteso il suo momento senza fare polemiche”. Seedorf risparmia Cuper, non vuole prendersi rivincite nel momento della gloria. Dice serenamente: ”Mi chiedevo perché non giocavo e non capivo, ma non ho mai fatto polemiche perché non servono. Io so cosa ho fatto nella mia carriera e so chi sono. Non stappo lo champagne, lo tengo per lo scudetto”. Il 5 maggio non lo stapperà» (Luigi Garlando, ”La Gazzetta dello Sport” 16/3/2004). «[...] che cosa significa aver vinto tre coppe con tre squadre diverse? ”Significa, come minimo, essere dei nomadi di successo”. La prima [...] l’Ajax di Van Gaal, 1-0 al Milan di Capello. ”Possesso palla, grande senso tattico. Modulo base, 3-4-3. Centrocampo a rombo: Rijkaard davanti alla difesa, Davids a sinistra, io sulla destra, Litmanen trequartista. Poi due ali come Finidi George e Overmars, e Kluivert pivot d’attacco. Era, quella, una squadra nata in casa, dal timbro forte e corale”. La seconda, nel 1998: il Real di Heynckes, 1-0 alla Juventus di Lippi. ”Tanta qualità, tanta personalità. Un mix di gioco offensivo e mentalità italiana. Perché sì, in panchina c’era Jupp Heynckes, tedesco, ma la Liga l’avevamo conquistata con Capello, un devoto del 4-4-2. Panucci e Roberto Carlos terzini, Raul a destra, Morientes e Mijatovic di punta, il sottoscritto al fianco di Redondo. Un Real di ferro, che concedeva poco alla platea”. La terza, nel 2003: il Milan di Ancelotti, i rigori di Manchester, e ancora la Juve di mezzo. La Juve di Lippi. ”Atteggiamento sempre propositivo, Pirlo playmaker arretrato, io sul centro-sinistra, Rui Costa rifinitore, una o due punte. Un’orchestra felicemente calibrata”. Paragoni fra le tre? ”Per principio, li detesto. L’importante è la traccia che si lascia, non a chi si assomiglia. Il rombo lo faceva l’Ajax e lo fa pure il Milan, ma l’Ajax aveva due ali pure, il Milan no. Nel Milan salgono i terzini, Van Gaal difendeva a tre. Ognuno si regola come crede, è la storia, ripeto, che fa la differenza”. Qual è il ruolo che sente più suo? ”Mi considero un centrocampista d’attacco. Sin da piccolo, il mio riferimento è sempre stato la metà campo avversaria. Nella stagione che ho passato alla Sampdoria, Eriksson schierava spesso una punta sola, Mancini; e subito dietro, me a destra e Chiesa a sinistra. Un triangolo, più che un tridente”. E all’Inter, con Lippi? ”Numero dieci, a supporto degli attaccanti [...] La posizione che preferisco sarebbe quella di trequartista, come si dice in Italia. Solo che, quando dall’Inter mi trasferii al Milan, trovai Rui Costa. Con Ancelotti, abbiamo così studiato una collocazione alternativa, sul centro-sinistra. Non mi reputo né un esterno classico né un trequartista di fantasia, ma un po’ l’uno e un po’ l’altro: una combinazione, ecco [...] La Sampdoria mi prese dall’Ajax che avevo 19 anni, un’età pericolosamente di confine, sognavo e volevo tante cose senza sapere bene quali. Proprio a Genova, trovai uno dei personaggi più carismatici che mi ha segnato la carriera: Sven Goran Eriksson. Con lui, il calcio era molto, non tutto. Tutto era la vita: a maggior ragione per un ragazzo come me, che veniva da un altro mondo [...] La filosofia aiuta a capire gli essere umani. Mi piace molto. Come mi piace scrivere poesie. Le butto giù nei momenti morti dei ritiri, e a casa, quando sono tranquillo. Versi d’amore, e non solo. Poesie. Un giorno, chissà, potrei anche pubblicarle” [...]» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 11/4/2000).