Varie, 6 marzo 2002
SILVESTRINI
SILVESTRINI Achille Brisighella (Ravenna) 25 ottobre 1923. Cardinale. «Principe della Chiesa, epperò appassionatamente pastore sin da quando, il 13 di luglio del 1946, monsignor Giuseppe Battaglia lo ordinò sacerdote. [...] Un giorno – ”il giorno del destino” - Monsignor Tardini, il mitico Segretario di Stato, comunicò al giovanissimo don Achille ch’era ”comandato in servizio a Villa Nazareth”, il che significava sdoppiarsi: metà della giornata in Segreteria di Stato, l’altra metà a Villa Nazareth per la cura religiosa di quei giovani pensionati d’eccezione. A quell’annuncio il giovine ”minutante” sentì, dentro, una ”strizzatina” di sgomento. ”Ce la farò a far l’uno e l’altro?”. Ce la farai, ce la farai: prega un pochino di più, la forza della preghiera è incredibile, e vedrai che tutto andrà bene. Naturalmente comincerai da domani, concluse Monsignor Tardini. ”Naturalmente”, assentì don Achille. Villa Nazareth, allora, era una borghese dimora confortevole in faccia alla Pineta Sacchetti, dono d’un divoto a monsignor Tardini che vi sistemò pochi ”giovani meritevoli”. Negli anni quel piccolo pensionato s’è ingrandito notevolmente, ha filiali in tutto il mondo: ospita e assiste giovani di talento che senza l’ospitalità e l’assistenza di Villa Nazareth non potrebbero frequentare l’Università in Roma o a Bologna eccetera. E’ la versione laica della Parabola dei Talenti. Negli anni, da Villa Nazareth sono infatti uscite centinaia di laureati, molti dei quali, come suol dirsi, han fatto carriera: in medicina, in magistratura, nella scuola, nella burocrazia eccetera. Prefetti, generaloni, scienziati ”danno una mano” a Don Achille e alla dottoressa Groppelli, una psicologa che accoglie e assiste i giovani pensionati, maschi e femmine, con soave severità e allegra ironia: giusta la formula (vincente) di Monsignor Silvestrini. Singolare è che Villa Nazareth si preoccupi di forgiare buoni cittadini: pochissimi sono quelli che vanno in seminario. [...] Assistente, consolatore, braccio destro del cardinale Casaroli, un Segretario di Stato forse irripetibile col quale ha vissuto la storica ”avventura dell’Ostpolitik”. Uso il termine avventura consapevolmente: in piena guerra fredda, un Papa Santo, Giovanni XXIII, decide di spedire, vestiti in borghese e dunque semiclandestini, due prelati di Curia a Mosca, roccaforte del comunismo sovietico, duro, prepotente, impietoso ”per realizzare l’adesione della Santa Sede al Trattato sulla non proliferazione nucleare”. Quel viaggio, a ben guardare, è la prima breccia - piccola ma insidiosa - dell’Europa cristiana nel Muro ateo che divide la Germania stabilendo, con la brutalità d’una violenza continua, la divisione del mondo in due blocchi contrapposti. La prima breccia, sissignori, in quel muro cui darà la spallata decisiva Giovanni Paolo II, il Papa slavo, lui, Wojtyla, il cristiano incandescente venuto dal freddo. Sempre dividendosi fra l’accelerato ”colmo di grazia” che porta a Villa Nazareth e il supertreno che conduce alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’uso pacifico del nucleare (Ginevra 1971) e, ancora a Ginevra, alla Conferenza (da lui magistralmente gestita) per l’attuazione del Trattato sulla non proliferazione delle armi atomiche (1975), Silvestrini, nel frattempo nominato arcivescovo, guiderà la delegazione della Santa Sede per la revisione dei Patti Lateranensi. ”Il signorino”, lo chiamava affettuosamente monsignor Tardini che a lui, a Silvestrini, lascerà la guida di Villa Nazareth. ”Signorino” perché indossa la tonaca con innata eleganza, e le sue camicie son sempre immacolate e le mani curate (’Ho imparato a curare le unghie in seminario, per rispetto dell’Ostia consacrata”); un ”signorino” per quel suo sorriso affabile ma vagamente ironico, per le sue ”curiosità intellettuali” che lo fanno amico di grandi scrittori e poeti, di geniali uomini di cinema, di accademici, di personaggi d’ogni razza e paese. [...] Un cardinale invero diverso dagli altri Principi della Chiesa. Un cardinale che conosce i mille anfratti del Palazzo (apostolico), un diplomatico di rara esperienza (non si contano le sue delicate missioni all’estero), padrone delle lingue e della Storia di svariati paesi, ricco di implacabile metodicità intelligente; un pastore che cura un complesso gregge in una parrocchia della periferia ingrata di Roma, il maestro che guida e consola l’Altro di Villa Nazareth. Il confessore di grandi laici che ha aiutato con rara riservatezza a rimettere l’anima a Dio: penso soprattutto a due perduti amici comuni: Giovanni Spadolini, Federico Fellini. In verità don Achille è un cardinale-pastore, un principe sacerdote. [...] ”Aristocratico nei modi, ma interlocutore instancabile, gentile, comprensivo ma inflessibile”, così isse di don Achille il caro ambasciatore Vittorio di Montezemolo. ”Personaggio eccezionale, fuori del comune: con una marcia in più”, secondo il giudizio di Gennaro Acquaviva mentre l’ambasciatore Marcello Guidi lo reputava ”uno dei cervelli più lucidi della Santa Sede”. Questi i giudizi della ”controparte” durante la revisione del Concordato. E Craxi, qual è il giudizio di quello statista roccioso che non ci stava a perdere? ”Silvestrini è imprevedibile: ti lascia parlare. Tu parli e parli, lui prende appunti. Se non stai attento, quand’è il tuo turno sei cotto: in tre minuti è capace di smontare tutto il tuo articolato discorso. Un duello serrato, il nostro, ma nel segno del rispetto reciproco, per il bene comune”. Ora che ha compiuto gli ottanta, lui, già considerato ”papabile”, è fuori dal grande slam, dicono con rispetto ma: ”Tutto è grazia”, ripete Silvestrini con Bernanos”» (Igor Man, ”La Stampa” 25/10/2003).