Varie, 6 marzo 2002
SEGNI
SEGNI Mario Sassari 16 maggio 1939. Politico. Figlio di Antonio Segni, presidente della Repubblica dal 1962 al 1964. Laurea in giurisprudenza, divenne docente di Diritto civile all’università di Sassari. Eletto deputato per la prima volta il 20 maggio 1976 con la Dc, rieletto il 3 giugno 1979, dal novembre ”81 al luglio ”85 fu vicepresidente del gruppo Dc alla Camera. Sottosegretario all’Agricoltura nel Craxi II e nel Fanfani VI, rieletto nell’87, 1992, 1994, poi parlamentare europeo. Fu il promotore dei referendum elettorali sulla preferenza unica (9 giugno 1991) e sul sistema uninominale (18 aprile 1993) • «’Succede spesso, nella storia, che chi dà il via ad una rivoluzione venga poi travolto dalle stesse forze che aveva scatenato. un fenomeno ricorrente. Guardi la fine che ha fatto anche Gorbaciov... A me ne hanno dette di tutti i colori, non so più quanti epiteti mi hanno scagliato contro, ma non ho rimpianti. Non sono un pentito. No, non sono l’apprendista stregone dell’antipolitica. Sento di avere dato al mio Paese una riforma che ha dato poteri reali ai sindaci, ai presidenti delle Regioni... Il movimento referendario ha il merito di avere promosso leggi che consentono una grande stabilità, come non si registrava dall’epoca di De Gasperi...”. […] La rivoluzione referendaria dei comitati Segni precede e poi corre parallela alle inchieste dei magistrati milanesi che, dieci anni fa, segnarono la fine della Prima Repubblica. E non poteva essere altri che lui, democristiano dalla nascita, moderatissimo figlio di un capo di Stato amato dai cittadini, a convincere milioni di borghesi a scendere in piazza per rovesciare il sistema politico che aveva guidato l’Italia per quasi cinquant’anni. Il ruolo di questo principe ereditario mancato fu decisivo, allora, ”creammo il terreno psicologico in cui Antonio Di Pietro edificò le fondamenta dell’inchiesta Mani pulite. Oggi il ruolo dei magistrati milanesi viene gonfiato artificiosamente: dagli sconfitti di allora e da Silvio Berlusconi. I primi raccontano una bella favola, quella dell’Italia felice pugnalata a morte dai giudici malvagi; il secondo, l’attuale presidente del Consiglio, parla di toghe rosse per difendersi dalle accuse che lo riguardano e aggiunge una tesi nuova: che i partiti di centro siano stati allora cancellati da un complotto della sinistra, invece che - come fu - dal crollo del muro di Berlino. E allora vale la pena ricordare quale fosse la situazione economica all’inizio degli anni Novanta. Eravamo fuori dall’Europa, quando Andreotti - nel 1991 - firmò il trattato di Maastricht. Il nostro debito pubblico era immenso e ingovernabile, a causa della instabilità, del clientelismo e della corruzione. La mafia era aggressiva e forte. Il malgoverno era intollerabile”. […] ”Una volta anche Ciriaco De Mita disse che io ero il burattinaio di Cuccia. Sinceramente, non l’ho mai conosciuto e mi dispiace tanto. La verità storica è che ci appoggiarono la Confindustria di Luigi Abete, il mondo imprenditoriale, la grande stampa. In modo trasparente e pubblico, non ci fu alcun complotto segreto. E ci aiutò molto Bettino Craxi […] Quando lui, alla vigilia del referendum sulla preferenza unica del 9 giugno 1991, disse agli italiani: andate al mare, con la sua arroganza ci portò alla vittoria. Fu il nostro migliore testimonial. Sono felice che oggi sia ricordato come una grande personalità politica, è stato un grande avversario, un uomo che aveva fatto cose importanti. Ero stato un suo tifoso quando, alla fine degli anni Settanta, iniziò a parlare di riforme istituzionali. Mi piaceva come capo del governo, apprezzavo la sua carica riformista. Ricordo un giorno, era il 1988, discutemmo a lungo in Transatlantico, a Montecitorio. Lui mi disse di essere completamente d’accordo sulla politica referendaria. Mi chiese soltanto di aspettare un riequilibrio di forze tra Psi e Pci, poi concluse sorridendo: sei giovane, che fretta hai? La caduta del muro e la svolta libertaria di Achille Occhetto mi convinsero, invece, che il momento era arrivato. E mentre Bettino scopriva il fascino indiscreto del potere del Caf, potere che lo portò al tracollo, io cominciai a raccogliere firme. La notte, però, non dormivo. Pensavo con angoscia: non sarà che sto portando al governo la vecchia sinistra, con il maggioritario? Da moderato, mi tormentavano i dubbi e le accuse degli amici democristiani”. Silvio Berlusconi assiste alla rivoluzione referendaria da imprenditore. Sostiene Mario Segni indirettamente, attraverso l’appoggio di Indro Montanelli, allora ancora direttore del ”Giornale’ di Milano. ”Lo avevo conosciuto a un convegno Dc nel 1977, era il giovane costruttore di Milano 2. Seguii con simpatia la nascita della Fininvest, contro il monopolio Rai. Anche se, quando ero vicecapogruppo alla Camera, alla fine degli anni Ottanta, l’editore Nichi Grauso mi avvertì: ”Se date i tg a Berlusconi, lui farà un partito. Non immaginate quale sia la forza della televisione”. Io lo presi per un visionario, e invece aveva ragione”. I successi di Segni non alterano - in una prima fase - gli equilibri. Nel maggio del 1992 Giuliano Amato forma il suo governo con i partiti tradizionali, ma c’è una novità. ”Il comitato 9 giugno, formato da 150 parlamentari e guidato da Augusto Barbera, Enzo Bianco e da me, incontra il presidente incaricato e pone come condizioni per il voto di fiducia la legge per l’elezione diretta dei sindaci e la neutralità del governo sul referendum successivo, quello che introdusse il sistema dei collegi uninominali (celebrato nell’aprile 1993, conquistò l’83 per cento dei consensi, ndr )”. Nell’autunno 1993, il centrosinistra guidato da Occhetto conquista le grandi città, Segni lascia la Dc e incontra il cavaliere. ”Eravamo in casa di Gianni e Maddalena Letta, alla Camilluccia, a centro metri da casa mia. Berlusconi fu molto chiaro, esordì dicendo: ”La situazione è disastrosa, la sinistra straripa e noi moderati dobbiamo fare qualcosa. Se tu scendi in campo, io ti aiuto con ogni mezzo. Per la prima volta ho i conti in rosso e il governo Ciampi mi sta uccidendo. Non posso accettare che le mie aziende vengano travolte... Martinazzoli già mi ha detto di no, se non ti muovi tu e se non lo farà nessuno, ci penserò io”. Fu un incontro cordiale e divertente, non mangiammo la crostata, naturalmente respinsi l’offerta. E ancora oggi non sono pentito. Forse sarei diventato presidente del Consiglio, ma so bene che un’alleanza con Silvio non consente alcuna autonomia. La sua mentalità non prevede rapporti alla pari. Ringrazio Dio di avere detto no. Cercai di impedirgli di scendere in campo, arrivai persino al patto con la Lega, che lo rinnegò dopo 24 ore, scegliendo Berlusconi”. La storia di ieri è anche la storia di oggi. Il sistema maggioritario ha portato prima il centro-sinistra e poi il centro-destra al governo. Un’alternanza perfetta, non era proprio quello che lei sognava? ”Purtroppo no, mancano ancora tante regole. Ho costruito una casa a metà. Siamo in un momento pericoloso. Dobbiamo creare i contropoteri, all’americana. E il presidente del Consiglio dovrebbe essere il maggiore interessato al completamento del disegno bipolare. Deve scegliere: se vuole passare alla storia, deve allargare gli spazi di libertà. Se farà soltanto i suoi interessi, il sistema arretrerà e arriveremo al collasso. Per evitare questo, mi batterò ancora con tutte le mie forze. A mani nude. Non si possono introdurre garanzie costituzionali per referendum». Sorride e saluta con la timidezza e l’educazione di sempre. un uomo sereno. Dà l’impressione di essere in pace con se stesso. Avrà ancora un ruolo al vertice del Paese?» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 4/2/2002).