Varie, 6 marzo 2002
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Sharon Ariel
• Kfar Malal (Israele) 27 febbraio 1928. Ex generale. Politico del Likud. Ex premier israeliano (2001-2006). In coma dal 4 gennaio 2006 • «Il ministro della Difesa che si dovette dimettere dopo la strage di Sabra e Chatila, il caratteraccio che ha litigato con tutti, da destra a sinistra, il generale che nel 1973 in Egitto attraversò il Canale di Suez contro tutti, un po’ eroico un po’ pazzo, l’uomo che alle spalle di Begin, il suo Primo Ministro, nell’82 impantanò l’esercito israeliano in Libano, fino a Beirut» (Fiamma Nirenstein). «Nel 1942, a quattordici anni, divenne membro della milizia clandestina (Haganah) che gli ebrei avevano costituito nel 1936 a da cui sorsero nel 1948 le forze armate israeliane. Nella guerra che scoppiò dopo la proclamazione dello Stato israeliano e l’attacco delle forze arabe, comandò una compagnia di fanteria. Era un buon soldato, intelligente, energico, capace di trascinare gli uomini nelle operazioni più rischiose. Ma poteva essere, all’occorrenza, spiccio, duro e spietato. La sua biografia ufficiale dice che nel 1953 fondò una unità speciale (il gruppo 101) con cui s’impegnò in operazioni di rappresaglia nella striscia di Gaza. Altri ricordano che in una di queste operazioni, nel 1955, furono uccisi 38 soldati egiziani. Un anno dopo, durante la ”guerra di Suez”, era nel Sinai al comando di una brigata paracadutisti. Da allora la sua carriera è quella dei più brillanti generali dell’esercito israeliano: comandante di brigata dal 1958 al 1962, comandante della scuola di fanteria, capo del Comando settentrionale nel 1964, direttore dei reparti di addestramento nel 1966, comandante di una divisione corazzata nella ”Guerra dei sei giorni” (1967) e in quella del Kippur (1973) Insieme a Moshé Dayan, Yitzhak Rabin e altri, Sharon non è soltanto un eccellente generale. il volto nuovo di un sionismo militare, indurito dalle esperienze, deciso a dimostrare che l’ebreo non è più rigattiere, sensale di cavalli, mercante, prestatore di denaro. Paradossalmente il popolo fuggito dall’Europa centrorientale ha creato in Palestina una casta militare che ricorda, con qualche tratto mediorientale, quella degli junker prussiani. A differenza degli ufficiali prussiani, tuttavia, i generali israeliani hanno ambizioni politiche. Come altri suoi colleghi Sharon si dimette dall’esercito, viene eletto al Knesset e per due anni, dal 1975 al 1976, diventa consigliere militare di Rabin, allora presidente del Consiglio. Ma finisce per accasarsi a destra, nel nazionalismo bellicoso del Likud, ed entra come ministro dell’Agricoltura, dal 1978 al 1981, nel governo di Menachem Begin. Un anno dopo, tuttavia, ritorna alla sua vocazione originale. Divenuto ministro della Difesa nel 1982, è lui che convince il governo israeliano a occupare il Libano. Comincia così un’operazione che ricorda, su più vasta scala, quelle del giovane Sharon nella striscia di Gaza durante la prima metà degli anni Cinquanta. Per impedire all’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di condurre operazioni di guerriglia dal territorio libanese, occorre, sostiene il ministro della Difesa, colpirla nelle sue basi e costringere il suo capo, Yasser Arafat, ad abbandonare il Paese. Gli israeliani stringono un patto con le milizie cristiane ed entrano bruscamente nelle guerra civile libanese. Si apre così la pagina più discussa e contenziosa della vita di Sharon. Il massacro dei palestinesi nei campi di Sabra e Chatila fu certamente opera delle milizie cristiane, ma avvenne sotto gli occhi indifferenti o benevolenti dell’uomo che era politicamente responsabile delle forze armate israeliane. Arafat e la dirigenza dell’Olp dovettero rifugiarsi in Tunisia, ma un tribunale di Gerusalemme considerò il ministro della Difesa indirettamente responsabile del massacro e lo costrinse a dimettersi. Fu soltanto una parentesi. Grazie ai suoi metodi si era identificato con una precisa linea politica e riscuoteva i consensi di una parte considerevole della società. Il suo purgatorio, quindi, fu breve. Dopo qualche anno al ministero dell’Industria e commercio, passò a quello degli alloggi dove creò le condizioni per gli insediamenti ebraici nei territori occupati di cui divenne da allora, padrino e angelo custode. Durante i governi laburisti di Rabin e Peres rimase all’opposizione, ostile agli accordi di Oslo, alla pace di Camp David e alla nascita di uno Stato palestinese. Il terrorismo arabo, soprattutto nei mesi tormentati del governo Peres, sembrò dargli ragione. Dopo la sconfitta dei laburisti divenne ministro degli Esteri nel governo di Benjamin Netanyahu e più tardi, quando i laburisti vinsero le elezioni del 1999, leader del Likud. In tutti questi anni non cambiò mai la sua linea. Non voleva lo Stato palestinese, considerava Arafat un nemico ed era pronto a trasformare buona parte dei territori occupati in una fascia di sicurezza popolata da insediamenti ebraici e soggetta alla sovranità militare di Israele. Nel 2000, quando il primo ministro laburista Barak sembrò disposto a sottoscrivere un accordo che avrebbe concesso ai palestinesi una parte di Gerusalemme, Sharon, seguito da un lungo codazzo di militari, fece una provocatoria passeggiata sulla Spianata delle Moschee e proclamò con quel gesto che tutta la città, anche quella più sacra all’Islam, sarebbe rimasta ebrea. Molti sostengono che la vera causa del fallimento del vertice di Camp David fu l’ambiguità di Arafat. Ma Sharon fece certamente del suo meglio per impedirne il successo» (’Corriere della Sera” 29/5/2003). «Nel 1983 una commissione d’inchiesta israeliana lo riconobbe responsabile per le stragi nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, commesse dalle falangi cristiano libanesi, alleate di Israele, durante l’invasione del Libano, quando era ministro della Difesa: ”Penso che quel che avvenne fu una tragedia. Ma la commissione mi ritenne ”indirettamente’ responsabile solo perché non avevo immaginato che una cosa del genere potesse accadere. E non fui il solo a non prevederlo: sbagliarono anche il Mossad, i servizi segreti militari, lo Stato Maggiore dell Forze Armate”» (’la Repubblica”, 14/4/2001; ”la Repubblica” 25/6/2001; ”la Repubblica” 5/2/2001). «In Europa si usa normalmente accusarlo per la responsabilità morale nel massacro di Sabra e Chatila e questa vicenda viene usata spesso per delegittimare politicamente l’attuale governo d’Israele. Ma la colpevolezza morale di Sharon è davvero provata? tutto così chiaro? La rivista Shalom ha annunciato l’uscita di un libro che di quella tragedia dà una versione assai diversa. Il volume (che si trova anche su Internet) è intitolato From Israel to Damascus ed è stato scritto da Robert Hatem, testimone diretto (e di primo piano) dei fatti. Shalom sintetizza il contenuto del volume spiegando che scagiona Sharon e mostra che ”il massacro fu eseguito su ordine dei siriani”. Se questa ricostruzione si dimostrerà quella autentica bisognerà trarne conseguenze molto importanti. Per ora si deve almeno dire che è una versione dei fatti del tutto contrapposta a quella che circola da anni. Penso che sia il caso di analizzarla seriamente e confrontarla con l’altra. Per amor di garantismo e di verità. Ma innanzitutto per quelle povere vittime» (Antonio Socci, ”Il Foglio” 27/11/2001). «C’è una pagina segreta nell’avventurosa vita di Ariel Sharon? A sentire uno storico giordano […] lo studioso Baker Khazer […] sarebbe stato catturato dall’esercito giordano durante una furiosa battaglia […] 25 maggio 1948, dieci giorni dopo la proclamazione della nascita dello Stato d’Israele: il Paese è in guerra, gli eserciti arabi lo aggrediscono convinti di ricacciare in mare gli ebrei. L’allora tenente Ariel Sharon, alla testa del famoso battaglione ”Alexandroni” riceve l’ordine di raggiungere l’area di Latrun, a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Obiettivo della missione: conquistare la vecchia caserma inglese, impadronirsi del bellissimo monastero e riaprire la via per Gerusalemme, dove la popolazione ebraica è sotto assedio. Davanti all’unità di Sharon è schierato il IV battaglione giordano comandato da Habbes Majali. La battaglia è furiosa, dura oltre 15 ore. A Bab el Wad gli arabi fermano l’avanzata israeliana, provocano forti perdite e catturano sei nemici, tra i quali un ferito. ”Si tratta di Sharon” sostiene lo storico. I prigionieri vengono trasferiti nel campo militare di Mafrak (Giordania settentrionale) e sono liberati diversi mesi dopo in occasione di uno scambio. ”Sharon sembrava un orso rosso. L’ho catturato e poi lui è diventato un eroe” si limita ad affermare il generale Majali […] La versione dell’ufficiale giordano contrasta con il racconto fatto dallo stesso Sharon nel libro Memorie scritto con David Chanoff. In un capitolo il premier descrive nei minimi particolari la battaglia del maggio 1948 fornendo anche una cartina dello scontro con i movimenti delle truppe israeliane e giordane. una ricostruzione drammatica. Con i giordani che, dopo aver respinto l’attacco, travolgono gli avversari. La sezione di Sharon è decimata e lui riporta gravi ferite. A salvarlo, sostiene, è un ragazzo di 16 anni, Yaacov Bogin, aggregatosi da appena due giorni all’unità. Nonostante fosse stato colpito al volto, il sedicenne lo trascina al coperto e lo aiuta finché non si imbattono in un altro soldato, Moshil Lanzet. Questi si carica sulle spalle Sharon e insieme si dirigono verso le loro linee. ”Abbiamo camminato per diversi chilometri tra il fumo e il fuoco – ricorda il primo ministro – finché non abbiamo trovato una camionetta con altri superstiti della battaglia”. Sharon a questo punto perde i sensi e si risveglia su una barella. Lo trasferiscono in un centro di soccorso israeliano» (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 18/2/2001).