Varie, 6 marzo 2002
Tags : Monica Seles
Seles Monica
• Novi Sad (Serbia) 2 dicembre 1973. Ex tennista. Vinse 4 Australian Open (1991, 1992, 1993, 1996), 3 Roland Garros (1990, 1991, 1992), 2 Open degli Stati Uniti (1991, 1992) • «Il 30 aprile del 1993 uno squilibrato l’accoltellò ad Amburgo. Le è rimasta una piccola cicatrice sulla schiena. Quali altri segni le ha lasciato quella lama? ”Ha segnato la mia carriera, togliendomi alcuni degli anni migliori. Ma ora non credo di aver subito altri traumi: quando ci ripenso, quell’episodio mi sembra ancora assurdo. Nel mondo dello sport sono l’unica ad aver subito un’aggressione del genere. Ma non mi va di tornare ad Amburgo. Non è stato un periodo felice della mia vita. Qualche tempo dopo mio padre Karolj si è ammalato: cancro alla prostata, e poi allo stomaco. vero anche che dopo quell’incidente ho avuto grandi dimostrazioni d’affetto, spesso da persone che non si erano mai occupate di tennis, e questo mi ha fatto piacere […] A mio padre non era neppure venuto in mente che io potessi diventare una campionessa. Il grande talento, il futuro tennista della famiglia era mio fratello Zoltan. Ma se Zoltan aveva talento, io avevo l’impegno, l’etica del lavoro. Oggi so per esperienza che quando si tratta di avviare un ragazzo allo sport, alla lunga è meglio puntare sull´impegno piuttosto che sul talento […] Sono cresciuta giocando contro il muro del parcheggio sotto casa. Quando, molti anni dopo, abbiamo costruito la nostra casa in Florida, per me l’unica cosa importante era poter avere a disposizione un grande muro per giocare. Per me il muro è la rete di sicurezza. E ancora oggi i momenti migliori sono quelli in cui mi alleno così: sono sola con me stessa […] Noi siamo di origine ungherese, ma in realtà mi sento cittadina del mondo. Con alcuni miei amici parlo ancora jugoslavo, ma la mia vita ormai è tutta americana. Credo di essere una combinazione di queste tre nazionalità. Vedere tutto quello che è accaduto in pochi anni ha lasciato il segno su di me. Sono tornata nella città dove ho trascorso l’infanzia, e dove ho ancora amici e parenti. Penso di andarci più spesso e per più tempo quando avrò smesso di giocare […] Andar via da casa quando si è ancora piccoli è sempre un’esperienza dura. Zoltan ed io siamo venuti, diciamo così, in prova, per un periodo di sei mesi. Io allora avevo 12 anni. Uno dei periodi più tristi della mia vita. Tutte le sere mi struggevo dalla voglia di tornare a casa […] Tutti pensavano che Nick Bollettieri fosse il mio allenatore. In realtà l’unico che possa avere questo titolo di merito è mio padre. Nei primi tempi dell’Accademia ero peggiorata. Perdevo 6-0 contro Carrie Cuuningham, che prima battevo. Nick era molto presente sul campo. Ma l’unico a capire veramente il mio tipo di gioco era mio padre. Non era un ottimo giocatore, ma era bravissimo a lanciarmi la palla. Mi ha insegnato tutto sulle angolazioni e ogni sorta di strategie […] Sgobbavo molto, vincere era la mia vita. Però non è vero che io fossi sempre tanto sicura di me. Prima di ogni partita pensavo: stavolta perdo. Ed era anche peggio quando continuavo a vincere per alcuni mesi e a un certo punto perdevo. Mi dicevo: ”Dio mio, adesso cosa mi succederà?’ […] A influenzarmi sono state soprattutto Billie Jean King e Martina Navratilova […] I momenti migliori? Nel 1990 a Roma ho battuto Martina. stata una delle mie migliori partite in assoluto: non sbagliavo una palla. E ovviamente anche quando ho battuto Steffi Graf e vinto il mio primo Grand Slam. Poi quando ho ripreso a giocare nel 1995, a Toronto […] Il tennis è un business. Non hai amici. […] Quando ho ripreso a giocare, nel 1995 e nei primi mesi del 1996, andavo benissimo. Non avevo toccato una racchetta per due anni e mezzo, tornare a giocare e dopo un mese ed essere di nuovo la prima in classifica era fantastico. Ma era anche il modo migliore per farmi male. Ho avuto problemi abbastanza gravi alla spalla, poi mi sono fatta male a un piede. A Natale è arrivata la diagnosi della malattia di mio padre. I due anni successivi sono stati tremendi per me, e non per via del tennis. Mio padre era il ”collante’ del mio gioco […] Ho giocato con passione. E davvero non m’importa nulla della storia, né dei titoli. Spero soltanto di poter ispirare ai più giovani il mio amore per il gioco. Il messaggio è questo: l’unica ragione valida per giocare al tennis è la passione, non la prospettiva di guadagnare milioni di dollari o di figurare sulla copertina di qualche rivista. Non so se gli altri lo percepiscono quando gioco – perché magari ho i lineamenti tesi e faccio smorfie: ma io amo questo sport […] Mi ha dato la libertà di fare tutto ciò che volevo. Mi ha tolto una parte della mia infanzia. Forse sono stata costretta a crescere troppo in fretta […] Dopo i primi successi, mi piaceva essere una star: tutto quel fermento intorno a me, le celebrità che incontravo... ma poi viene il giorno in cui non sei più una diva: è una prova che il mio ego riesce a superare. Non è di questo che mi preoccupo. C´è solo una domanda che mi angoscia: riuscirò a trovare qualcosa che mi appassioni quanto il tennis?”» (Peter Bodo, ”la Repubblica” 26/4/2003).