6 marzo 2002
Tags : Chloë Sévigny
SVIGNY Chloë. Nata a Darien (Stati Uniti) il 18 novembre 1974. Attrice. «Se fosse possibile e soprattutto sicuro arrivarci con la laurea o anche con un diploma per corrispondenza, sarebbe la strada giusta
SVIGNY Chloë. Nata a Darien (Stati Uniti) il 18 novembre 1974. Attrice. «Se fosse possibile e soprattutto sicuro arrivarci con la laurea o anche con un diploma per corrispondenza, sarebbe la strada giusta. Invece la professione di Icona è qualcosa che sfugge a percorsi razionali, curriculum o caratteristiche definite. Tanto più che sarebbe una specie di secondo lavoro. Si diventa Icone, cioè modelli di riferimento, emulazione, adorazione, comunicazione, semplicemente perché qualcuno decide a un certo punto che si hanno i numeri per esserlo. Bisogna cioè, per dirla con il linguaggio fashion, essere molto cool, avere il giusto glamour, risultare trendy, comportarsi da It girl. In teoria non sembra difficile. A Chloë Sévigny [...] coccolata musa di Dolce & Gabbana [...] è capitata la grande fortuna di diventare Icona. Qualche anno fa ”The Face” e ”Interview”, due magazine di tendenza, l’hanno definita simbolo generazionale e ambasciatrice della nuova scena giovanile newyorkese: lei ha apprezzato, gli altri ci hanno creduto, il gioco è cominciato. [...] Bella? Mah. Grande portamento? Insomma. Carisma dirompente? Così così. Racconta che il suo status le dà notevole soddisfazione, che gli impegni da Icona superano quelli di attrice, che adora il basket. Per il resto, bionda, occhi grigio azzurri, naso non rifatto, fisico curato: nella media. Ma l’Icona va al di là dei canoni di bellezza: conta il delicato impasto di perbenismo e spregiudicatezza, di buone origini e amicizie pericolose, di classe e ruvidezza. Il tutto avvolto in un look creativo, finto ricco e finto povero. Da questo punto Chloë è a posto. I suoi sono abbienti e forse imparentati con i marchesi di Sévigny, ma lei frequenta i più turbolenti attori del cinema indipendente e tutti ben ricordano la sua clamorosa scena di sesso orale in The brown bunny. Alle serate giuste di Manhattan e L. A. veste lusso francese [...] però sdrammatizzato dal vintage dei rigattieri di Chelsea. Che altro? Sorride ma sa essere scorbutica. Insomma, diventare Icona non sarà difficile, però bisogna applicarsi» (Gian Luigi Paracchini, ”Corriere della Sera” 27/2/2005). «Gli occhi azzurri, le tinte chiare delle bionde naturali, i lineamenti regolari, è bella senza trucco. [...] ”lei non recita, vive le storie sullo schermo”, dice di lei il regista francese Olivier Assayas. ”La verità è che io non so recitare, non ho fatto nessuna scuola, non ho nessun metodo. Mi dicono di fare o di dire qualcosa e io eseguo. E non mi piacciono le persone che sullo schermo si danno tanto da fare”, ride lei. Eppure, senza studio e senza metodo, in due anni si è affermata come ”la cosa più bella venuta dall’upper class bianca”, tanto per citare una delle tante definizioni che le sono state attribuite. Malgrado il cognome che evoca tre secoli di aristocrazia il marchese di Sévigné era alla corte di Francia nel 17esimo secolo Chloë Sevigny è nata a Darien nel Connecticut nel 1974, in una comunità di ricchi borghesi. ”Non andavo d’accordo con nessuno dei miei compagni di scuola. Da piccola la prima cosa che mi chiedevano le altre bambine era ’il mio papà ha una Bmw. E il tuo?’. Insopportabili. Appena possibile me ne sono andata, molto meglio la gente che si incontra a New York il sabato sera a Washington Square”. Anche il cinema è cominciato lì: tra gli amici c’era Harmony Korine, giovane guru del cinema indipendente che, dopo aver scritto con Larry Clark l’inquietante Kids - la Sevigny era una ragazza malata di Aids - diresse Gummo, altro film con ragazzini che facevano sesso a 12 anni, ammazzavano gatti, sniffavano colla e quant’altro, terrorizzando gli adulti. E la Sevigny era nel branco. Perché si è conquistata la fama di simbolo di una generazione? ”Ho partecipato a storie che esprimevano il disagio e le inquietudini giovanili, probabilmente mi identificano con i film. Ma non voglio responsabilità per tutta una generazione, è già tanto se riesco a esprimere i miei disagi. [...] Ho avuto qualche problema dopo il successo di Boys don’t cry, sono entrata in crisi, sono rimasta un paio d’anni senza lavorare. Poi ho fatto un cortometraggio con Jim Jarmusch e mi è tornato il divertimento. E soprattutto adesso vorrei fare il cinema grande degli Studios, uscire dall’underground del cinema indipendente, trovare un pubblico più vasto. Se devo fare l’attrice devo provare a farlo secondo le regole. [...] Penso che se si sta sempre in mezzo a gente di cinema si rischia di perdere i contatti con la realtà. Io ho la fortuna di avere amici che fanno altro, loro mi aiutano a restare con i piedi per terra. [...] Mi si identifica con i primi personaggi della teenager tremenda. O forse sono le cose che mi vengono meglio. Ma io sono molto più normale e semplice dei miei personaggi. [...] Per fortuna la mie famiglia ha tradizioni ’liberal’. Veramente il cinema ha cambiato la vita di mia madre. Fino a qualche anno fa non leggeva certi giornali, non andava al cinema, non sapeva neanche chi fosse Julia Roberts. Adesso sa tutto su Hollywood e sui personaggi, i film, le storie d’amore, i pettegolezzi. Ed è molto orgogliosa, Darien è una piccola comunità si parla molto di me. Sono contenta, credo di averle dato una ragione di vivere”» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 18/8/2001).