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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

SELLERIO

SELLERIO Elvira (Giorgianni) Palermo 28 maggio 1936, Palermo 3 agosto 2010. Editrice • «[...] Gli esordi non furono facili. A Elvira Giorgianni, classe 1936, figlia di un alto funzionario dello Stato, famiglia “passionale e cattivissima” come solo sanno esserlo i clan siciliani, toccò in sorte muovere i primi passi in un’editoria ancora segnata dal protagonismo maschile. “Io ero quella del caffè [...] Come una caratterista di seconda fila, entravo sulla scena e chiedevo: un caffè? Loro annuivano». Loro erano il marito Enzo, Leonardo Sciascia e l’antropologo Antonino Buttitta. La casa editrice nacque così, da un progetto maturato insieme sul finire degli anni ’60. Il programma è il ritorno a una “cultura amena”, come la chiamava Sciascia, l’impegno civile coniugato con l’eleganza e con il gusto del bello. La fiducia nella parola come strumento per rendere migliore il mondo. Coraggiosa e appassionata, vanitosissima e molto bella (“una camicetta nuova mi teneva allegra per una giornata”), Elvira avrebbe imparato presto l’arte tutta femminile di far passare le proprie idee attribuendole a Sciascia o a Enzo Sellerio. Quando nel 1978 arriva il libro che segna la prima svolta in casa editrice - L’affaire Moro di Sciascia - la Signora si è già consolidata al timone. Ma di lì a poco l’avrebbe travolta il naufragio del suo matrimonio con Enzo, e la scissione della casa editrice in due società. “Rimasi sola, con due figli ancora piccoli. E senza un soldo. Le banche mi negavano i crediti. Solo per farmi ascoltare, mi facevo introdurre telefonicamente da portiere: una voce maschile aiuta sempre”. Non nascondeva di aver sofferto molto per amore. [...] Sciascia la aiutò a ritrovare sicurezza, elogiando il suo puntiglio e la determinazione. L’affascinava con la sua eterna mescolanza di gioco e cultura, perfino con i litigi. Negli ultimi anni Elvira si ritrovava a rimpiangere quelle sfuriate, scaturite dai motivi più diversi. [...] Di Sciascia ricordava anche la severità giudicante, “non sopportava che fossi cortese con tutti, anche con chi detestavo”. Presto s’affermò in casa editrice uno “stile Elvira”, molta passione e poco programma. Fu questo metodo di lavoro che nei primi anni Ottanta la portò a scoprire alcuni capolavori, come Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino: per la casa editrice fu la consacrazione nazionale. Più tardi sarebbero arrivati Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri, salvifici per le sorti finanziarie della casa editrice, e ancora la voce originale di Luisa Adorno. Scoperte più recenti, il giallo all’italiana di Carlo Lucarelli, i romanzi di Margaret Doody e Gianrico Carofiglio, Roberto Bolano e Alicia Giménez-Bartlett. Qualcuno l’avrebbe tradita per editori più importanti, ma lei parlava dei suoi “grandi uomini” con indulgenza. L’importante era conservare l’indipendenza dai grandi moloch editoriali. Amava gli irregolari, maestri nel proprio campo ma insofferenti al tempo in cui vivono. Ad Adriano Sofri affidò “Fine secolo”, una collana di memorie e diritti civili. Con Luciano Canfora fu sodalizio nella saggistica storica. Sfidò le gerarchie dell’Istituto Gramsci pubblicando una nuova edizione delle lettere del grande sardo. Capace di smisurata tenerezza e generosità, sarebbe rimasta ferita da un processo nei primi anni Novanta per una storia di finanziamenti regionali. A segnarla fu non la ritualità processuale - conclusa con un’assoluzione - ma il cinismo dei suoi concorrenti. “Cercarono di mettere sotto contratto i miei autori. Queste cose ti cambiano il carattere”. Si rivolgeva al prossimo con il Lei, e gli scrittori preferiva conoscerli dopo averli letti. Non amava la mondanità. All’epoca dei professori, visse con sofferenza l’incarico nel consiglio d’amministrazione della Rai. “Il nostro è un mestiere d’umiltà. È servizio, non protagonismo”» (Simonetta Fiori, “la Repubblica” 4/8/2010) • «Un editore deve stare quanto più silenzioso, nascosto, taciturno. Il nostro è un mestiere d’umiltà, ma in pochi lo intendono così. È servizio, non protagonismo […] Nessuno mi ha mai tradito, specie tra i grandi. Fastidiosi sono i piccolini che, per diventare importanti, scelgono editori più potenti. Sciascia fu l’unico a fare il percorso contrario: dai colossi alla piccola editrice siciliana. […] Camilleri è stato il terzo incontro fortunato della mia vita. Lo capiscono perfino in Veneto, anche se poi i venditori locali mi hanno suggerito di togliere Palermo dal marchio in copertina. Roba da matti: ha ragione Adriano Sofri quando mi suggerisce di scrivere la storia della casa editrice […] Il primo è stato Enzo, mio marito. Bellissimo, affascinante, curioso. Lo sposai a ventisei anni, subito dopo la morte di mia mamma Lina. Ero la più grande di sei fratelli, mio padre un alto funzionario dello Stato. Non sopportavo di continuare a stare in quella casa. Fu un atto di egoismo, anche se poi la nostra famiglia è rimasta molto unita: passionale e cattivissima come la classica famiglia siciliana. Il sabato pomeriggio ci vediamo sempre per lo scopone: tutti tranne gli estranei, ossia i cognati […] Fu lui, alla fine degli anni Sessanta, ad avviare la casa editrice: un progetto maturato insieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta, l’antropologo. Stavano sempre insieme, parlavano fitto nella stanza piena di fumo […] Ero quella del caffè. Come un caratterista di seconda fila, entravo sulla scena e chiedevo “Caffè?”. Nei rari momenti di originalità: “O una tazza di tè?”. Loro annuivano […] Ero frivola, vanitosissima. Una camicetta nuova mi teneva allegra per una giornata. Poi giocavo con i miei capelli: li tagliavo cortissimi, cambiavo colore. Tutto per amore di Enzo. Anche il mio ingresso in casa editrice fu per stare più vicino a lui. Per farmi apprezzare di più […] Cominciai a intervenire alle riunioni, ad appassionarmi. Seguendo sempre una regola: se avevo un’idea convincente, la presentavo come non mia. L’attribuivo a Leonardo o ad Enzo […] Poi il matrimonio finì. Rimasi sola, con due figli ancora piccoli. E senza un soldo. Le banche mi negavano i crediti, le cartiere e le tipografie non mi accettavano come interlocutore. Solo per farmi ascoltare, mi facevo introdurre telefonicamente dal portiere: una voce maschile aiuta sempre. E poi soffrivo d’amore […] All’inizio degli anni Novanta, gli editori concorrenti mi davano per spacciata. Einaudi tentò di mettere sotto contratto i libri di Carlo Lucarelli. Venne a Palermo Benedetta Centovalli, editor da Rizzoli, a prender nota degli autori più venduti. Per loro ero come morta. Queste cose ti cambiano il carattere» (Simonetta Fiori, “la Repubblica” 12/5/2002).